Le difficoltà legate all’aumento dei costi delle principali materie prime, delle componenti per l’alimentazione animale, per gli imballaggi e delle spese energetiche sono state al centro dei dibattiti per buona parte del 2021 e continuano a rappresentare un problema anche nel nuovo anno. Sulla questione che è stata sollevata da allevatori e organizzazioni agricole da più parti d’Italia, l’Arav (Associazione regionale allevatori del Veneto) ha lanciato l’allarme a fine gennaio.
Aumento di 9 centesimi
per litro di latte
A proposito delle stalle venete il presidente di Arav, Floriano De Franceschi, ha parlato, infatti, di «punto di non ritorno». Non è facile prevedere quale sarà la situazione nel mese di febbraio – anche a causa delle repentine fluttuazioni di mercato di alcuni fattori – e se il Governo amplierà con uno specifico provvedimento i ristori alle imprese ma, come ha fatto notare Arav, «gli aumenti delle materie prime, dagli alimenti animali al gasolio, agli imballaggi, cui si aggiunge il rialzo shock, senza fine, delle tariffe energetiche, rappresentano una reale minaccia per gli allevamenti veneti, che rischiano letteralmente di chiudere i battenti nel breve termine».
Secondo De Franceschi «Ci troviamo di fronte ad una situazione severa; una serie di aumenti, mai visti in precedenza, minano alle radici la stabilità delle nostre stalle che già lavoravano con margini modesti. Per effetto degli aumenti, che abbiamo compiutamente analizzato (vedi tabella 1), gli imprenditori agricoli stanno sostenendo un maggior costo che sfiora i 9 centesimi per litro di latte: il tracollo è dietro l’angolo se tale situazione dovesse persistere».
Una stalla da 100 capi perde quasi 100mila euro l’anno
L’analisi di Arav confronta, tra dicembre 2020 e dicembre 2021, le spese di una stalla media veneta di bovini da latte con un centinaio di capi, considerando una resa media di 30 kg al giorno di latte per ogni animale. Il maggior costo rilevato, pari a 0,088 euro/litro per ogni litro di latte prodotto, rappresenta l’effettiva perdita che l’allevamento si trova oggi a subire. Una somma che, calcolata su una mandria da 100 capi, si traduce in una perdita mensile che sfiora gli 8mila euro, esattamente 7.920 euro, quindi quasi 100mila euro l’anno. «È impossibile reggere di fronte a questi numeri – aggiunge tra l’altro De Franceschi – e il quadro che si profila è certamente triste: le istituzioni, ora, devono assolutamente intervenire, così com’è giunto il momento che lo faccia l’indotto che ruota attorno alle produzioni lattiero casearie di alta qualità».
In particolare, il valore della forza lavoro impiegata già prima era tirato, ma oggi si azzera del tutto, ossia non è retribuito. I familiari impegnati che lavorano in stalla, in poche parole, lo fanno del tutto a titolo gratuito, non potendo contare neppure sul modesto ristoro precedentemente ricevuto. «Il mondo agricolo, si sa – spiega il presidente di Arav – si fonda sulla famiglia e sulla sua capacità di fare impresa. Non è possibile che i familiari lavorino senza essere remunerati. Va interamente ripensato il sistema se vogliamo davvero garantire un futuro non solo agli allevamenti veneti, ma all’intero settore lattiero caseario».
E le preoccupazioni non si fermano qui: secondo Arav tutto il mondo della trasformazione lattiero-casearia rischia di subire un forte scossone. «Gli allevatori – sottolinea l’Associazione – dovranno indirettamente fare i conti anche con i costi dell’energia che gravano in modo pesante su cooperative e caseifici privati».
Rincari anche per i costi dei produttori di carne suina e bovina
Se quello, appena tratteggiato, è il quadro del settore latte, non va affatto meglio sul fronte della carne (vedi tabella 1). Per i suini, infatti, si registra un aumento del 27% del costo di produzione di un kg di carne. E per i bovini l’aumento, sempre a doppia cifra, raggiunge il 33%, con gli attuali prezzi di realizzo pari a quelli del 1989. «Questi dati fanno comprendere, una volta di più – conclude De Franceschi – come sia indispensabile agire rapidamente e senza mezze misure. Servono politiche serie e costruttive di pronta applicazione, per garantire un futuro alla nostra zootecnia. Gli allevamenti non si possono fermare. Non possiamo chiedere agli animali di non produrre perché siamo in perdita, ma non possiamo neanche continuare a fare sacrifici irragionevoli per un’impresa. Come ci insegna qualsiasi economista, infatti, un’azienda può esistere soltanto se genera un profitto. In questo momento, purtroppo, siamo consapevoli che le prospettive non ce lo garantiscono».