Raramente, nel comparto lattiero caseario, il nostro commercio estero ha vissuto tensioni forti come quelle di questi ultimi tempi. Sul fronte dell’export abbiamo assistito a grandi impennate dei fatturati, ma anche a grandi frenate come è avvenuto a causa dell’affaire Russia.
Anche sul fronte dell’import gli scenari sono ambivalenti, fonti di stress economici e sociali: la novità è forse una sola, quella del latte in polvere, ma questa da una parte potrebbe favorire gli industriali del settore dall’altra dovrebbe invece penalizzare fortemente gli allevatori.
Export
Nel 2014 dall’Italia sono partite per l’estero oltre 330mila tonnellate di formaggi, per un fatturato di oltre 2,5 miliardi di euro, dice Assolatte. La crescita rispetto al 2013 è stata del 3,3% in volume e del 5% in valore. “In pratica, oggi quasi un formaggio su tre prodotto in Italia viene venduto all’estero”.
E approfondendo il caso dei soli formaggi italiani dop, Afidop annuncia che nel 2014 le loro esportazioni sono salite del 5,5% rispetto all’anno precedente, per un valore di un miliardo e 400 milioni di euro. Usa ed Estremo Oriente fra i mercati in crescita. Afidop, l’associazione italiana dei formaggi dop e igp, aggiunge: “Il trend dell’export dei formaggi italiani dop è in graduale ascesa, fatto che testimonia l’ampia capacità dei mercati esteri di recepire le nostre specialità. Questi dati ribadiscono l’importanza delle indicazioni geografiche Ue come garanzia di tracciabilità e naturalità, anche a livello internazionale”.
L’entusiasmo di queste ricostruzioni viene però un po’ smorzato dal problema Russia. Nel mese di giugno infatti, secondo l’Istat, si è registrato un vero e proprio tonfo delle spedizioni di prodotti agroalimentari italiani in quel paese: -23,5% rispetto a giugno 2014. Tra i settori più colpiti da questo crollo dell’export verso Mosca ci sono ovviamente quelli interessati dall’embargo scattato il 6 agosto 2014, che ha sancito il divieto all’ingresso di prodotti come ortofrutta, formaggi, carne, salumi, pesce dai Paesi dell’Ue, dagli Usa, da Australia, Canada e Norvegia. Embargo che avrebbe dovuto durare un anno e che nell’agroalimentare, sostiene la Coldiretti, provoca danni per 20 milioni di euro all’anno a causa di mancate esportazioni.
Non è tutto, aggiunge Coldiretti: lo stop alle importazioni dall’Italia ha provocato in Russia un vero boom nella produzione locale di prodotti italiani taroccati, “con la produzione russa di formaggio che nei primi 4 mesi del 2015 ha registrato un sorprendente aumento del 30%, che riguarda anche parmesan o imitazioni di mozzarella e robiola”.
Import
Si diceva che sul fronte delle importazioni la scena è fortemente influenzata dalla questione latte in polvere (nel primo box i termini della vicenda). Questa iniziativa della Ue ha suscitato forti proteste da parte del mondo allevatoriale; di grande impatto mediatico fra le altre la manifestazione Coldiretti dell’8 luglio a Roma, che ha richiamato con forza la necessità della trasparenza a tutela del consumatore: chi vende formaggio ottenuto da latte in polvere dovrebbe dirlo in etichetta. Un certo silenzio sulla questione invece da parte degli industriali lattiero caseari italiani, con qualche eccezione come Granarolo e Alleanza Cooperative (vedi secondo box).
Ma questa della corretta informazione al consumatore non è l’unica problematica legata alla vicenda latte in polvere. Ce n’è un’altra che rientra in pieno nel tema dell’import.
Infatti gli allevatori denunciano che se la linea della Ue passasse gli industriali lattiero caseari del nostro paese sarebbero indotti ad acquistare sempre meno latte liquido dalle stalle italiane e sempre più latte in polvere dai mercati esteri. Perché? Perché il latte in polvere costa meno, si immagazzina più facilmente, si può acquistare da più mercati tra loro in concorrenza…
Ed è intuibile come il nuovo orientamento industriale sull’approvvigionamento della materia prima potrebbe avere pesanti ripercussioni sul livello del prezzo del latte alla stalla: un litro di latte derivato dalla polvere costa solo 20 cent, mentre il prezzo del latte strappato dagli allevatori italiani si attesta oggi sui 37 cent (vedi pagina 6).
Spiega per esempio Coldiretti Emilia-Romagna: “Ogni 100mila quintali di latte in polvere importati in più scompaiono 17mila vacche e 1.200 occupati. Con un kg di latte in polvere si ottengono 10 litri di latte al prezzo di circa 20 cent/kg, prezzo che è pari quasi alla metà del costo di produzione del latte fresco”. Aggiunge il presidente della stessa organizzazione regionale Mauro Tonello: “Quelli che chiedono alla Ue di produrre il formaggio con la polvere sono gli stessi che sottopagano il latte agli allevatori italiani, con prezzi che non coprono neanche i costi dell’alimentazione del bestiame. Una manovra che fa comodo a chi vuol continuare a importare prodotti lattiero caseari dall’estero da spacciare come made in Italy. Il risultato è che dall’inizio della crisi hanno chiuso in Italia oltre 10mila stalle da latte, di cui 1.300 nella sola Emilia-Romagna”.
Ribadisce Coldiretti Lombardia: con un kg di polvere di latte, che costa sul mercato internazionale 2 euro, è possibile produrre 10 litri di latte, 15 mozzarelle da 125 grammi o 64 vasetti di yogurt da 125 grammi. “Il pressing esercitato dalla Commissione europea sull’Italia ha già stimolato gli speculatori, con le importazioni di latte e crema in polvere che sono aumentate del 16% nel primo trimestre 2015 rispetto allo scorso anno. E non è certo casuale che 2/3 delle importazioni italiane provengano da Francia e Germania, l’asse che detta la linea politica della Ue”.
Coldiretti Lombardia aggiunge un ultimo dato alla nostra discussione sull’import: quest’anno in regione la caduta dei prezzi causata dalle importazioni di latte e semilavorati dall’estero ha fatto arrivare agli allevatori lombardi 200 milioni di euro in meno rispetto allo scorso anno. “E sarebbe stato anche peggio - dice il presidente di Coldiretti Lombardia Ettore Prandini - se non avessimo avuto almeno la metà del latte valorizzato grazie al circuito del Grana Padano e degli altri formaggi dop. Invece per i prodotti caseari che non sono a denominazione di origine protetta, come ad esempio la maggior parte delle mozzarelle e dei formaggi freschi, la legge non impone l’utilizzo di materia prima italiana e non impone neppure l’indicazione in etichetta dell’origine del latte utilizzato, che molto spesso viene importato dall’estero. L’uso delle polveri andrebbe a peggiorare questa situazione già critica”.