«La forza di Aia è la capacità di produrre dati certi. Si conosce ciò che si misura». Lo afferma il vicepresidente dell’Associazione Italiana Allevatori Claudio Destro (nella foto) spiegando con uno sguardo sul presente e sul futuro quelle che possono essere le principali esigenze e scommesse del comparto zootecnico.
Un comparto che, come dice Destro, proprio perché provato dall’emergenza sanitaria è chiamato ad essere sempre più competitivo su diversi livelli, su tutti quello della sostenibilità ambientale e il giusto reddito per gli allevatori.
Qual è il suo ruolo in Aia?
Da due mandati ho l’onore di essere in Comitato Direttivo dell’Associazione Italiana Allevatori, con la carica di vicepresidente; nel recente passato ho seguito più da vicino, in raccordo con gli Organi sociali, le questioni riguardanti la riorganizzazione territoriale del Sistema Allevatori nelle realtà, piuttosto complesse, della Lombardia e del Lazio. Tra le realizzazioni che ho curato più direttamente, e che cito con particolare orgoglio, la proposta del marchio e del disciplinare “Gli Allevamenti del Benessere” e l’avvio della partnership di Aia con la struttura del “Polo di Formazione per lo Sviluppo Agro Zootecnico”, realtà formativa che sta avendo un grande successo grazie ad un livello tecnico elevato e ai partner con cui collaboriamo.
Nonostante gli ultimi mesi siano stati condizionati dall’emergenza sanitaria, abbiamo trasferito e realizzato un intenso calendario di corsi in modalità online. Anche prima del lockdown ho dedicato particolare attenzione alla organizzazione di momenti formativi e convegnistici in concomitanza con i principali appuntamenti fieristici, su temi che vanno dalla biosicurezza all’uso responsabile dei farmaci in allevamento, fino alle problematiche riguardanti il corretto consumo di latte e carni.
Il rinnovamento messo in campo da Aia per rilanciare il Sistema Allevatori, affrontando tematiche cruciali per il settore quali l’attenzione al benessere animale, la tutela della biodiversità, l’utilizzo dei farmaci, con l’obiettivo di dare il giusto ruolo (sociale, etico ed economico) agli allevatori, in questi anni che risultati ha e sta portando?
Aia in questi ultimi anni ha aggiunto alla tradizionale funzione tecnica anche un suo ruolo chiave nei temi che ha citato. Sul benessere animale, oltre alla adesione al disciplinare “Gli Allevamenti del Benessere” da parte di importanti realtà della industria di trasformazione e confezionamento, c’è una costante e continua azione di sensibilizzazione rivolta gli allevatori, all’opinione pubblica e ai media, dai quali sono a volte giunti pesanti ed ingiustificati attacchi alla zootecnia italiana. Inoltre, si è puntato molto sulla formazione continua dei nostri tecnici, una vera “task force” che presidia i territori e che è punto di riferimento per le aziende iscritte al sistema allevatoriale.
Quanto e come la genetica è di supporto nello sviluppare filiere zootecniche sostenibili?
Il tema della sostenibilità, pur se di nuova accezione, rischia già di essere inflazionato e abusato. Certamente la genetica “Made in Italy” ha lavorato molto per arrivare a primeggiare in campo mondiale, ma l’aspetto rivolto al mercato non è il solo importante. Faccio un esempio: tutto il lavoro che Aia sta facendo come capofila assieme ad autorevoli partner - nell’importante progetto LEO - di costituzione di una banca dati unica ha come finalità anche quella di mettere a disposizione un’enorme mole di dati e conoscenze utili a perseguire gli obiettivi di sostenibilità indicati a livello mondiale. Penso allo studio di indici e di caratteristiche delle varie razze ai fini della riduzione dell’impatto ambientale, delle emissioni in atmosfera, dell’impronta di anidride carbonica, solo per citare qualche esempio.
E della zootecnia di precisione cosa ne pensa? Potrà essere la vera leva per riuscire a incrementare la sostenibilità ambientale ed economica di una azienda?
Anche su questo tema Aia non è rimasta indietro: ricordo che già più di due anni fa in un riuscitissimo convegno alla Fiera di Montichiari lanciammo le basi per evidenziare come l’ingresso della zootecnia di precisione, nel più ampio campo della Agricoltura di Precisione (Precision Farming), avrebbe portato sicuri benefici all’allevamento nazionale e alla società in genere, in termini di miglior gestione delle risorse, di creazione di nuove figure professionali, di una facilitazione nel ricambio generazionale in zootecnia. Sono certo che Aia e il sistema allevatoriale nazionale saranno presto allineati alle strategie continentali, dando un loro importante contributo anche dal punto di vista qualitativo, della ricerca applicata e dell’esperienza di campo, maturata in oltre settant’anni di attività. La nostra forza è nella capacità di produrre dati certi e affidabili, fondamentali nell’ottica del “si conosce ciò che si misura”.
Zootecnia e Green Deal, una grande scommessa.
Nel Green Deal c’è molta attenzione al tema ambientale, ma non c’è altrettanta attenzione alla sostenibilità sociale delle scelte ambientali. Penso a quello che sta accadendo negli ultimi anni sul nostro territorio, dove nelle zone vocate assistiamo a un’intensificazione della zootecnia a scapito delle aree meno vocate del Sud.
Una politica avveduta e lungimirante dovrebbe porre dei rimedi al fine di favorire la biodiversità, che rappresenta un primato per il nostro Paese, oltre a garantire il presidio del territorio.
La situazione emergenziale intervenuta ci sta lasciando due messaggi chiari: la riconosciuta sovranità alimentare (dove noi siamo chiamati in causa) e una inaspettata solidarietà.
Anche noi allevatori dobbiamo ritrovare quell’unità che deriva dalle nostre tradizioni e dai nostri valori, siamo rimasti pochi ma più competitivi del passato grazie a un Sistema Allevatori che ha saputo cogliere i desideri del mondo allevatoriale al servizio di un consumatore sempre più esigente.
Una questione cruciale e sempre più attuale è che le filiere zootecniche devono generare fiducia nel consumatore e reddito per l’imprenditore. Come sta evolvendo negli anni questo paradigma?
Prendo spunto dai segnali che si sono avuti proprio in quest’ultimo periodo legato all’emergenza sanitaria che in parte ha modificato e sta modificando le abitudini di consumo degli italiani e i loro stili di vita, con effetti ancora tutti da studiare. È certo però un elemento: le garanzie che dà il prodotto di origine “Made in Italy” e la fiducia che in esso ripone il consumatore resteranno la carta vincente dell’agroalimentare italiano. Sappiamo che le problematiche sono molte, le difficoltà degli allevatori italiani hanno anche origini strutturali e serve lavorare a una progettualità complessiva e di ampio respiro per il settore, tenendo presente anche criticità improvvise e imprevedibili come quelle legate all’effetto Coronavirus. La zootecnia italiana comunque sta reggendo, nonostante le difficoltà e i tentativi di speculazione registratisi nei primi giorni dell’emergenza – e che abbiamo prontamente denunciato – e malgrado non si sia ancora riusciti a frenare la pericolosa invasione di produzioni di incerta origine e dalle scarse garanzie di rintracciabilità provenienti da oltreconfine. Comunque, anche i risultati ottenuti per l’etichettatura di molti prodotti a livello europeo nel medio e lungo periodo dovrebbero in qualche modo premiare le nostre aziende, più riconoscibili e identificate con una qualità superiore dai nostri consumatori (anche da quelli esteri), con inevitabili e auspicabili benefici sui redditi. Su tutto però grava, ovviamente, il condizionamento delle dinamiche di mercato e la capacità di spesa dei consumatori.