“Fra luglio e novembre la spesa che le imprese agricole hanno dovuto sostenere per l’energia è aumentata fra il 40% e il 70%, con ripercussioni lungo tutta la filiera. Senza aiuti concreti avremo intere filiere in difficoltà, a partire da quelle del comparto zootecnico, che sono le più energivore”. È il presidente di Coldiretti Mantova, Paolo Carra, a mettere in guardia sull’esplosione dei costi che stanno alterando i bilanci delle aziende, aggravando la voce delle uscite.
In attesa di formule di sostegno che di settimana in settimana si rendono più urgenti, il mondo agricolo sta cercando di tamponare contenendo le spese e rivedendo il proprio modello di conduzione, ove possibile.
“Stiamo valutando per il futuro la realizzazione di un impianto di biogas, così da ridurre l’impatto ambientale dei reflui zootecnici e, allo stesso tempo, per aumentare la produzione energetica da fonti rinnovabili”, dichiara Diego Remelli, 26 anni, allevatore di Volta Mantovana con 350 bovine (delle quali 150 in lattazione) e 95 ettari coltivati.
Dal 2011 l’azienda agricola condotta da Remelli ha scelto di ridurre la bolletta energetica, grazie all’installazione di un impianto fotovoltaico da 70 kW, che di fatto rende l’allevamento quasi autosufficiente dal punto di vista energetico in estate, dove i consumi sono più alti. “Negli ultimi anni – aggiunge Remelli – abbiamo deciso di incrementare progressivamente la quota di alimenti prodotti in azienda, così da ridurre gli acquisti esterni. Indicativamente, utilizzando il pastone di mais al posto della farina e producendo al nostro interno l’erba medica, abbiamo aumentato il grado di autosufficienza del 15%, così da acquistare oggi per il fabbisogno alimentare dei nostri animali meno del 20% della razione”.
La scelta di semplificare la gestione aziendale per ritornare all’acquisto del mangime finito, anziché produrlo in azienda con i diversi “ingredienti” aziendali ha premiato la stalla di Fabio Piva, allevatore di Casalromano e presidente di Comal, alla guida di una realtà che coltiva circa 170 ettari e alleva 750 animali di razza Frisona.
Precisa Piva: “La svolta è avvenuta con l’acquisto di mangime finito, massimizzando la percentuale di amido del mais attraverso la tecnica dello shredlage, una soluzione che sminuzza la granella e migliora l’assimilazione da parte delle bovine.
Questa scelta ci ha portato a risparmiare circa 25.000 euro all’anno, con un incremento della produzione di latte per poco più di un litro di latte per bovina. A livello di terreni siamo quasi autosufficienti, ma in questa fase di rialzi dei prezzi dei mangimi abbiamo comunque risentito delle maggiori spese, per circa 4-5 euro al quintale nell’arco di 12 mesi”.
Sul fronte dell’energia, invece, Piva è intervenuto bloccando il prezzo della fornitura lo scorso agosto, alle prime avvisaglie di salita dei costi: “Ho richiesto una tariffa fissa con trend a decrescere per i successivi 24 mesi. Ho indubbiamente risentito dell’aumento della spesa energetica, ma se non avessi negoziato con il gestore, oggi spenderei tre volte di più”.
Claudio Grazioli, presidente di zona di Coldiretti a Canneto sull’Oglio, allevatore con 450 bovine (delle quali 200 in mungitura) e 85 ettari coltivati a mais, medica, orzo e frumento da foraggio, con mais di secondo raccolto, da alcuni anni ha puntato sulla riduzione dei costi nella gestione in campo. “Con la minima lavorazione ho un risparmio di circa il 30% solo per il gasolio agricolo, senza contare che impiego la metà del tempo per le operazioni colturali”, afferma.
Il caro delle materie prime ha spinto Grazioli a modificare la razione alimentare delle bovine, inserendo circa il 25% in più di erba medica al posto di soia e nuclei, che hanno maggiori costi.
“A livello tecnico – spiega Grazioli – ho optato per tre tagli di medica insilata al posto della soluzione a secco, così da incrementare le proteine del 4-5%, e allo stesso tempo ho ridotto l’uso dei nuclei, passando da 4 chili a 2,5 chili al giorno per capo. Ho ridotto anche l’utilizzo del mangime all’interno del robot di mungitura, che ha maggiori costi rispetto a quello distribuito nelle corsie di alimentazione e, per l’acquisto di soia, ho siglato lo scorso ottobre un contratto di acquisto annuale, fermando il prezzo a 395 euro alla tonnellata per tutto il 2022”.
Grazie all’impianto fotovoltaico da 60 kW per lo scambio sul posto, realizzato nel 2019, la bolletta nel corso dell’estate si è dimezzata. “Ipotizzavo di rientrare nell’investimento in cinque anni – rivela – mentre con il boom dell’energia elettrica completerò l’ammortamento in meno di quattro anni”.
A conti fatti i risparmi per l’azienda di Claudio Grazioli si possono riassumere in “circa 45mila euro all’anno per il mangime, 15mila euro per l’energia elettrica, 5-6mila euro per il gasolio agricolo, un migliaio di euro per il minore utilizzo giornaliero del carro unifeed grazie all’impiego di medica insilata al posto della versione a secco”.
Coldiretti Vicenza: allevamenti a dura prova, temiamo la chiusura di numerose imprese
L’aumento dei costi di produzione agricoli non è fantasia. E lo sanno bene gli allevatori, che come informa Coldiretti Vicenza dallo scorso dicembre si sono visti recapitare bollette per l’energia elettrica più che raddoppiate. Analoga situazione si presenta sul fronte dell’alimentazione animale, con un rincaro che sfiora i 500 euro annui a capo.
Coldiretti Vicenza ha fatto i conti. “Una stalla media da 100 capi, con una produzione di latte di 35 litri al giorno per capo – spiega il direttore di Coldiretti Vicenza, Simone Ciampoli – per effetto degli aumenti che incombono sugli allevamenti perde ogni mese oltre 8mila euro, quindi poco meno di 100mila euro l’anno. Senza contare, poi, che gran parte dei nostri allevamenti utilizzano manodopera familiare, che non viene considerata e per la quale, di fatto, non esiste remunerazione, in particolare per effetto di questi aumenti”.
Una situazione decisamente preoccupante, spiega il presidente provinciale di Coldiretti Vicenza, Martino Cerantola: “La situazione che si profila è seria, probabilmente la più dura degli ultimi decenni. L’aumento del costo dell’energia elettrica e di quello delle materie prime alimentari, ma non solo, provocherà la chiusura di numerose imprese allevatoriali da latte, già stremate da un prezzo del latte alla stalla insufficiente a compensare lo sforzo degli allevatori. Basti pensare che la remunerazione di 40 cent al litro di latte prodotto è appena sufficiente a coprire i costi di produzione, quindi ora stiamo lavorando decisamente in perdita”.
Aggiunge Ciampoli: “L’analisi che abbiamo fatto ci preoccupa molto. Temiamo per la sopravvivenza delle nostre imprese ma anche delle produzioni, che contraddistinguono il lattiero caseario. Rischiamo di perdere imprese, una rilevante fetta del nostro Pil e la nostra storia produttiva che ci contraddistingue nel mondo”.
Sui consumatori però non peseranno gli aumenti del prezzo del latte alla stalla, che tradizionalmente subisce rialzi dell’ordine di pochi centesimi. “I nostri allevamenti sono spesso costretti a subire il prezzo stabilito dai potenti della distribuzione – aggiunge il presidente Cerantola – e a questo non appare ci siano vie d’uscita. Se si vuole piazzare il proprio latte occorre stare alle regole imposte da accordi capestro, pesantissimi, ma che consentono di avere una continuità, quindi di lavorare. Certo, con le condizioni che si delineano, sarà sempre più difficile sostenere la situazione e vedere un futuro per gli allevamenti”.
Adeguare il prezzo del latte alla stalla appare un’utopia, conclude Coldiretti Vicenza. L’unica ipotesi, quindi, è che il governo intervenga con un contributo sufficiente a ridurre l’aumento delle bollette energetiche. “Auspichiamo che il governo affronti il problema – concludono Cerantola e Ciampoli – che è prioritario per le imprese allevatoriali, ma anche per le famiglie vicentine e venete”.