Il consorzio di tutela della Mozzarella di bufala campana dop avanza la proposta di modifica del disciplinare e porta avanti una vera e propria rivoluzione, con l’obiettivo di migliorare le esportazioni e conquistare una fascia più ampia nel Nord America, nel Sudamerica e in Asia. Eppure, il mondo produttivo si è diviso, in attesa che si pronuncino il ministero delle Politiche agricole e l’Unione europea.
È proprio allo scopo di incrementare la quota complessiva di esportazione, oggi al 25% del totale della produzione di Mozzarella di bufala campana, che il consorzio ha deciso di dare il via libera a un nuovo disciplinare che prevede cinque tipologie di prodotto, tutte a denominazione di origine protetta: “lavorata a mano”, “affumicata”, “frozen”, “esclusivamente per uso professionale non destinato al consumatore finale”, “senza lattosio”.
Inoltre, si prevede che la mozzarella possa avere forme molteplici, diversa da quella tipica tradizionale e che nessun limite di peso possa essere previsto per la singola mozzarella, eliminando così il valore massimo di 3 chilogrammi. Tutte soluzioni che strizzano l’occhio al mercato, senza snaturare minimamente le caratteristiche organolettiche del prodotto.
«La tecnica del freddo non cambia la natura del prodotto – si affretta a spiegare il presidente Domenico Raimondo, 46 anni, trasformatore -. Prima di fare questa proposta abbiamo lavorato con rettore della Federico Secondo di Napoli, il professor Muchetti e con l’onorevole Paolo De Castro. Il responso è stato univoco e cioè che, una volta scongelato, il prodotto si presenta assolutamente integro e piacevole, come fresco».
I vantaggi dal procedimento di congelamento della mozzarella che, ricordiamo, non riguarda il congelamento del latte, ma del prodotto finito, sono molteplici. «Possiamo in questo modo esportare il prodotto senza liquido di governo e passare dagli attuali 10-12 euro al chilogrammo di costi di trasporto a 0,50 euro, a tutto vantaggio sia del consumatore finale che del raggio di azione delle imprese associate al consorzio di tutela».
Il percorso di ammodernamento delle politiche di marketing ha già portato a rivedere il packaging secondo modalità più sostenibili e più duttili in termini di trasporto. Ora tocca alla mozzarella congelata. «Siamo consapevoli che non sarebbe acquistata in Italia e nemmeno su quei mercati europei che già oggi riusciamo a raggiungere nell’arco di 24-48 ore, come la Francia, la Germania, la Svizzera – precisa Raimondo».
Diverso il caso degli Stati Uniti
«A New York, ma anche in Cina, non riusciamo a essere presenti prima di quattro giorni di viaggio – prosegue il presidente -. A questo deve aggiungersi un periodo di almeno 4-5 giorni per la dogana e la quarantena. E magari ha altre 24-48 ore per raggiungere la destinazione finale. Il prodotto è ancora integro e commestibile, avendo una shelf-life di 25 giorni, ma è evidente che non ha la stessa freschezza di una mozzarella venduta in Italia o in Germania».
Secondo il presidente del consorzio, comunque, non vi sarebbe «alcun rischio per il consumatore di confondersi in fase di acquisto. Sarà infatti specificato chiaramente in etichetta quando il prodotto è congelato e, oltretutto, non vi saranno possibilità di errore anche per la collocazione dei due prodotti all’interno della grande distribuzione. Se Un esempio analogo è quello dei piselli: quelli freschi si trovano nel reparto di ortofrutta e quelli congelati in una sezione distante». Anche perché i principali acquirenti del frozen sarebbe il canale horeca.
Le reazioni
La scelta ha incontrato pareri favorevoli e posizioni contrarie. I consensi sono già stati espressi da Coldiretti Campania, e alcune contrarietà come quella, in vista del voto della Regione Campania, del consigliere regionale del Movimento 5 stelle Michele Cammarano, nonché di Confagricoltura Caserta. Quest’ultima solleva il dubbio di una industrializzazione nociva nei processi produttivi di un prodotto che è considerato un’eccellenza artigiana.
«Si tratta di un attacco al marchio dop, che tutela la tradizione la storia secolare della produzione e il rischio è quello di stravolgere un’eccellenza solo per aumentare i profitti», afferma il sindacato agricolo.
Aperto alle novità è, invece, il mondo degli chef e della ristorazione.
Se tutto viene fatto in modo trasparente si generano posti di lavoro e, comunque, attraverso la mozzarella congelata sarà possibile vendere un prodotto migliore di tante imitazioni in vendita all’estero, sostengono pizzaioli e cuochi.
LA CARTA D’IDENTITÀ DEL FORMAGGIO
La Mozzarella di bufala campana dop fa parte di quei formaggi freschi a pasta filata prodotta esclusivamente con latte di bufala, proveniente dalla zona di origine e realizzata con un processo tecnologico rispondente al disciplinare di produzione. Con l’iscrizione nell’albo comunitario dei prodotti a Denominazione di origine protetta nel 1996 – ricorda Clal.it – vengono istituzionalmente riconosciute quelle caratteristiche organolettiche e merceologiche del formaggio tipico mozzarella di bufala campana, derivate prevalentemente dalle condizioni ambientali e dai metodi tradizionali di lavorazione esistenti nella specifica area di produzione delimitata.
Il latte di bufala ha una composizione diversa da quella di altre specie animali utilizzate per la produzione di formaggio. Rispetto a quello di vacca e pecora è più ricco di proteine, grassi e soprattutto calcio totale. Queste caratteristiche chimiche permettono a chi lo trasforma di ottenere delle rese di caseificazione pari al doppio di quelle che in genere si ottengono con il latte di mucca.
Un’altra caratteristica singolare è l’assenza di carotenoidi nella sua composizione, ciò si trasmette nelle caratteristiche del prodotto finito nell’assunzione del tipico ed unico colore bianco porcellanato della Mozzarella di bufala campana. Il latte prodotto nelle aziende agricole viene trasportato in tempi brevissimi negli stabilimenti di produzione. Deve essere lavorato entro 60 ore dalla prima mungitura.
IL PRESENTE È HALAL E IL FUTURO KOSHER
«Non possiamo non vedere quali sono le opportunità offerte dal mercato, che negli anni ha evidenziato una crescente domanda da parte dei consumatori di religione musulmana: come consorzio abbiamo dato una risposta che era necessaria». Parole del presidente dell’ente consortile, Domenico Raimondo, sul segmento certificato halal. In arabo “halal” significa “lecito” e può essere consumato dai musulmani osservanti ed è realizzato nel rispetto delle leggi islamiche, conforme ai dettami del Corano e della Sharia.
Nel 2016 sono stati prodotti 10.660.231 chilogrammi di Mozzarella di bufala campana “halal”, pari al 24% del totale – informa il consorzio -. Vuol dire che una mozzarella dop su quattro è destinata a consumatori musulmani. È cresciuto anche il numero di caseifici certificati, che oggi rappresentano il 20% degli iscritti al consorzio di tutela in tutta l’area di produzione della dop (Campania, Basso Lazio, Capitanata in Puglia e Venafro in Molise).
Il successo è frutto di una politica specifica del consorzio, sempre più export-oriented e attenta a segmentare l’offerta in base alle necessità dei consumatori. Esattamente come accadrà in futuro con la tipologia “frozen” della Mozzarella di bufala campana. Da un lato, infatti, sono in aumento le esportazioni di prodotto sui mercati mediorientali e asiatici di fede islamica, mentre dall’altro si sta riscontrando un gradimento crescente verso la mozzarella dop da parte dei consumatori musulmani in tutta Europa.
Le differenze della mozzarella di bufala “halal” – specifica il consorzio – non sono da ricercare tanto nel prodotto quanto nel percorso lavorativo, che prevede l’osservanza di vincoli dettati dalla religione islamica, come ad esempio l’utilizzo di prodotti senza alcol per la pulizia degli impianti e l’impiego di caglio di origine animale certificato “halal”.
Inoltre, il processo produttivo è attentamente certificato dai rappresentanti della comunità islamica, relativamente alla correttezza dei procedimenti e dell’assenza di sostanze che, pure inavvertitamente, potrebbero rendere il prodotto non lecito per l’Islam.
«Il trend in crescita della mozzarella di bufala halal conferma l’apprezzamento globale del nostro prodotto da parte di ogni tipo di consumatore – commenta il presidente del consorzio di tutela, Domenico Raimondo -. Secondo il report di Euromonitor, i consumatori di prodotti a marchio halal costituiscono un mercato di circa 2 miliardi di persone ed entro il 2030 peseranno per il 26% dei consumi mondiali. Per alcuni Paesi islamici quello halal è un requisito doganale imprescindibile per l’entrata e la commercializzazione di alcuni generi alimentari. Il comparto della mozzarella dop ha raccolto questa sfida e la sta giocando da protagonista».
Allo stesso tempo, il consorzio modificherà il disciplinare per la produzione di Mozzarella di bufala campana dop certificata kosher. Una patente imprescindibile per vendere il prodotto ai consumatori di religione ebraica e che, analogamente alla certificazione halal, prevede la certificazione (in questo caso da parte del rabbino) del processo di produzione secondo i dettami dell’ebraismo.
AL VIA LA SCUOLA CASEARIA
Produrre la Mozzarella di bufala campana dop è un’arte. Il procedimento non si improvvisa e la preparazione è condizione essenziale per offrire un prodotto all’altezza del made in Italy e della fame che si è ritagliata in tutto il mondo. Per questi motivi il prossimo ottobre il consorzio di tutela inaugurerà il primo corso destinato ai casari, a numero chiuso. Le richieste sono arrivate anche dall’estero.
Il corso per i casari del futuro è stato presentato durante l’ultima assemblea annuale del consorzio dall’assessore alla Formazione della Regione Campania, Chiara Marciani. L’istituzione regionale è in prima fila per sostenere un progetto in grado di trasmettere un’arte casearia nata nel XII secolo e che oggi deve necessariamente intersecarsi con altri percorsi formativi professionali, come il marketing o l’export. Sapere, tecnica e artigianalità andranno così a braccetto con la ricerca e l’innovazione tecnologica, aspetti fondamentali per un settore che vede la presenza di un lavoratore su tre con meno di 30 anni e di sesso femminile.
«Nel 2017, in un mondo sempre più globale, questa filiera non è solo più l’immagine quasi ancestrale del lavoratore che munge una bufala e poi produce mozzarella – ha affermato il presidente Raimondo -. È invece una filiera fatta di imprese all’avanguardia, che sanno guardare al mercato e al mondo. Dalla zootecnia fino alla produzione: tutti gli anelli della filiera hanno bisogno di studi e approfondimenti per un approccio sempre più al passo con i tempi».
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