In occasione dell’Assemblea annuale Assalzoo, svoltasi il 14 giugno scorso a Verona, sono stati presentati i dati sulla produzione del settore mangimistico per l’anno 2012. Secondo le prime stime dell’Associazione, nello scorso anno, la produzione complessiva di alimenti completi e complementari realizzata dall’industria italiana ha registrato una flessione dell’1,7% rispetto all’anno precedente, con un totale di 14.273.000 tonnellate contro le 14.522.000 tonnellate del 2011.
Una flessione che segue due anni di crescita produttiva, che avevano portato il settore a toccare nel 2011 un picco storico mai raggiunto prima. La riduzione della produzione era pertanto nelle attese e, se viene considerato il lungo periodo di grave crisi economica generale che affligge il nostro Paese, dimostra una buona capacità di tenuta del settore mangimistico nazionale, la cui produzione resta comunque al di sopra della soglia delle 14 milioni di tonnellate.
Una tenuta che appare confermata anche dal fatto che i mangimi prodotti dalle nostre industrie sono destinati quasi per intero al mercato nazionale e che eventuali cali dei consumi interni non possono essere compensati con le esportazioni per mantenere alto il livello di produzione, così come avviene di regola per altri comparti del settore alimentare che possono beneficiare anche della domanda proveniente dall’estero.
Un importante indicatore su cui è doverosa una riflessione è l’aumento del fatturato del settore che, stante la riduzione della produzione, è bene precisare si deve unicamente all’effetto prezzi, in continua ascesa per tutte le principali materie prime per mangimi, ormai su livelli prossimi ai massimi storici e agli analoghi forti incrementi di tutti gli altri principali costi di produzione (energia, lavoro, trasporti, ecc.).
Nell’economia generale del settore quello che preoccupa maggiormente l’industria mangimistica non è tanto la flessione della produzione, quanto piuttosto altri aspetti:
- l’aver dovuto scontare una forte erosione della redditività aziendale, per dare un aiuto agli allevatori in grave difficoltà;
- il pesante taglio degli investimenti a causa della minore disponibilità di risorse;
- l’impossibilità di accesso al credito;
- l’aver dovuto perseguire fortissime economie per evitare riflessi sull’occupazione e per mantenere quei margini vitali di operatività.
Tutti aspetti che denunciano il permanere di una situazione di forte stress per le aziende e che necessitano risposte urgenti da parte politica, per ridare prospettive all’intero settore agroalimentare.
Nei singoli tipi d’allevamento
Nel dettaglio della produzione dei mangimi destinati alle diverse specie animali da allevamento, si riscontrano cali sensibili per i comparti sia bovino (-4,5%) che suino (- 2,9%) ed una riduzione marcata è stato accusata anche nella produzione dei mangimi per conigli (- 4,6%) e per ovi-caprini (- 9,9%).
In controtendenza, invece, si è mostrato il comparto avicolo che ha evidenziato nel complesso un incremento produttivo del +1,2%, dovuta essenzialmente alla buona perfomance dei mangimi per polli da carne (+5,0%) e per tacchini (+5,7%), mentre un calo sensibile si è registrato in quelli per le galline ovaiole (-4,6%) quale conseguenza del ridimensionamento dei capi allevati a seguito dell’adeguamento delle gabbie per la normativa sul benessere animale.
Tra le specie minori, infine, positiva è stata la produzione dei mangimi destinati ai pesci d’acquacoltura (+3,8%). Sostanzialmente stabili i mangimi per equini e per animali familiari (pet-food).
Rispetto al totale della produzione i mangimi per avicoli rappresentano il 40,4%, quelli per bovini il 25,1%, quelli per suini il 23,5% e quelli destinati agli altri animali l’11%.
Il mercato delle materie prime
L’andamento del mercato delle materie prime per mangimi ha visto, anche nel 2012 e per il terzo anno consecutivo, una considerevole crescita delle quotazioni – con l’unica eccezione del mais, in leggerissimo calo nella media d’anno – non mancando, così, di avere importanti ricadute su questo settore di industria.
Per il mercato delle commodities, si è aperta certamente una nuova era, dominata da una domanda in notevole crescita in tutto il mondo e da una forte volatilità, con uno spostamento verso l’alto dei prezzi, oramai riposizionati su livelli prossimi ai massimi storici per il settore.
Inevitabili, pertanto, le ricadute sul costo dei mangimi e sugli allevamenti, per i quali l’alimentazione degli animali rappresenta una delle principali voci di spesa, ma anche sui costi di produzione di tutti i prodotti zootecnici.
La qualità sanitaria
Altro aspetto che preoccupa non poco le industrie mangimistiche, è la qualità sanitaria delle materie prime per mangimi, con particolare riguardo al problema delle micotossine nei cereali, specie nel mais, in cui vengono riscontrati con frequenza sempre maggiore valori oltre le soglie di sicurezza che ne rendono impossibile l’impiego in alimentazione animale.
Un fenomeno che si è manifestato su una percentuale importante del raccolto di mais dell’ultima campagna sul quale è necessario venga prestata, a tutti i livelli, quell’attenzione che fino ad ora è mancata. È auspicabile, in particolare, un maggiore coinvolgimento della produzione primaria e un più attento controllo da parte delle Autorità competenti nelle fasi di coltivazione, raccolta e stoccaggio, per evitare che il problema venga trasferito alle industrie di trasformazione a valle della filiera – come quelle mangimistiche – con tutte le pesanti conseguenze che ne derivano in termini economici, di sicurezza e di immagine per i prodotti alimentari.
L’auto-approvvigionamento
Ora, si può sottolineare l’importanza dell’import per garantire l’auto-approvvigionamento di “mangimi finiti”.
Per al produzione di mangimi occorrono grandi quantità di materie prime. Purtroppo, l’Italia non ha mai avuto l’autosufficienza nella produzione di materie prime agricole e in questi ultimi anni, complice anche una politica poco attenta ai problemi dell’agricoltura, la quasi totale assenza di ricerca pubblica e la progressiva perdita di competitività delle nostre produzioni, si è assistito ad un’ulteriore crescita della nostra dipendenza dall’estero, che per le materie prime vegetali è di circa il 50% del nostro fabbisogno. Alla cronica insufficienza di frumento tenero, di orzo e di farine proteiche (specie di soia), si è aggiunto da qualche anno anche il mais – materia prima principe in alimentazione animale – per il quale si registra una progressiva erosione delle superfici coltivate ed una stagnazione delle rese produttive, con un deficit ormai superiore al 40%.
Tuttavia, se per le materie prime il ricorso alle importazioni è indispensabile, per i “mangimi finiti” la produzione realizzata dall’industria italiana risulta in grado di coprire quasi per intero la richiesta che proviene dai nostri allevamenti. Visto in chiave di filiera, il quasi totale auto approvvigionamento di mangimi (pari al 96,3%), rappresenta un importante elemento di cui beneficia l’intero agro-alimentare:
- le aziende mangimistiche effettuano una capillare azione di controllo su tutte le materie prime utilizzate, siano esse nazionali o di importazione, cui si aggiungono i controlli delle autorità preposte, garantendo così un elevato standard del “mangime finito” italiano;
- viene assicurato ai nostri allevamenti e di riflesso all’intera filiera alimentare, un livello di sicurezza notevole dei “mangimi italiani”, prodotti con attenzione non solo alle esigenze generali della nostra zootecnia ma anche con riguardo alle specifiche dei vari disciplinari di produzione di tutte le più importanti Dop nazionali;
- grazie all’industria mangimistica un intero settore, che si fonda sull’esaltazione del “made in Italy alimentare”, può contare fin dall’alimentazione degli animali su prodotti che provengono da aziende nazionali, aggiungendo un elemento di ulteriore valorizzazione per tutta la zootecnica e per gli alimenti di origine animale che ne derivano e contribuendo ad esaltarne tradizione, qualità e tipicità.
L’industria mangimistica si conferma, pertanto, una realtà importante nel panorama agro-alimentare del nostro Paese, confermandosi un settore fondamentale non solo per la sopravvivenza della zootecnia, ma anche per le produzioni del “food made in Italy”.
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