Rappresentanti di tutte le fasi della filiera lattiero casearia, dalla mangimistica alla grande distribuzione, dall’allevamento all’industria di trasformazione, si sono dati appuntamenti oggi a Milano al Dairy Summit, un impegnativo evento organizzato da Tecniche Nuove - New Business Media (e quindi anche dalle redazioni delle riviste Edagricole Terra e Vita e Informatore Zootecnico) per discutere delle principali dinamiche di mercato del settore. E questa è già una notizia perché è effettivamente cosa molto rara che convention così complete, una sorta di stati generali del latte, si verifichino nel nostro paese. Almeno per questo settore.
Ed è una notizia anche il fatto che si siano persino potute registrare convergenze, anche importanti: tutti gli esperti presenti alla kermesse milanese hanno sottolineato l’importanza di “fare filiera”, ossia di trovare forme di collaborazione e di comunicazione tra le varie categorie coinvolte, consumatori compresi. Così come hanno sottolineato l’importanza di sollecitare il nuovo governo a collaborare a rendere meno difficile il lavoro dei produttori.
Ha dato il la alle analisi del Dairy Summit l’intervento dell’editore Ivo Nardella, direttore di IZ, che ha richiamato l’insegnamento dell’architetto Ernesto Nathan Rogers (1909-1969), autore fra l’altro del disegno della Torre Velasca di Milano. Tra i motti di Nathan Rogers, ha ricordato Nardella, c’era questo: «Dal cucchiaio alla città». Ossia compito dell’architetto è tenere conto della vita quotidiana delle persone che vivono in città, il cucchiaio, prima di progettare le infrastrutture e i servizi della stessa città.
Deve essere così anche nel settore lattiero caseario, ha continuato l’editore: l’allevatore, l’industriale devono guardare anche alle esigenze degli altri interlocutori del settore, tra cui il consumatore, prima di progettare la propria produzione. Ossia devono guardare al resto della filiera. «Devono guardare oltre il formaggio. Tener conto del fatto che devono venire incontro alle richieste del consumatore, il quale guarda all’origine, al benessere animale, alla qualità, al terroir. E attraverso meeting come quello di oggi la nostra casa editrice cerca di promuovere questa consapevolezza appunto di filiera».
Le richieste alla politica
Su questi aspetti si è dunque incentrato il confronto fra i vari relatori del Dairy Summit. Dibattito che è entrato nel vivo in particolare quando dal palco di Milano è arrivata una raffica di richieste ai nuovi decisori Ue e in particolare al nuovo governo. Gianmichele Passarini della Cia: l’Italia deve convincere la Ue a istituire una ocm anche nel lattiero caseario. Antonio Boselli di Confagricoltura: il settore è preoccupato per quanto potrà succedere con i nuovi rapporti col Mercosur.
Ettore Prandini di Coldiretti: il governo deve cominciare a pianificare e deve farlo guardando non più all’immediato ma al medio periodo. Giovanni Guarneri di Alleanza Cooperative: serve il cuneo fiscale, bisogna opporsi ai dazi, la politica deve far uscire il settore dall’incertezza. L’assessore agricoltura della Lombardia Fabio Rolfi: il governo deve mettere al centro delle politiche agricole la zootecnia, anche perché questa è il portabandiera dell’agroalimentare italiano nel mondo; deve varare un piano di settore per la zootecnia da latte; deve lavorare anche sulla comunicazione, le istituzioni non devono essere inerti sulle fake news e sull’educazione alimentare.
Richieste forti e bipartisan, insomma. Di fronte alle quali, ed ecco un’altra notizia, il nuovo governo non ha fatto orecchie da mercante. Il ministro Teresa Bellanova infatti, pur non essendo fisicamente presente, ha voluto inviare il proprio saluto in diretta agli operatori presenti al Dairy Summit di Milano.
Il ministro: convocherò la filiera
Un saluto che si è sviluppato con queste parole: «Anticipo già fin d’ora l’intenzione di convocare a breve la filiera lattiero-casearia al Ministero per un momento di condivisione di obiettivi e azioni operative. Penso alla necessità di rafforzare i rapporti tra allevatori e trasformatori, anche attraverso lo strumento degli accordi e dei contratti di filiera. Al lavoro da fare sulla catena del valore, anche attraverso il contrasto alle pratiche sleali con l’attuazione della direttiva europea che ha visto come protagonista fondamentale Paolo De Castro, con il quale ho avuto modo di confrontarmi su questo tema. All’opportunità annunciata dal Commissario Hogan di un sistema europeo di trasparenza sui prezzi. Al tema rilevantissimo della tracciabilità e dell’etichettatura d’origine che ha visto il settore lattiero italiano avanguardia nella trasparenza. Più informazioni si danno al consumatore, più si rende forte il rapporto con il produttore e su questa strada dobbiamo fare passi in avanti a livello europeo. Usando l’etichetta per avvicinare i consumatori, fornire loro elementi utili e non distorti come nel caso delle etichette a semaforo».
Il messaggio di Bellanova ha toccato poi anche le urgenze sul fronte internazionale. «Abbiamo bisogno - ha rimarcato la ministra in conclusione del saluto che ha indirizzato ai partecipanti al Dairy Summit - di affrontare i mercati consapevoli dei nostri valori e con gli strumenti giusti per difenderli. Dobbiamo battere il falso e la contraffazione. I nostri formaggi sono tra i più imitati al mondo e ogni confezione di parmesan, mozzarilla o cambozola venduta è un furto di identità all’Italia. È necessario aumentare le nostre esportazioni per vedere riconosciuta la qualità delle produzioni autentiche Made in Italy».
Infine ha toccato le urgenze sul piano interno: «Bisogna affrontare il calo dei consumi con un lavoro di sistema. Investire sull’innovazione, sulla ricerca, sul benessere animale, sulla sostenibilità delle produzioni. E comunicarlo di più e meglio. Chi mi conosce sa del mio personale impegno contro le fake news e credo che anche nel settore del latte ci sia bisogno di chiarezza. Momenti come quello odierno aiutano anche in questa direzione».
Dopo l’evento la Carta del Latte
Il Dairy Summit di Milano si è concluso con la redazione e la firma, da parte degli operatori presenti, della “Carta del Latte”. Si tratta di un manifesto del settore, una dichiarazione di intenti seguita da una serie di richieste al mondo della politica che ha lo scopo di far crescere la filiera e di sostenere il made in Italy.
Il documento sta ancora circolando perchè anche operatori del settore non presenti all’incontro di Milano hanno chiesto di firmarlo. Ne riparleremo. l
Il ruolo chiave della comunicazione
Qualità, filiera, sostenibilità sono state le parole chiave della tavola rotonda del mattino, al Dairy Summit di Milano. Tre fattori che però i relatori hanno connesso a un unico grande concetto cardine: comunicazione. Comunicazione dalla filiera al consumatore, com’è intuibile, ma anche comunicazione tra i vari attori della filiera. Solo facendo conoscere in modo completo la qualità del prodotto al consumatore finale, ha detto per esempio Alessandra Corsi, direttore marketing offerta e Mdd di Conad, il prodotto caseario potrà ottenere la giusta valorizzazione.
Parliamo della qualità organolettica e nutrizionale, ovviamente, ma anche della qualità etica: la garanzia che il prodotto offerto è stato ottenuto rispettando l’ambiente, il lavoro, il benessere animale. Un punto del quale ha parlato Granarolo, annunciando i tre nuovi obiettivi dell’industria bolognese: benessere animale, allontanamento della plastica, basta sprechi (IZ ne ha parlato a fondo recentemente, sul numero 14 e sul sito internet). Su questo punto ha insistito anche il direttore di Latteria Soresina, Michele Falzetta, che ha ricordato il successo dello spot tv lanciato ultimamente dalla cooperativa, dove il consumatore scettico veniva simpaticamente portato in stalla a verificare la serenità delle bovine degli allevamenti soci.
Sulla stessa lunghezza d’onda il nuovo direttore marketing del consorzio del Parmigiano Reggiano, Carlo Mangini: «Stiamo varando una raffica di nuove iniziative per comunicare cinque nostri grandi orientamenti: territorio, ambiente, comunità, benessere animale, benessere del consumatore».
La comunicazione però è un elemento indispensabile anche nei rapporti tra i vari anelli della filiera, come ha ricordato per esempio un terzo rappresentante della fase della trasformazione, Matteo Torchio, direttore marketing di Inalpi. L’industria piemontese infatti basa la propria strategia su un ampio scambio di informazioni a monte, con gli allevatori conferitori, quasi tutti della regione, e a valle, con gli acquirenti del proprio latte in polvere, tra cui la Ferrero. Comunicazione intra-filiera in primissimo piano anche nell’intervento di Lea Pallaroni, segretario generale di Assalzoo: gli industriali mangimisti italiani garantiscono agli allevatori ma anche alle latterie l’elevata qualità e la piena sicurezza dei propri alimenti zootecnici.
L’importanza di una stretta comunicazione intra-filiera, come quella offerta dalle associazioni allevatori ai singoli produttori, è stata sottolineata da Fortunato Trezzi, presidente dell’Anafij. Che ha ricordato l’esempio del nuovo indice genetico sull’attitudine alla caseificazione del latte messo a punto dal sistema allevatori in collaborazione col Parmigiano Reggiano: «Applicandolo negli allevamenti, l’efficienza casearia del latte aumenterà, e con questa i benefici economici a favore sia dei caseifici sia degli imprenditori zootecnici». Pienamente all’interno di questa situazione anche la ricerca zootecnica, come quella realizzata dal Crea di Lodi: il direttore del centro, Andrea Galli, ha proposto l’esempio di una delle più avanzate acquisizioni Crea, la zootecnia di precisione, che rendendo più efficace il controllo delle bovine ne aumenta le performance produttive. E qui il nodo è convincere sempre più allevatori ad adottare questa nuova tecnica.
Benessere animale, ormai un must
GrGran parte dei messaggi lanciati dagli operatori della filiera al Dairy Summit erano dedicati al rispetto del benessere animale: si tratta ormai di un prerequisito, perché lo chiede l’opinione pubblica e il mercato. All’incontro di Milano ha dato rigore tecnico a questa discussione uno dei maggiori esperti italiani della questione, il medico veterinario Francesca Fusi, in forze all’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna (in sigla Izsler) e uno dei principali collaboratori del Crenba (Centro di referenza nazionale per il benessere animale).
Si è chiesta dunque Francesca Fusi: cosa intendiamo per “benessere animale”, nell’ambito dell’allevamento degli animali da reddito? La risposta ha bisogno di alcune considerazioni:
- Il consumatore associa abbastanza automaticamente il concetto di benessere animale al pascolo. Per lui il pascolo è sinonimo di condizioni di vita “naturali” e quindi appunto di “benessere” (Skarstad et al 2007; Napolitano et al 2010). Senza valutare però che, per le caratteristiche geografiche del nostro Paese, mandare una bovina al pascolo può voler dire esporla a seri pericoli come assenza di riparo, avversità climatiche ed aggressione da parte di predatori, nonché – soprattutto nel caso di animali ad alta produzione – lasciarla in balìa di numerosi fattori stressanti a cui può far fatica ad adattarsi (es. sbalzi termici, alimentazione non adeguata, penuria di acqua, sentieri ripidi, pendii accidentati, ecc.).
- Per un allevatore invece, in genere benessere animale è sinonimo di mandria senza malattie, ben produttiva e fertile, senza considerare che questo è sì una parte del tutto ma da solo non è sufficiente. In aggiunta, in tante stalle esistono situazioni di incuria e negligenza anche gravi, perseguibili per legge: es. scarsa igiene, sovraffollamento, animali mal gestiti con evidenza di lesioni, zoppie o scadenti condizioni corporee, ecc.
Più razionalmente, ha continuato la veterinaria, il benessere animale può essere definito come un concetto multidimensionale (Fraser et al 1997, von Keyserling et al 2009), che comprende:
- Funzione biologica: l’animale è in salute? Può mangiare e bere? L’organismo funziona correttamente? (ascrivibile alle prime tre delle “cinque libertà” del benessere animale, vedi nota ).
- Comportamento: l’animale può manifestare il proprio istinto “naturale”, le proprie attitudini e i propri comportamenti specie specifici? (ascrivibile alla libertà n. 4).
- Stato emotivo: l’animale prova dolore, stress, sofferenza, paura, frustrazione? Può vivere emozioni positive? (ascrivibile alla libertà n. 5).
- Oltre questi tre aspetti base del benessere animale, non è possibile prescindere dalla cura e dalla gestione che l’uomo compie nei confronti degli animali allevati, di cui siamo pienamente responsabili.
Vista la complessità dell’argomento e il rischio di cadere in interpretazioni soggettive, è necessario sottoporre ciascun allevamento ad una “valutazione del rischio” il più possibile oggettiva e ripetibile, grazie al metodo e ai parametri proposti dall’Izsler/Crenba per la valutazione del benessere animale. Il sistema si basa su numerose e precise basi scientifiche (Welfare Quality, report e opinion dell’Efsa, ecc.) e comprende, attraverso svariati elementi di verifica, l’analisi e la misurazione dell’ambiente in cui vivono gli animali (management aziendale; strutture e attrezzature di allevamento), nonché la fondamentale valutazione delle loro condizioni tramite applicazione delle animal-based measures (es. condizione corporea, zoppia, lesioni, sporcizia, ecc.). Il metodo è inoltre stato sottoposto a una consultazione di esperti medici veterinari per caratterizzare ciascun elemento di verifica (Bertocchi et al 2018) e poter produrre un algoritmo di calcolo con cui fornire un livello di rischio per ciascuna mandria.
Oggi i metodi e i parametri Izsler/Crenba fanno parte del sistema ClassyFarm creato dal ministero della Sanità (vedi www.classyfarm.it), che prevede tramite una dettagliata raccolta dati di categorizzare gli allevamenti in base al rischio, tendendo conto di numerosi aspetti tra cui: benessere animale, biosicurezza, uso di antimicrobici, dati al macello, dati sanitari, alimentazione.
Fondamentale per il buon funzionamento del sistema è il contributo del veterinario aziendale, caposaldo della raccolta dati per l’epidemiosorveglianza.
La relazione tenuta da Francesca Fusi a Milano, comunque, è stata molto più ampia e dettagliata di questo veloce riassunto: potremo consultarne le slide sul sito internet dell’Informatore Zootecnico. G.S.
Queste le “cinque libertà” del benessere animale: 1) Libertà da sete, fame e malnutrizione. 2) Libertà dai disagi ambientali. 3) Libertà da dolore, ferite e malattie. 4) Libertà di poter manifestare il proprio repertorio comportamentale specie-specifico. 5) Libertà dalla paura e dallo stress.
Fonte: Farm Animal Welfare Council (Fawc), 1979.