Nel mondo ci sono 120 milioni di allevamenti da latte le cui dimensioni medie variano da 1-2 capi in India agli oltre 400 capi della Nuova Zelanda. Le produzioni passano dai 600 kg per lattazione in Africa ai 130 quintali in alcuni paesi con una zootecnia particolarmente sviluppata. Esiste una grandissima disparità di condizioni socio economiche e geopolitiche che condizionano la produttività e lo sviluppo di un prodotto universalmente riconosciuto come uno dei più consumati, completi ed economici. Sono solo alcune delle informazioni emerse all’annuale meeting della Federazione internazionale del latte, Idf World Dairy Summit, che si è tenuto pochi giorni fa a Vilnius (Lituania).
La produzione mondiale di latte stimata nel 2014 è stata pari a 802 milioni di tonnellate, il che significa che si è avuto un incremento produttivo del +3,3% rispetto al 2013. Nel 2016 la produzione attesa è di 830 milioni di tonnellate. Primo esportatore mondiale, sorpassando la Ue, è attualmente la Nuova Zelanda.
Dal punto di vista socio-economico le proiezioni internazionali prevedono una crescita della popolazione mondiale fino a 9 milioni di abitanti al 2050, e questo aumenta il bisogno di cibo per i decenni a venire. Nel 2014 il consumo pro capite e per anno è stato stimato in 110,7 kg. Secondo la Fao si incrementerà del 13,7% entro il 2023 con aumenti molto più accentuati nei paesi in via di sviluppo.
L’abbondanza di produzione, è stato detto ancora a Vilnius, porta alla trasformazione in alcuni prodotti derivati di più facile conservazione, specialmente burro e latte in polvere. E sono proprio questi prodotti che determinano lo sviluppo del commercio mondiale dei prodotti lattiero-caseari, il quale è basato sull’equivalente del 9% della produzione mondiale di latte.
Nonostante si tratti di un valore relativamente basso rispetto al totale, non ha evitato al mercato mondiale di crollare continuamente per quasi tutto il 2015: per buona parte del 2014 si è infatti assistito a un prezzo medio alla stalla che ha raggiunto livelli record prima di iniziare una repentina discesa. L’industria di lavorazione si sta muovendo in questo quadro con fusioni e acquisizioni che si stanno intensificando e contribuiscono a fare dell’industria di trasformazione del latte un business sempre più globale.
Il risveglio dell’Est Europa
Come in tutto il mondo la produzione di latte in Europa è di fondamentale importanza per lo sviluppo dell’economia agricola e riveste anche notevoli risvolti di carattere sociale in termini di occupazione. Lo sviluppo della produzione di latte e dell’industria a essa collegata, è stato sottolineato al meeting, è uno dei primi passi dello sviluppo dei paesi più poveri o che emergono da situazioni socio-politiche difficili.
Nell’Europa dell’Est, grosso modo dalla Slovacchia in poi, si ha l’impressione di una grande potenzialità nella intensificazione produttiva che si sviluppa sia in termini di investimenti tecnici e di maggiori attenzioni socio economiche finalizzate all’aumento delle produzioni locali sia in termini di quantità e di qualità. In questo senso i paesi dell’area baltica (Lituania, Lettonia ed Estonia nonché la Bielorussia e la Russia stessa) stanno investendo e migliorando sensibilmente la loro attenzione verso la zootecnia da latte e il suo sviluppo. Sono ancora in una fase fortemente espansiva della loro economia dove conta produrre e dove si investe per il mercato interno ancora in espansione ma comincia a prendere piede anche la produzione per l’export.
Questa spinta espansiva condiziona pesantemente le produzioni e l’economia dell’allevamento da latte nelle aree a più lunga tradizione come quelle dell’Europa occidentale in cui da circa un anno la zootecnia da latte sta attraversando periodi veramente cupi, certamente anche per la crescita e la concorrenza sviluppatasi ad est.
Nei box esempi relativi alle situazioni di Polonia, Ucraina e Russia, piuttosto chiarificatori di questo trend.
L’industria di trasformazione
A causa della grande evoluzione che il settore produttivo ha avuto negli ultimi anni anche l’industria di trasformazione si è adeguata ristrutturandosi e investendo in tutto il mondo. In genere il settore del latte è sempre più aperto e invita a investire; si sta assistendo così a profondi cambiamenti nella geografia produttiva.
In particolare, negli ultimi 20 anni c’è stata una grande evoluzione del settore che ha visto grandi fenomeni espansivi e concentrazioni. I principali attori dell’industria lattiera nel 1996 erano soltanto sette paesi, mentre oggi sono costituiti da 14 paesi incluso il Messico e c’è stato un incremento del 170% degli scambi. L’Asia ha avuto un grande sviluppo, così come il Canada.
In genere si è assistito a un forte aumento della internazionalizzazione delle società. Lactalis ha quadruplicato il fatturato negli ultimi 13 anni e negli ultimi dieci ha invaso il mercato. Poi viene Nestlé. Arla food ha avuto una grossa espansione in tutto il Nord Europa. A seguire Danone, Fromagerie de France, Friesland Campina. La Cina negli ultimi anni sta sviluppando grandemente il settore investendo all’estero: Francia, Europa e Islanda.
Gli Usa sono particolarmente attrattivi per gli investitori stranieri. La Nuova Zelanda è particolarmente competitiva e investe nel settore: Fonterra, una cooperativa che associa 16mila produttori, sta spopolando.
Il futuro della Ue
A livello macroeconomico e sociale la situazione è la seguente: la popolazione mondiale è cresciuta dell’1%, si assiste a una forte crescita economica dei paesi in via di sviluppo e meno in quelli occidentali. Si assiste a un indebolimento dell’euro e al rafforzamento del dollaro, il petrolio ha prezzi piuttosto bassi. A livello di richiesta di cibo i prodotti a base di proteine animali sono quelli che guidano il mercato del food, la produzione risponde alla maggiore richiesta con un aumento della produzione, cambiano i prezzi relativi ma i prezzi reali diminuisco e nel lungo periodo il prezzo medio delle derrate alimentari tende a diminuire. Ad esempio, il mais viene dato in decremento fino al 2024.
Sulle derrate alimentari sono molti i paesi importatori e pochi quelli esportatori.
È chiaro che questo quadro generale può portare a consistenti cambiamenti negli equilibri mondiali tra paesi produttori, esportatori e importatori.
In Europa molto spazio produttivo stanno prendendo i Paesi dell’Est con bassi costi di produzione che fanno ribassare anche i prezzi del latte alla stalla: Polonia 27-28 centesimi di euro, Bielorussia 21-22 centesimi, Lituania 21 centesimi. Altri Paesi tradizionalmente esportatori come la Nuova Zelanda stanno investendo in Europa per aggredire i mercati africani e asiatici. La Cina sta facendo una politica di investimenti all’estero piuttosto che nel proprio paese: evidentemente vuole accelerare i tempi della propria crescita. In generale il mercato del latte è in aumento ed è guidato dai paesi più poveri e in fase di crescita.
Libero mercato europeo
L’Unione europea, presente al congresso con alcuni funzionari della Commissione, ha rimarcato che la linea politica della Ue è di andare verso il libero mercato: indietro non si torna, basta quote, nonostante ci sia stata una grande evoluzione dei meccanismi di formazione del prezzo del latte a partire dal 2006/07, periodo segnato da un grande aumento della volatilità. È stato abbassato il prezzo di intervento (il prezzo minimo garantito per i prodotti agricoli stabilito dalla Comunità europea) per evitare speculazioni e produzioni per l’intervento. Oggi il prezzo di intervento è a 21,7 centesimi di euro.
L’export del dairy è in crescita con una quota di circa l’11% del latte europeo che va all’estero, mentre il mercato interno è stabile e maturo. La volatilità dei mercati è ormai una costante con cui convivere.
Come intende la Ue difendere i propri produttori? La politica della Ue sul latte è basata su alcuni elementi fondamentali su cui ha fondato l’ultima Pac: pagamenti diretti in diminuzione, reti di sicurezza assicurative, pacchetto latte per aumentare l’aggregazione e il potere negoziale, Milk Marketing Observatory, misure eccezionali appena stanziate per fronteggiare una crisi contingente (500 milioni di euro), programmi di sviluppo rurale, incentivi alla qualità, promozione, ricerca e innovazione.
Tutte misure che al momento non sembrano sufficienti a garantire i produttori italiani.
Di certo il futuro non si prospetta facile ma, secondo la Ue, ci sono dei segnali positivi; di certo ci sarà più competitività tra i produttori di latte.
L’Unione europea punta molto sulla aggregazione dei produttori. In quattro stati membri si è riusciti a sviluppare una contrattazione collettiva con l’interprofessione con contratti obbligatori scritti per la cessione di latte.
In Europa, si è detto infine a Vilnius, il prezzo medio del 2014 è stato di 38,2 centesimi, oggi siamo sui 30. Al contrario, negli Usa le quotazioni sembrano in leggero aumento e comunque il governo ha messo a punto un piano di intervento assicurativo basato sulla assicurazione del reddito, market margin protection, in parte coperto da capitale pubblico e in parte da quello dei produttori. Ad oggi ha aderito a questo piano il 55% dei produttori che coprono circa il 70% della produzione di latte. Il futuro è incerto, c’è ancora troppo latte che fatica e venire valorizzato. I principali analisti dicono che prezzi risaliranno, ma la domanda che tutti si pongono è: quando?
L’autore è condirettore della Libera associazione agricoltori Cremonesi.
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