Nicola Bertinelli: Parmigiano Reggiano come marca iconica

Un momento dell'iniziativa Caseifici aperti
Il presidente rivela le nuove strategie del consorzio di tutela. Il prodotto “deve essere sempre di più un love brand”. E lancia l’idea dei Caseifici turistici
Nicola Bertinelli, presidente del consorzio del Parmigiano Reggiano

Nelle politiche del consorzio del Parmigiano Reggiano un paio di scelte, viste da fuori,  possono apparire particolari, controcorrente.
La prima è relativa all’alimentazione delle bovine. Il consorzio vieta l’impiego dei convenientissimi insilati, propugnando al loro posto l’impiego del costosissimo fieno; ma nel resto del mondo zootecnico gli insilati sono considerati un must. La motivazione della dop è nota, consiste nella maggiore qualità del latte e del formaggio che ne derivano; ma al di fuori del comprensorio del Parmigiano Reggiano gli insilati stravincono.
La seconda di tali scelte è il fatto che le politiche del consorzio favoriscono la produzione di montagna, un areale in cui i costi di produzione (quelli della foraggicoltura, quelli del trasporto del latte…) sono molto più alti che non in pianura. Sembrerebbe invece più immediato puntare piuttosto sui territori di pianura, dove la zootecnia e la caseificazione sono operazioni più agevoli e meno costose.
Ma sulla montagna il consorzio del Parmigiano Reggiano continua a scommettere con convinzione: il 21,7% di questa dop viene ottenuto negli areali declivi a sud della via Emilia, con 884mila forme prodotte nel 2024. E il trend è in crescita, perché questo dato delle 884mila forme non segna solo un +2,6% rispetto al 2023, ma segna anche un importante +15,4% rispetto al 2016.

Scelte decisamente controcorrente, ma i risultati economici dicono che sono scelte azzeccate, e si tratta di dati di fatto piuttosto concreti: per gli allevatori le cose vanno benissimo, con prezzi del latte alla stalla che hanno raggiunto i livelli più elevati di ogni tempo.
Le cose vanno molto bene anche sul piano commerciale, dal momento che il Parmigiano si è conquistato un prestigio incredibile sui mercati, nazionali e internazionali, con le conseguenti positive ricadute economiche.
Dunque: da una parte abbiamo scelte che si distaccano dalla più scontata mentalità imprenditoriale; dall’altra abbiamo soddisfazioni economiche assai concrete e consistenti.

Per comprendere i termini di questa apparente contraddizione l’Informatore Zootecnico si è rivolto direttamente al presidente del consorzio di tutela, Nicola Bertinelli, che non a caso l’aprile scorso è stato riconfermato tale per la terza volta consecutiva.
Spoiler: in questo nostro lungo e approfondito colloquio Bertinelli motiverà queste particolari scelte del consorzio spiegando che la strategia, la traiettoria futura del Parmigiano Reggiano è quella di “diventare una marca iconica a livello globale. Dove diventare iconica significa diventare un love brand, una marca amata, un qualcosa che va oltre l’aspetto tecnico, razionale, del prodotto”.
E i brillanti risultati economici del Parmigiano Reggiano, sia a livello macro sia a livello microeconomico, stanno lì a confermare che questa strategia funziona.
Ma procediamo con ordine e cominciamo dai maggiori costi per gli allevatori dovuti al no agli insilati.

Presidente Bertinelli, ho qui in mano un report della Bmti, le Borsa merci telematica, che dice che il prezzo di acquisto dell’erba medica di secondo taglio ha raggiunto i 165-190 euro/tonnellata, con un aumento del 20% rispetto all’anno precedente.
Certo, la questione dei costi di alimentazione delle bovine è una questione di primo piano. Oggi però se parliamo con gli allevatori vediamo che c’è una grande soddisfazione, perché abbiamo quotazioni del prodotto che vanno a remunerare in un modo adeguato il lavoro e gli investimenti che gli allevatori fanno.
Dobbiamo allora citare il dato del prezzo medio del latte alla stalla ottenuto dagli allevatori del Parmigiano Reggiano. Può stimare una cifra?
Oggi il prezzo del latte alla stalla supera abbondantemente i 90 euro al quintale. In caso di caseificio cooperativo è più alto, ha anche sfondato i 100 euro al quintale. Ecco perché il nostro mondo oggi offre una interessante redditività agli allevatori e sta mostrando una coerenza tra le varie politiche del consorzio.
Tra le quali appunto il no agli insilati. Torniamo dunque alla questione dei costi di alimentazione delle bovine.
Mentre mais o soia hanno prezzi sostanzialmente in linea con la loro storicità, i foraggi, in modo particolare la medica, hanno manifestato un aumento dei prezzi. E si prevede comunque un aumento dei prezzi anche in futuro perché di foraggi non ce n’è abbastanza, c’è un forte calo della produzione di medica nel nostro comprensorio dovuto all’andamento climatico.
Un vero problema, anche perché i foraggi svolgono un ruolo chiave nell’allevamento delle vostre bovine.
Teniamo sempre presente che il disciplinare di produzione del Parmigiano Reggiano impone che le bovine mangino almeno il 50% della loro sostanza secca in foraggi, e quei foraggi devono provenire per il 75% dal comprensorio e almeno il 50% dell’azienda dove la stalla insiste, questo è un vincolo imprescindibile.
Dunque il tema della medica è sicuramente un grosso tema.
Certo, proprio perché a causa dell’andamento climatico abbiamo avuto una produzione ridottissima di fieno di medica. In particolare i nuovi impianti di medica non hanno attecchito perché l’eccesso d’acqua caduta nel corso della stagione ha soffocato i nuovi impianti.
In conclusione nel comprensorio c’è una minore produzione di medica e quindi si prevede un maggior prezzo d’acquisto della medica sul mercato. Questo penalizza di più la foraggicoltura di montagna che non quella della pianura.
Sicuramente: è molto più difficile produrre medica in montagna. E questo soprattutto perché diventa molto difficile poter irrigare. E di conseguenza se in pianura attraverso l’irrigazione si riescono a fare più sfalci, nella montagna non si riesce. Questo ovviamente si aggiunge agli altri maggiori costi della coltivazione in montagna e anche ai maggiori costi della trasformazione del latte in montagna a causa soprattutto dei costi di trasporto.
Quanto costa produrre Parmigiano Reggiano in montagna?
In totale costa almeno 10 euro al quintale di latte in più che in pianura.
Di fronte a questo fatto c’è però un altro dato di fatto: il Parmigiano Reggiano si conferma il più importante prodotto dop d’Europa ottenuto in montagna.
Questo è un grande risultato del consorzio perché con le sue 884mila forme ottenute nel 2024 il Parmigiano Reggiano ottiene in montagna il 21,7% della sua produzione. Ed è l’unico progetto in Europa che ha visto non solo il mantenimento della produzione in montagna ma addirittura un aumento nel tempo. Inoltre c’è un altro dato molto importante: mentre in Italia l’età media del conduttore di azienda agricola è 58 anni, nella zona di montagna del Parmigiano Reggiano l’età media scende ben al di sotto dei 50 anni.
Dunque, in media, in montagna i produttori di Parmigiano Reggiano sono più giovani. Come si spiega?
Vuol dire che l’imprenditore zootecnico vede in questa produzione una ragione per rimanerci. Questo fenomeno si verifica grazie alle politiche economiche e sociali che il consorzio ha messo in campo, in primis nel proprio piano di regolamentazione dell’offerta; politiche che hanno visto privilegiati gli imprenditori della montagna.
Citerebbe le principali di queste politiche del consorzio a favore della montagna, legate al piano di regolamentazione dell’offerta?
Per esempio la contribuzione aggiuntiva in montagna è la metà rispetto a quella della pianura (contribuzione aggiuntiva: se un socio del consorzio produce più latte rispetto ai titoli a produrli, paga una contribuzione aggiuntiva). Secondo esempio: il valore delle quote latte in montagna, quindi il prezzo di acquisto, è la metà rispetto a quello della pianura. Terzo esempio: il fatto che le quote dalla pianura possano andare in montagna ma dalla montagna non possono scendere in pianura, altrimenti sarebbe si potrebbe svuotare il bacino della montagna.
Conseguenze?
In merito al primo esempio, quello della scontistica sulla contribuzione di cui il socio può godere in montagna: se io sono un produttore di latte in montagna, trasformo il mio latte in un caseificio in montagna, e aderisco al progetto di qualità montagna del consorzio, posso avere sconti fino al 50% della mia contribuzione. Questa possibilità, insieme a quelle citate negli altri due esempi proposti prima, ha fatto sì che in montagna non solo si rimanesse, quindi non si abbandonasse questo areale, ma che ci si insediasse.
Sembra un importante risultato.
È un grande risultato di politica. Ed è l’unico esempio in tutta Europa. Perché non dimentichiamo una cosa, che se il produttore di montagna ha una redditività, quindi se esiste una sostenibilità economica delle produzioni, allora di conseguenza c’è una comunità che rimane, che dà posti di lavoro; e se il produttore resta in un certo territorio si prende anche cura del luogo nel quale risiede. E quindi oltre alla sostenibilità economica c’è anche una sostenibilità ambientale. Questa politica del consorzio ha permesso che ci fosse un futuro nella montagna per di più ottenendo una serie di esternalità positive per tutta la società. Ed è uno dei pochissimi esempi al mondo.
Ci si può chiedere: ma perché lo fate? Chiaramente è una scelta difficile. Se si puntasse di più invece sulla pianura, come fanno altre realtà lattiero casearie, ci sarebbero meno problemi economici.
Intanto rispondo sottolineando che non bisogna pensare al comprensorio di produzione del Parmigiano (Parma, Reggio, Modena, Mantova alla destra del fiume Po, Bologna alla sinisra del fiume Reno) pensando soltanto all’autostrada A1; in realtà due terzi di queste terre sono colline e montagne e se non ci fosse il Parmigiano Reggiano queste terre non sarebbero coltivate. Ecco il valore sociale di questa situazione. In più la cronaca ci ha insegnato che se in un territorio montano non c’è la presenza dell’uomo che lo presidia, possono insorgere problemi di dissesto geologico.
Ma voi, che siete dei privati, potreste anche disinteressarvi dei problemi del territorio e puntare di più sulla facile produzione di pianura.
La risposta decisiva a questo tipo di obiezione è la seguente: la politica del consorzio, la traiettoria di futuro del Parmigiano Reggiano, è quella di diventare una marca iconica a livello globale.
Marca iconica? Cosa significa?
Marca iconica vuol dire che il Parmigiano Reggiano deve essere un love brand, deve essere una marca amata, quindi un qualcosa che va oltre l’aspetto tecnico, razionale del prodotto. Il territorio, la visita sul territorio, il nostro territorio, è quell’elemento che ti fa vivere quell’emozione. Ecco perché è importante il tema della montagna. Il Parmigiano Reggiano che cosa dovrà essere? Un formaggio? Non solo. Il Parmigiano Reggiano dovrà essere una destinazione turistica. Il Parmigiano Reggiano dovrà essere un luogo da visitare.
Non solo un formaggio.
Certo, mi spiego. Noi dobbiamo diventare una marca iconica a livello globale. Significa che  uno ci compra perché siamo molto di più di un pezzo di formaggio. Determinati segmenti del consumo in Italia, determinati tipi di famiglie in Italia, non compreranno più il Parmigiano Reggiano perché sta diminuendo il loro potere d’acquisto, il loro bisogno verrà soddisfatto da altri tipi di prodotti. Questo significa che noi dobbiamo investire ancora di più nei mercati internazionali. Inoltre significa che, attraverso la leva della destinazione turistica, dobbiamo puntare anche sull’aspetto emotivo. Tutto questo però ci impone sempre di restare ineccepibili anche dal punto di vista tecnico e qualitativo.
Ha affermato prima che il Parmigiano Reggiano dovrà essere anche una destinazione turistica, un luogo da visitare. Quest’idea richiama fra l’altro anche la vostra iniziativa “Caseifici aperti”.
Oggi noi ospitiamo nelle nostre terre circa 200mila persone all’anno. Sono tante o sono poche? Nella regione dello Champagne vengono ospitati oltre 2 milioni di persone all’anno. Quindi noi in realtà siamo assolutamente all’inizio di un ragionamento come questo.
Questo orientamento strategico, immagino, potrà essere agevolato dal boom del turismo enogastronomico.
In effetti viviamo in un momento storico che ci dà una mano in relazione a un ragionamento come questo, perché oggi il 15% del Pil dell’Italia è turismo. E il 35% dei turisti che vengono in Italia vengono non per andare al mare o andare in montagna, non per andare in città d’arte, il 35% viene nel nostro paese per l’enogastronomia italiana. E non c’è più un turismo trasversale: “Ho tre giorni e faccio un tour de force Venezia, Firenze, Roma”. Ma c’è un turismo esperienziale, un turismo verticale: “Vado in un luogo, in un luogo rimango, in un luogo voglio vivere esperienze, voglio conoscere persone”; è questo l’elemento che farà sì che il Parmigiano Reggiano diventi molto di più di un pezzo di formaggio, diventi un love brand.
Sembra possano guadagnarci tutti.
Il nostro territorio dà al Parmigiano Reggiano le sue caratteristiche organolettiche uniche. Il Parmigiano Reggiano restituisce al territorio questo grande valore, questa grande opportunità. Però abbiamo tutti una forte responsabilità in questa visione, perché se io vengo qui a fare un’esperienza negativa, tutto è vanificato.
In che senso un’esperienza negativa?
Se il sistema non accoglie come si deve i visitatori, se le persone vengono maltrattate, se i caseifici non sono adeguati ad accogliere le persone, è un problema. Fra l’altro sul territorio il visitatore deve poterci arrivare, ed è un tema di infrastrutture; sul territorio il visitatore deve  potersi spostare, ed è un tema di mobilità. Non è sufficiente permettere al visitatore di sbarcare a Reggio Emilia AV, bisogna preoccuparsi anche di come da quella stazione ferroviaria il visitatore possa poi spostarsi. Sul territorio il visitatore deve anche potersi fermare, ed è un tema di alberghi, di alloggi.
Una problematica piuttosto ampia.
È una grande visione, ma è anche una grande opportunità di politica di sviluppo territoriale. Sta in questa visione la differenza tra il Parmigiano Reggiano e un normale buon prodotto agroalimentare. Ed è questo il progetto territorio che il Parmigiano Reggiano ha in mente. Ecco perché noi, a riguardo, abbiamo fatto anche delle scelte di struttura.
Per esempio?
Per esempio colui che oggi è il nostro direttore marketing, Carmine Forbuso, in precedenza era il global marketing manager di Aperol Spritz, perché oggi l’aperitivo iconico italiano è lo spritz. Campari investiva per far trovare in piazza San Marco, a Roma, a Firenze, a Napoli in Piazza del Plebiscito, cioè nei luoghi iconici italiani, il suo famoso bicchiere arancione. Il turista veniva in Italia, beveva lo spritz, realizzava che è buono, poi tornava a casa, e quando in un bar riprendeva lo spritz riviveva l’emozione della vacanza fatta in Italia. Ecco perché diventi icona. Ti vengono a trovare gli amici a casa a fare l’aperitivo, vai nel retail, compri la bottiglia di Aperol, la bottiglia di Prosecco, e rivivi l’aperitivo all’italiana. È questo il passaggio dall’essere tecnicamente un ottimo prodotto al diventare invece un love brand, una marca iconica. Sono queste le ragioni per cui oggi il nostro direttore marketing è colui che prima era il global marketing manager di Aperol Spritz.
Be’, chiaramente in quest’ottica servirà collaborazione da parte del territorio.
Certo, ma anche collaborazione da parte delle istituzioni, che però hanno una grandissima opportunità: grazie al Parmigiano Reggiano questi territori possono diventare motore di sviluppo. E possono anche in parte opporsi al problema dell’over-tourism, decongestionare le città d’arte, tra cui Bologna, dall’eccesso di visitatori perché molti di questi turisti possono andare a visitare anche le terre del Parmigiano Reggiano, a patto che vengano rese agevolmente raggiungibili. Può diventare un progetto di territorio, ma bisogna avere le infrastrutture per far sì che l’esperienza sia un’esperienza fattibile e non diventi una via crucis.
Il vostro consorzio, da parte sua, cosa può fare in questo senso?
Il consorzio sta portando avanti politiche perché vengano incentivati i caseifici che noi abbiamo definito "turistici". Infatti un caseificio deve avere le caratteristiche giuste per accogliere in modo gradevole il visitatore e dargli i giusti servizi; altrimenti corre il rischio di fare qualcosa di controproducente alla politica della marca.
Caseifici turistici?
Certo, noi auspichiamo che in ogni provincia nascano dei “caseifici turistici”. Con precise  politiche di incentivo, una delle quali è la seguente. Sappiamo che se un socio del consorzio produce più latte rispetto ai titoli a produrli, rispetto alle quote, paga una contribuzione aggiuntiva. Noi possiamo pensare che i caseifici che devono al consorzio una contribuzione aggiuntiva, invece di dare questi denari al consorzio, potrebbero investire questi denari in azienda per adeguare le proprie strutture al fine di diventare appunto caseifici turistici. Inoltre il consorzio oggi ha scelto di avvalersi dell’esperienza di Cristiano Casa, il principale responsabile di Parma come sito Unesco, colui che ha inventato la Cena dei Mille, per intenderci.  Una figura che tutte le mattine quando si sveglia ha un obiettivo, quello di creare il Parmigiano Reggiano come destinazione turistica.
Quest’dea dei Caseifici turistici potrebbe essere una politica di sviluppo dalla grande visibilità.
Sì, perché questi caseifici fanno un servizio che risulta di grande utilità anche per gli altri caseifici del territorio che invece non vogliono occuparsi di questo tema. Perché diventare un caseificio turistico vuol dire entrare in un mondo di competenze che va al di là degli investimenti che devono essere fatti, un mondo di competenze che va anche oltre le competenze storiche del casaro o del produttore di latte.
In conclusione il consorzio sta mettendo in cantiere numerose nuove iniziative, spesso di grande impatto, spesso ambiziose…
L’attuale governo del consorzio sarà impegnato su tutto questo. Un governo che si è insediato il 9 aprile scorso con il mio terzo mandato. E sottolineo forse con un po’ di vanità, ma è una vanità di ringraziamento verso i soci, che è la prima volta che un presidente nel consorzio del Parmigiano Reggiano fa tre mandati.
Fra l’altro liberandosi di ostacoli come altri incarichi.
Be’, si deve fare i conti con serietà con il tempo che si ha. Perché oggi abbiamo portato il consorzio a un livello più impegnativo, con l’idea di occuparsi di temi di cui un tempo non ci si occupava. Abbiamo portato il consorzio a un livello per così dire istituzionale: dialoghiamo direttamente con il governo, abbiamo portato il presidente della Repubblica a Parma, mentre a metà ottobre abbiamo in agenda un altro importante meeting: alla Casa Bianca. Questa nuova impostazione richiede un impegno che è molto più pressante del fare semplicemente il presidente di un consorzio di produttori di formaggio.

Nicola Bertinelli mentre riceve nel proprio caseificio un gruppo di visitatori sardi

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ALLA RICERCA DI NUOVI MERCATI

Nel corso del nostro colloquio Nicola Bertinelli sottolinea a più riprese che la politica del consorzio, la sua strategia, è quella far diventare il Parmigiano Reggiano “una marca iconica a livello globale”. E se abbiamo discusso a fondo dell’idea di “marca iconica” resta da approfondire il concetto della presenza del prodotto “a livello globale”.
Quando parla di affermazione del Parmigiano Reggiano a livello globale allude alle previsioni che ipotizzano una contrazione del tradizionale mercato nazionale?
Fra ottant’anni gli italiani saranno solo in 30 milioni, la metà delle persone che saranno residenti nel paese. In Italia nascono 374mila bambini all’anno; e tanti di quei bambini nasceranno da famiglie di origine non italiana, quindi l’alimentazione dei futuri residenti in Italia probabilmente prevederà in preferenza cibo più legato alle loro tradizioni. Quindi, guardando al futuro, il numero di consumatori di Parmigiano Reggiano in Italia se va bene si dimezza.
Inoltre in Italia si stima una generale riduzione del potere d’acquisto dei consumatori.
Sì, in Italia abbiamo una clusterizzazione dei redditi che prevede che il 25% delle famiglie non arrivi a fine mese e che il 40% debba fare due conti per arrivare a fine mese. Questo 65% delle famiglie italiane se ha bisogno di formaggio, se gli serve un formaggio italiano da grattugiare, ha davanti a sé diverse alternative al Parmigiano Reggiano. Tu non compri lo champagne per il bisogno, perché hai bisogno di bere un vino bianco con le bollicine; tu lo compri perché vuoi qualcosa di iconico, perché devi celebrare qualcosa. Ecco, il Parmigiano Reggiano deve andare in questa direzione.
Quindi è normale che in Italia il Parmigiano Reggiano perda progressivamente volumi di mercato, perché quel 65% di persone che lei ha citato trova in altri prodotti il soddisfacimento del proprio bisogno.
Certo. Ma se un prodotto vuole essere un’icona, deve essere molto di più di qualcosa di razionale dal punto di vista tecnico. Il Parmigiano Reggiano da sempre viene considerato un formaggio buono, senza additivi, senza conservanti, naturale, molto versatile in cucina… ma questi sono aspetti tecnici. Ma per essere molto di più di un pezzo di formaggio, il Parmigiano Reggiano deve andare a toccare un aspetto emotivo.
In altre parole?
Il consumatore deve vivere un’emozione. Ha vissuto un’emozione e quando riprende in mano il prodotto la torna a vivere. E questa emozione è l’esperienza che si vive venendo nei nostri territori, visitando i nostri territori. Per dire, questa è la ragione per la quale noi organizziamo l’evento Caseifici aperti.
"Caseifici aperti": in molti weekend i consumatori, famiglie, turisti, possono visitare i singoli caseifici del Parmigiano Reggiano, magazzini compresi, accolti e guidati dai conduttori dell’azienda.
La ragione per cui Caseifici aperti è diventato e diventerà sempre di più un evento di carattere nazionale, quindi non una cosa locale, e il fatto che per questo venga effettuata un’attività di comunicazione di carattere nazionale, è la seguente: se tu visiti i nostri territori, capisci perché il Parmigiano Reggiano è molto di più di un pezzo di formaggio.

 

 

Nicola Bertinelli: Parmigiano Reggiano come marca iconica - Ultima modifica: 2025-07-29T09:37:02+02:00 da Giorgio Setti

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