Dopo quattro mesi si avvicina il momento del rinnovo del prezzo del latte in Lombardia. La novità è che con la fine di aprile si rinnova il primo accordo di filiera in cui compare l’indicizzazione. Uno strumento ampiamente promosso da Regione Lombardia, che già un anno e mezzo fa, nel luglio del 2015, lo aveva approvato dalle cooperative per la parte di latte “libero”, cioè fuori dai conferimenti ordinari. Banale ricordare che quel modello di indicizzazione era più favorevole ai produttori, ma è inutile versare lacrime sul passato e accusare vieppiù il ministero delle Politiche agricole.
Guardiamo avanti. Ci attende il rinnovo, con una formula indicizzata che si basa per il 70% sulla media del prezzo del latte europeo e per il restante 30% sul prezzo del Grana Padano.
È la prima volta che un formaggio a denominazione di origine protetta contribuisce a formare il prezzo del latte. Non per nulla è stato individuato il Grana Padano, che da solo intercetta il 40% del latte lombardo, i cui volumi nel 2016 - informa Clal.it - sono stati in totale 4.887.209 tonnellate, il 3,97% in più sul 2015.
Personalmente auspico che in futuro il peso dell’indicizzazione aumenti e, magari, si estenda a comprendere altri prodotti Dop.
Difficile prevedere cosa accadrà. La politica non deve fissare i prezzi, semmai, impegnarsi per agevolare le soluzioni fra le parti. Credo, al di là dei segnali che provengono dal mercato, che si debba necessariamente aprire una fase nuova e di più stretta collaborazione all’interno della filiera. Anche per questo Regione Lombardia a breve riaprirà un bando sulle filiere, finalizzato a sostenere progetti innovativi.
Tornando al contratto di conferimento, non possiamo dimenticare il ruolo che ha avuto lo scorso anno la cooperazione, quando il 2% di sovrapproduzione ha innescato una speculazione tale da abbattere in poco tempo del 50% il prezzo del latte.
Se le cooperative come il Consorzio Virgilio e la Latteria Plac, lungo l’asse Mantova-Cremona, non si fossero impegnate ad assorbire 2.500 quintali al giorno, avremmo vissuto un paradosso che sono certo farebbe ancor oggi impallidire chiunque, compresa l’ineffabile Unione europea e persino la Fao. Si sarebbe, infatti, verificato il fenomeno di allevatori costretti a gettare il proprio latte, perché l’industria non l’avrebbe ritirato, in un paese che produce il 70% del fabbisogno interno. Un sistema così impostato, se non riparte un vero dialogo di filiera, è degno del teatro dell’assurdo.
Altri elementi che devono essere affrontati, al di là delle oscillazioni e i negoziati sui quali decideranno gli allevatori e l’industria (e non la Regione), riguardano le richieste dei consumatori. La sostenibilità non è più una velleità, così come la tensione verso livelli di benessere animale più elevati rispetto a quelli imposti dalla legge.
Sarà sufficiente fermarsi alle Dop? O il 50% circa del latte che non confluisce nel circuito delle indicazioni geografiche dovrà trovare una valorizzazione altrettanto o, magari, più alta? La richiesta di siero per scopi farmaceutici è in crescita, la richiesta di prodotti per l’infanzia apre strade altrettanto redditizie, i formaggi di montagna o il latte ottenuto al pascolo assicura margini di redditività superiori, figli di una distintività che il consumatore ormai pretende.
Le risorse finanziarie ci sono. Gli allevatori si riapproprino del ruolo che lo status di imprenditori assicura loro.
Gianni Fava
(assessore all’Agricoltura della Regione Lombardia)
Gianni Fava, Regione Lombardia: il nuovo prezzo del latte sarà solo una fase di un percorso più ampio
Ora, dice l'assessore, è necessaria una più stretta collaborazione di filiera. E una maggiore attenzione verso sostenibilità e benessere animale