La più importante dop prodotta in montagna, a livello europeo, è quella del formaggio Parmigiano Reggiano. Con numeri elevatissimi: ben 883.749 forme ottenute nel 2024 in questa porzione del suo comprensorio.
Per comprendere di quali volumi stiamo parlando ricordiamo che una forma di Parmigiano pesa sui 40-41 kg e che per ottenere una forma di questo formaggio servono almeno 500 litri di latte di grande qualità.
Ma c’è un aspetto distintivo, puntualizza Riccardo Deserti, direttore del Consorzio di tutela: questo imponente volume di fuoco, nonostante si realizzi in zone svantaggiate, si concretizza senza il puntello dell’assistenzialismo da parte pubblica, puntando solo sul riscontro del mercato.
Direttore Deserti, come si può quantificare la produzione in montagna di Parmigiano Reggiano dop?
Il dato produttivo di riferimento è che nella produzione di Parmigiano Reggiano quest’anno arriviamo in totale intorno ai 4,1 milioni di forme, e che di queste più di 880mila sono prodotte in montagna. Dunque la quantità di forme ottenute in montagna è oltre il 21%.
Questo significa che il nostro formaggio di montagna non è un accessorio, è una componente molto importante della produzione di Parmigiano Reggiano.
E quanti caseifici soci del consorzio operano in montagna?
Il numero di caseifici in montagna è pari a 84, quando in totale nel Consorzio ne contiamo 291. Il numero di allevatori che operano in montagna nel 2023 era pari a 829, il 36% del totale dal momento che nell’intero consorzio ne abbiamo 2.300. Il numero di forme ottenute nel 2024 è cresciuto in generale nel consorzio rispetto al 2023; ma è cresciuto
del 2,55% in montagna contro il +1,62% della pianura alta e il +1,16% della pianura bassa.
In conclusione la produzione di Parmigiano Reggiano in montagna sembra
godere di un ottimo stato di salute.
Certo, dal momento che è in crescita. Ma la vera chiave interpretativa di questo trend è che tutto questo grande volume produttivo, nonostante ci si trovi in aree svantaggiate, si verifica senza l’artificioso sostegno dell’assistenzialismo. Non avviene lo stesso in altri areali lattiero caseari europei: per dire, in Svizzera per mantenere la produzione di formaggio
in montagna gli enti pubblici sono prodighi di finanziamenti per i produttori; più o meno lo stesso avviene in Alto Adige, o in Val d’Aosta. In generale in Europa il lattiero caseario di montagna è un settore assistito.
Invece nel caso del Parmigiano...
Invece noi, grazie a quel complesso e formidabile strumento costituito dai piani di regolazione dell’offerta, siamo riusciti a creare una politica attiva ed efficace per fare produzione di latte in montagna senza chiedere soldi pubblici. Questo per me è il messaggio. In altre parole facciamo qualità, facciamo dop, senza andare a pesare sulle spalle dei fondi pubblici.
Andiamo a pesare invece sul fronte della domanda di mercato.
Sì, sul consumatore che premia il nostro prodotto. Ma per il consumatore è una scelta libera quella di premiare il nostro prodotto. È una scelta libera quella di pagare il prezzo giusto per ripagare tutto quanto sta dietro a questo particolare prodotto, l’assistenzialismo non c’entra.
Tutto ciò nonostante il fatto che ultimamente il potere d’acquisto del consumatore appaia in discesa.
È chiaro, però la nostra marcia in più è che compiamo scelte coerenti sul piano della qualità, della distintività. Tutto questo dimostra che è possibile, anzi interessante, fare agricoltura in aree svantaggiate senza appoggiarsi all’assistenzialismo. Il latte di montagna viene valorizzato all’interno della dop, grazie alla dop; ma al tempo stesso anche la montagna dà lustro e dà valore all’intero Parmigiano Reggiano, perché è un’espressione di biodiversità, di distintività.
Ci sono anche evidenti risvolti sociali.
Sì, c’è tutto un tema sociale, legato al fatto che questa situazione si oppone al fenomeno di abbandono del territorio. Il Parmigiano Reggiano sta mantenendo la produzione di latte, e quindi anche la foraggicoltura, in tutta la dorsale appenninica del comprensorio, dalle zone montane della provincia di Bologna situate a sinistra del fiume Reno fino alla montagna di tutta la provincia di Parma; comprendendo quindi anche tutta la montagna modenese e reggiana. Osservando questa parte di Appennino da un elicottero o con un drone si nota subito come subito al di là, a est, del fiume Reno e subito al di là del confine tra le province di Parma e Piacenza il paesaggio cambi drasticamente d’aspetto: il verde della vegetazione diventa molto scuro.
Infatti appena si valicano i confini del vostro comprensorio diventano molto più rare, nella montagna emiliana, le aree destinate alla foraggicoltura.
È il segno di una presenza sociale, produttiva, che mantiene questo territorio presidiato. Per la montagna dell’Emilia Romagna il Parmigiano Reggiano è una realtà vitale, è il fattore che tiene in piedi l’agricoltura e lo stesso territorio. Tutto ciò grazie al fatto che il Parmigiano Reggiano oggi dà reddito agli 84 caseifici di montagna, che sono gli avamposti di una gestione territoriale attraverso le stalle. E questo è il motivo per cui il consorzio da più di un decennio ha avviato una politica molto attiva proprio per sostenere la produzione di montagna.
Però ci si può chiedere perché il consorzio lo faccia. Il vostro consorzio non è un ente pubblico, perché si impegna a sostenere la produzione in montagna nonostante in questo areale i costi siano superiori?
Il consorzio è un organismo privato, ma è proprio il fatto che si tratta di un ente privato che spiega questo tipo di scelta. Infatti i caseifici di montagna sono soci del consorzio e hanno rivendicato democraticamente ma con forza delle esigenze che sono state ascoltate anche dai caseifici non di montagna. Sono state ascoltate perché il prodotto di montagna è un elemento di valorizzazione dell’immagine dell’intera dop. Dunque la situazione non è dovuta all’assistenzialismo, ma al contrario a libere scelte imprenditoriali compiute da privati.
| L'incremento della produzione (numero forme, FF) per zona altimetrica | |||||
| PROVINCIA | AREA | FF 2023 | FF 2024 | var. % | n. caseifici |
| Bologna | Montagna | 30.558 | 32.780 | +7,27 | 5 |
| Pianura alta | 63.529 | 66.658 | +4,92 | 3 | |
| Pianura bassa | 15.086 | 14.951 | -0,90 | 1 | |
| Mantova | Montagna | 0 | 0 | 0 | 0 |
| Pianura alta | 0 | 0 | 0 | 0 | |
| Pianura bassa | 476.361 | 507.631 | +6,56 | 19 | |
| Modena | Montagna | 276.796 | 279.401 | +0,94 | 29 |
| Pianura alta | 353.480 | 367.026 | +3,83 | 17 | |
| Pianura bassa | 230.695 | 231.447 | +0,33 | 8 | |
| Parma | Montagna | 252.053 | 257.640 | +2,22 | 30 |
| Pianura alta | 522.005 | 531.960 | +1,91 | 55 | |
| Pianura bassa | 576.357 | 572.626 | -0,65 | 49 | |
| Reggio | Montagna | 302.402 | 313.928 | +3,81 | 20 |
| Pianura alta | 468.334 | 464.551 | -0,81 | 31 | |
| Pianura bassa | 446.644 | 438.649 | -1,79 | 24 | |
| TOTALI | Montagna | 861.809 | 883.749 | +2,55 | 84 |
| Pianura alta | 1.407.348 | 1.430.195 | +1,62 | 106 | |
| Pianura bassa | 1.745.143 | 1.765.304 | +1,16 | 101 | |
| Fonte: Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano. | |||||
Quanto costa produrre parmigiano reggiano in zone di montagna?
Lo abbiamo determinato con un recente studio condotto assieme al Crpa. Per l’allevatore c’è un aumento del costo di produzione, rispetto all’attività in pianura, pari a circa 8-10 euro in più al quintale di latte, mettendo insieme tutti i vari costi di produzione dovuti all’inefficienza nell’uso dei mezzi tecnici. Un costo del 10% in più.
Qualche osservatore ipotizza che forse questo aumento dei costi è destinato a peggiorare a causa del cambiamento climatico. La minore disponibilità di acqua in montagna comporta una maggiore difficoltà nella produzione di erba medica e quindi l’allevatore è costretto ad andare a comprare la medica in pianura, dove costa molto.
Questo è un tema di fragilità da tenere presente. Però, nonostante tutte le difficoltà della produzione in una zona tra virgolette svantaggiata, il Parmigiano Reggiano di montagna non arranca. Anzi il trend degli ultimi dieci anni è un trend sano, di crescita produttiva. E consideriamo che le condizioni create hanno permesso anche un certo ricambio generazionale.
E come avete fatto nella pratica a mettere in campo queste vostre politiche di sostegno?
Il punto di partenza è stato il 2014, a seguito di normativa combinata 2013- 2014. Con il regolamento Ue del 2013 sul prodotto di montagna, a Bruxelles è stata inserita la menzione “prodotto di montagna” come strumento comunitario per le produzioni agricole di montagna. Seconda cosa, datata 2013 ma poi entrata in vigore nel 2014: si è aperto ai piani regolazione offerta, ai piani produttivi. In conclusione unendo questi due elementi della politica comunitaria il consorzio ha inserito nel piano regolazione offerta una politica per le zone di montagna.
Piano regolazione offerta più politica per la montagna…
Il pilastro si trova nella decisione del Parmigiano Reggiano di attribuire le quote latte agli allevatori (unico caso in Europa, altra unicità). E all’interno di questo sistema di quote è stato creato un doppio bacino: produzioni di montagna e produzioni non di montagna, con la logica di vietare la possibilità di spostare le quote dalla montagna alla pianura. Questo divieto è da interpretare come una misura di tutela per la montagna, perchè altrimenti in momenti di difficoltà, di crisi economica, magari gli allevatori di pianura avrebbero potuto comprare le quote di montagna e poi una volta che togli le quote dalla montagna il latte non torna più in quell’areale. Quindi la prima grande scelta politica, figlia dell’attribuzione delle quote latte agli allevatori, è stata di creare un bacino di quote latte per la montagna. E chi vuole produrre latte può andare in montagna a farlo, le quote costano meno; tutto ciò è diventato un elemento di attrazione per l’insediamento in montagna.
Da lì in avanti sono state messe in atto altre politiche?
Sì, politiche accessorie ma coerenti. In tutte le scelte comprese dal piano regolazione offerta ci sono varie politiche per i giovani produttori. Dentro queste politiche per i giovani ci sono dei plafond annuali per fare domande con priorità di accesso alla montagna. Quindi la montagna ha avuto priorità, con la certezza di avere quote per i giovani. In più sono stati aggiunti anche degli sconti sulla contribuzione aggiuntiva, diciamo le nuove multe. Ricapitolando…
Quindi: a) bacino di quote di montagna e bacino di quote di pianura; b) quote per i giovani, priorità ai giovani che si insediano in montagna; c) sconti; sconti cioè sulla contribuzione aggiuntiva: un produttore di latte in montagna ha uno sconto, il caseificio di montagna ha uno sconto, tutto ciò per promuovere la produzione in Appennino e quindi mitigare le esternalità negative dei maggiori costi di produzione.
Tre politiche.
Il pacchetto di queste tre leve (quote bacino di montagna, poi giovani, poi sconti) dopo dieci anni è assolutamente stato il motore che ha sostenuto la produzione in montagna. Prima di tutto evitando che la montagna venisse svuotata. In secondo luogo, ma soprattutto, trovando anche condizioni per stimolare nuovi investimenti e crescita produttiva. Ma c’è anche una quarta grande politica.
Una quarta politica?
Il futuro della montagna, futuro nella logica di non abbandonare e di prosperare, non passa solo dall’avere delle quote o dal godere di alcuni sconti. Perché se poi i costi di produzione aumentano la sostenibilità economica non c’è comunque. Quindi il tema che abbiamo, come visione, è quello di generare condizioni che permettano al prodotto di montagna di ottenere dal mercato anche un prezzo maggiore. Quindi non basta solo avere magari delle facilitazioni sui costi di produzione, perché le quote e gli sconti sono solo una piccola mitigazione dei costi che non compensa le esternalità negative: l’altro progetto è quello di avere un progetto di valorizzazione del prodotto di montagna.
Per ottenere un prezzo maggiore…
Di qui l’utilità del logo prodotto di montagna. Inoltre, in contemporanea, usando il regolamento comunitario sul prodotto di montagna è stato creato un regolamento ad hoc, che prevede anche una selezione di qualità del prodotto aggiuntiva. In altre parole il logo prodotto di montagna ministeriale fa riferimento solo all’origine, non indica che il prodotto sia anche buono o non buono. Così noi abbiamo aggiunto anche una doppia selezione di qualità: un’espertizzazione al martello per la qualità delle forme e anche un panel di assaggio sensoriale per avere la certezza che non ci sia formaggio non idoneo.
Una doppia certificazione di qualità.
Qualità sensoriale e qualità al martello. Cioè valutiamo al martello tutte le forme, l’idoneità di struttura; quindi le forme prodotte in montagna le valutiamo non solo a 12 mesi ma anche a 24 mesi. In più a 24 mesi valutiamo il formaggio con assaggio sensoriale, proprio con un panel d’assaggio. E alla fine il prodotto idoneo riceve il bollo, il marchio a fuoco. Quindi c’è un marchio a fuoco solo per la montagna.
Sulle forme c’è un marchio, che indica che il formaggio è idoneo prodotto in montagna. E poi anche a chi confeziona diamo questo marchio, un marchio stilizzato da mettere sulla confezione. Qui c’è la parte finale, l’ultimo miglio ancora da percorrere, perché non è ancora completato il percorso di valorizzazione sul mercato del prodotto di montagna, legato a questo progetto. Ma abbiamo fatto un passo molto importante l’anno scorso: abbiamo fatto sì che questa certificazione del consorzio, e quindi il bollo a fuoco, lo imprimiamo solo al commerciante che corrisponde al caseificio che gli vende il formaggio un prezzo di 20 euro a forma, che vuol dire mezzo euro al chilo in più.
In che anno è stata compiuta quest’ultima scelta?
Questo di cui abbiamo appena parlato è il tipo di valorizzazione che adesso si sta dando al formaggio legato al progetto di montagna. Come si vede è un altro progetto molto innovativo. Iniziato nel 2014, poi l’abbiamo via via negli anni migliorato; questo progetto del bollo per la valorizzazione commerciale è datato 2024.
Dunque i commercianti stanno entrando nel progetto.
Esattamente. L’obiettivo adesso è strutturare il progetto all’interno del piano marketing del consorzio, mettere a punto un piano marketing per il prodotto di montagna, proprio per essere al fianco dei commercianti che valorizzano quel marchio. Ma nella pratica non è che diciamo ai commercianti pagate mezzo euro in più ai caseifici di montagna e arrangiatevi. Infatti il consorzio destina una parte del budget marketing ad azioni che gli permettano di essere al fianco dei commercianti che vogliono valorizzare il prodotto di montagna; e sono già in atto attività precise in questo senso. Ma dobbiamo irrobustire un vero e proprio piano marketing, quindi sta partendo adesso la nuova fase del progetto che è quella di avere un piano marketing strutturato.
In conclusione?
In conclusione il sogno è di concretizzare una situazione di questo tipo: il consorzio mantiene le quote di montagna, dà gli incentivi alla produzione e così si fa il latte, deve nascere un formaggio buono, il commerciante che compra il formaggio lo paga di più, e poi diamo una mano a valorizzarlo. E se poi il consumatore è disposto a pagare un euro e mezzo in più, due euro e mezzo in più, per questo formaggio di montagna, allora a questo punto si può ipotizzare che una parte di questo plus di valore ripaghi la grande distribuzione, una parte ripaghi il commerciante, un mezzo euro in più vada agli allevatori, con la soddisfazione di tutti.
Nel 2024 i vostri caseifici di montagna erano 84, il totale dei caseifici del consorzio era di 291. Allora si può fare un’ipotesi: che un presidente di un caseificio di pianura vedendo tutte queste iniziative a favore della montagna possa parlare di favoritismi a vantaggio di una minoranza dei caseifici. In ogni caso abbiamo già sottolineato come la disponibilità di un prodotto di montagna valorizzi l’intera produzione di Parmigiano Reggiano.
Una prima risposta a questo tipo di obiezione è in termini politici, democratici, interni al consorzio. Abbiamo comunque tra un quarto e un quinto dei produttori che versano un quarto e un quinto delle risorse. Pagano anche loro e quindi hanno il diritto di vedere delle politiche mirate anche per i loro problemi.
Quindi non è un togliere a qualcuno per favorire un altro.
Sì. Ma soprattutto nel momento in cui promuoviamo delle iniziative che puntano ad aumentare il valore, questo non vuol dire andare ad aiutare qualcuno che poi abbassa il prezzo. Al contrario: quando aiuti qualcuno che fa un prodotto che tende a posizionarsi nella fascia di prezzo valorizzante, fai l’interesse di tutti anche sul piano del prezzo. È lo stesso principio applicato quando negli ultimi anni sono state valorizzate le stagionature lunghe.
Stagionature lunghe che non tutti i vostri soci fanno.
Esatto. Ma ampliare e valorizzare le stagionature lunghe fa del bene a tutti i soci del nostro consorzio. Questo avviene un po’ anche per i grandi vini, quando si fanno i millesimati che non tutti fanno; non tutti li producono ma così si crea la reputazione dei grandi Bordeaux, dei grandi Borgogna, dei grandi Baroli, e si fa del bene a tutta la filiera.








