Come risolvere il problema dei nitrati? Domanda certo di non facile soluzione, nonostante la direttiva comunitaria specifica sulla lotta all’eutrofizzazione dei mari risalga al 1991, 26 anni fa. Eppure, passi avanti da allora ne sono stati fatti. La zootecnia ha pagato di certo un prezzo elevatissimo, sia in termini di immagine che di tagli.
La Borsa dei liquami, una piattaforma in cui valorizzare i reflui zootecnici, monitorarne l’impiego reale in termini efficienti, praticando un’agricoltura sostenibile sia in campo che in stalla – grazie anche all’impiego nei digestori – è una delle opportunità al vaglio dei tecnici, degli agronomi e della filiera dei grandi formaggi dop Grana Padano e Parmigiano-Reggiano, alla luce del progetto comunitario LifeDop.
Se ne è parlato a un convegno ospitato dall’Associazione mantovana allevatori, valido per la formazione continua dei dottori agronomi e forestali.
Il percorso avviato da LifeDop vede capofila il Consorzio Virgilio di Mantova e coinvolge il Consorzio Agrario del Nordest, l’Associazione mantovana allevatori, la cooperativa agricola San Lorenzo e il consorzio Gourm.it di Pegognaga (Mantova). Il supporto scientifico è fornito dal Gruppo Ricicla del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali (Disaa) dell’Università di Milano. La durata sarà pluriennale, fino al 2021, grazie a un contributo pari a € 3.691.795.
«La grande emergenza sul tema dell’azoto e dei nitrati nei campi in questi anni ha caratterizzato una delle sfide della zootecnia lombarda e mantovana in particolare – dichiara Fabio Mantovani, vicepresidente dell’Associazione mantovana allevatori (Ama) -. Credo che la strada perseguita dal progetto LifeDop, di cui anche l’Associazione mantovana allevatori fa parte, vada nella direzione di sostenere un processo produttivo sostenibile, attento all’ambiente e allo stesso tempo agli aspetti economici della filiera produttiva del Grana Padano e del Parmigiano-Reggiano».
Verso una piattaforma per lo scambio degli effluenti
Uno dei risvolti del progetto LifeDop è quello di monitorare la domanda e l’offerta di reflui, in modo da poter scambiare i carichi di azoto e andando ad alleggerire alcune aree specifiche, favorendone l’utilizzo su terreni che invece necessitano di una fertilizzazione naturale. A spiegare il meccanismo ci pensa l’agronomo dell’Ama, Stefano Garimberti, partendo dal concetto dell’economia circolare, che è il filo conduttore del LifeDop.
«L’obiettivo è quello di creare una piattaforma di scambio degli effluenti zootecnici – spiega Garimberti – in modo che possano essere valorizzati sul piano agronomico, con risvolti positivi in termini di bilancio ambientale».
Gli studi del 2013, avviati dall’associazione mantovana allevatori insieme con Ersaf, la Provincia di Mantova e con Confai Mantova per l’analisi dei carichi di azoto nei campi e la fattibilità di studio della Borsa liquami avevano già evidenziato l’esigenza di mettere in contatto domanda e offerta di azoto proveniente dai reflui.
Obiettivo alla portata
Oggi l’obiettivo sembra alla portata, anche alla luce di realtà che in materia funzionano. Come nel caso della cooperativa San Lorenzo di Pegognaga (Mantova), nel Destra Po, area che appartiene al distretto del Parmigiano Reggiano.
La cooperativa San Lorenzo di Pegognaga ormai da alcuni anni, grazie ai finanziamenti del Psr 2007-2013 della Lombardia, si è dotata di un separatore delle sostanze solide e liquide e che ha assicurato nel 2016 una remunerazione intorno agli 81mila euro a circa 50 soci, grazie all’impiego agronomico o energetico del separato. «In autunno avremo una nuova macchina – ha annunciato Alessandro Gandolfi – che aumenterà il potere metanigeno dei reflui».
Da parte della Coop San Lorenzo la disponibilità a diventare soggetto attivo del progetto è inequivocabile. «Siamo interessati alla nascita della Borsa liquami – afferma Gandolfi – in quanto serve la realizzazione di un sistema finalizzato a gestire al meglio i rapporti contrattuali. Ed è positivo che sia l’Associazione mantovana allevatori ad avere la gestione di tale strumento, in quanto è un gestore imparziale delle regole, chiamato a ripartire il valore con dati certi».
La valorizzazione dei reflui zootecnici da parte della Coop San Lorenzo si è concretizzata attraverso più canali, dall’orticoltura al vermi-compostaggio, fino alla produzione di biogas.
Uno degli utilizzi in grado di ottenere entrambi gli obiettivi è infatti quello delle fonti rinnovabili. «I reflui zootecnici possono essere impiegati per la produzione di energia elettrica e termica nei biogas – spiega Piero Gattoni, presidente del Consorzio Italiano Biogas (Cib) – e il digestato ottenuto può permettere di produrre un fertilizzante».
Peraltro, le prospettive di crescita del biogas sono positive, nonostante il calo degli incentivi e la mancanza di decreti attuativi nel segmento del biometano, che rappresenta l’ultima frontiera, più evoluta, del biogas da fonti rinnovabili.
Il Position Paper del Cib
Secondo il Position Paper del Cib, nel 2030 saranno prodotti 8 miliardi di metri cubi di biometano, dei quali 2,69 miliardi di metri cubi dalla digestione anaerobica dei primi raccolti, mentre 5,31 miliardi di metri cubi impiegando le biomasse di integrazione, sia dei secondi raccolti che dei sottoprodotti.
«Fra i sottoprodotti disponibili in enormi quantità sul territorio nazionale – avverte Gattoni – ci sono appunto le deiezioni zootecniche, in grado di assicurare la massima efficienza nella riduzione delle emissioni globali di anidride carbonica, al punto da trasformare l’azienda agricola zootecnica in una realtà carbon negative».
«I vantaggi dell’uso agronomico del digestato riguardano la distribuzione di materiale stabilizzato e igienizzato, l’apporto di sostanza organica stabilizzata nel suolo, l’apporto di azoto, fosforo e potassio in sostituzione di fertilizzanti chimici e la riduzione significativa delle emissioni di gas serra grazie al carbon sink», precisa il presidente del Cib.
Inoltre, fra i vantaggi agronomici, come ricorda Nardino Mosconi, agronomo e agricoltore, «il digestato liquido forma una pellicola sopra il terreno, anche quando è secco, e assicura una miglior difesa nei confronti del dilavamento. Inoltre, il refluo zootecnico stabilizza la digestione anaerobica».
«Il digestato è l’elemento chiave dell’azienda agricola che fa biogas e svolge a tutti gli effetti il ruolo di bio-raffineria integrata”, chiosa Gattoni.
Addentrandosi in questioni più tecniche, legate alla separazione solido-liquida, risulta evidente che la frazione solida o palabile rappresenta il 10-15% in peso del digestato, con una sostanza secca pari al 20% circa che concentra sostanza organica, azoto organico e fosforo. La frazione liquida o chiarificata rappresenta l’85-90% in peso del digestato e la sostanza secca equivale all’1,5-8% circa. E mantiene in sé i composti solubili, tra cui l’azoto ammoniacale (sino al 70-90% dell’azoto totale presente.
L’utilizzo del digestato, grazie all’apporto di sostanza organica stabilizzata e l’apporto di nutrienti più prontamente assimilabili dal terreno è sicuro dal punto di vista igienico sanitario e anche dal punto di vista ambientale. Questo comporta una netta riduzione del consumo di concimi di sintesi.
Il digestato tal quale, nelle frazioni solida e liquida, può avere un uso agronomico con il piano di utilizzazione agronomica, in base al decreto 25 febbraio 2016, oppure attraverso l’essicazione, il compostaggio, la pellettizzazione del prodotto essiccato può essere immesso sul mercato come fertilizzante commerciale, se il prodotto rientra il decreto legislativo 75 del 2010.
«Si tratta di un sistema di innovazioni in grado di garantire ritorni economici – precisa Gattoni – ma è logico che sono necessari cantieri all’altezza della sfida tecnologica. In questo senso, senza dubbio le imprese agromeccaniche possono essere i nostri alleati».
Contoterzisti fondamentali
I contoterzisti, infatti, «possono assicurare la trasparenza nell’uso degli effluenti di allevamento e del digestato, tracciando ogni spostamento con le tecnologie satellitari», ha affermato Marco Speziali, presidente di Confai Mantova.
Agronomi protagonisti della rete di scambio
Della rete di collaborazioni per un territorio sostenibile fanno parte anche gli agronomi che, attraverso il presidente dell’ordine di Mantova, Claudio Leoni, chiedono «maggiore chiarezza a livello normativo, per poter assicurare la più ampia valorizzazione a letame e liquame».
«Chiederemo anche di usare l’azoto del digestato in sostituzione di quello di sintesi», specifica la professoressa Giuliana D’Imporzano, project manager del progetto LifeDop.
Questione culturale
«La logica della Borsa liquami – conclude Garimberti – è quella di coprire i costi retribuire il lavoro. Per ciascuna categoria di refluo è necessario individuare un prezzo che garantisca al biogas un risparmio rispetto all’acquisto sul mercato di silomais, garantisca all’azienda agricola fuori filiera una convenienza all’acquisto; copra i costi di trasporto, di trattamento, di gestione del lavoro e di logistica. Nella transazione, inoltre, vanno imputati i costi relativi ai servizi erogati: lo scarico dell’azoto, il mancato costo di distribuzione, il servizio di stoccaggio delle quote eccedentarie».
Si impone dunque una gestione cooperativistica, finalizzata a bilanciare costi e benefici, per ciascun attore e ciascuna fase, al fine di equilibrare il valore tra reflui a diverso costo di trattamento e assicurare reciproci vantaggi per l’avvio e la sostenibilità del sistema.
Contemporaneamente, «è necessario fare formazione sulla buona gestione del refluo. Una volta coperti i costi e remunerato il lavoro, infatti, si suggerisce di utilizzare una parte della marginalità per promuovere attività dimostrative». Quel «passaggio culturale che in Germania è stato compiuto già 15 anni fa e che da noi deve ancora venire», ricorda Fabio Boccalare, allevatore e presidente dell’Associazione italiana pioppicoltori.
CASE HISTORY. L’azienda TECNOTERR ha detto addio all’urea. E conviene
Economia circolare? A Mantova già si fa, con vantaggi sull’ambiente e sul bilancio aziendale. È il caso dell’azienda Tecnoterr di Marco Goldoni, agronomo, che conduce – insieme ai familiari – circa 180 ettari tra proprietà e affitto. Grazie all’impianto da 1 megawatt a Curtatone, a pochi chilometri dalla città, riesce a convertire i reflui zootecnici in digestato e a produrre energia termica ed elettrica.
«L’impianto è alimentato con circa 10mila tonnellate annue di insilati, ottenuti dal grano e dal mais in secondo raccolto – racconta Goldoni -. Inoltre, utilizziamo circa 17mila metri cubi di liquame bovino da due allevamenti distanti circa 2-3 chilometri dall’azienda, circa 3mila tonnellate di pollina da due allevamenti del Mantovano, distanti circa 20-30 chilometri e il separato solido degli allevamenti suini da Marcaria, distante più o meno una decina di chilometri. Il digestore utilizza anche sottoprodotti come pula di mais e siero di latte».
La procedura è ormai consolidata. «Preleviamo il liquame dalle aziende – dice Goldoni – e restituiamo il digestato liquido, che ha una concentrazione di azoto superiore, dal 2% al 6%, e ha pertanto un potere fertilizzante migliore».
Per il digestato viene fatta la separazione solido-liquido e la materia ottenuta viene usata per il 60-70% sui terreni aziendali, attraverso interratori.
Lo spandimento segue un calendario preciso: nessun utilizzo autunnale, se non limitatamente al grano in pre-semina; in primavera in copertura sul grano, grazie a una macchina specifica (Xerion di Claas); sul primo raccolto di mais in pre-semina, attraverso il sistema ombelicale e una sarchiatura successiva; dopo la trinciatura del grano con gli interratori. Questi cicli, di fatto, richiedono periodi di stoccaggio del digestato di circa 150-160 giorni.
«La distribuzione del digestato si ha comunque sempre con la coltura in campo, mai su terreno nudo – specifica Goldoni -. Sono ormai quattro anni che non usiamo fertilizzanti chimici e abbiamo produzioni costanti, se non in aumento».
Quali sono i costi? «La pollina e il separato solido dei suini ce lo portano gratuitamente, mentre il liquame bovino ha un costo di 1,50 euro al metro cubo – calcola Goldoni -. L’utilizzo del digestato liquido si aggira intorno a 1-2 euro per metro cubo, mentre quello solido sui 2-3 euro. Il costo più significativo è dovuto alla macchina utilizzata per lo spandimento interrato. Paghiamo un contoterzista che con la Xerion compie il lavoro. La spesa è di 3,50-4,50 euro al metro cubo, all inclusive».
Il bilancio ambientale, comunque, è vantaggioso. «Se devo interrare 200 unità di azoto in copertura a un ettaro – prosegue l’agronomo – mi servono 35 metri cubi. Ipotizzando una spesa media che, come detto, possiamo fissare in 4 euro a metri cubi, sono 140 euro. Tenuto conto che, se utilizzassi urea di sintesi, avrei bisogno di 360 kg/ha, spendendo con le quotazioni attuali, in ribasso rispetto alle scorse settimane e allo stesso periodo del 2016, poco più di 113 euro».
Con l’urea a 415 euro/ton, la spesa sarebbe stata superiore rispetto al digestato: 149 euro contro 140, con lo svantaggio ulteriore di non aver smaltito l’azoto nitrico.
«Nella nostra azienda non usiamo concimi chimici e rispettiamo il bilancio ambientale, in un’ottica di completa sostenibilità, avvantaggiando anche gli allevatori della zona, che riducono il carico azotato».
Tornerebbe indietro, sposando di nuovo la chimica?
La risposta è secca e decisa: «Assolutamente no».
MARCO CARRA CHIEDE UNA NORMATIVA PIÙ “LIGHT” PER L’AGRICOLTURA
Con una dichiarazione di voto sulla legge europea 2017, all’esame della Commissione Agricoltura della Camera per le parti di propria competenza, il deputato del Pd Marco Carra ha chiesto che venga «convocata rapidamente la Conferenza Stato-Regioni per rimodulare l’applicazione della Direttiva nitrati, alla luce dello studio redatto da Ispra, che ha certificato che la presenza di nitrati di origine zootecnica è in misura decisamente inferiore a quanto stabilito fino ad ora e che i sistemi civili ed industriali hanno responsabilità assai più rilevanti di quanto certificato fino a oggi».
Da qui, appunto, «la necessità di ridefinire le cosiddette zone vulnerabili, basata su dati aggiornati, rivedendo la modalità di calcolo degli apporti di azoto di derivazione agricola, definendo le riduzioni percentuali da applicare, vista l’accertata rilevante concorrenza di altri fattori inquinanti. Questo consentirebbe una modifica della norma – prosegue Carra – in modo da inserire l’obbligo di valutazione, da parte delle Regioni, delle concorrenti fonti di inquinamento. Tutto questo per evidenziare che la zootecnia non può dipendere da norme costruite sulla base di dati superati dalle nuove rilevazioni scientifiche, realizzate da Ispra».
Conclude il deputato mantovano, «è fondamentale che lo Stato e le Regioni superino lo stallo nel quale da troppo tempo ci troviamo. La zootecnia italiana deve trovare una risposta certa e territorialmente omogenea. Da troppi anni questo problema non viene affrontato».
FAVA: La REGIONE LOMBARDIA HA FATTO MOLTO
L’assessore all’Agricoltura della Lombardia, Gianni Fava, ha inviato un messaggio agli agronomi presenti al convegno sulla Borsa liquami, confermando l’impegno della Regione sul tema. «Ho partecipato all’incontro organizzato nell’ambito di LifeDop lo scorso gennaio al Bovimac – dice Fava – e ritengo che la modalità che avete adottato per affrontare il tema della produzione zootecnica sostenibile, cercando di valorizzare i reflui come nelle più avanzate tradizioni di agricoltura circolare, vada nella giusta direzione».
«Regione Lombardia – prosegue Fava – in questi anni ha prestato particolare attenzione al problema dei nitrati, cercando di adottare soluzioni che non fossero eccessivamente penalizzanti per il sistema agricolo territoriale, pur nella consapevolezza che la partita si gioca a Bruxelles e che l’interlocuzione privilegiata, quasi esclusiva, sono in capo al ministero dell’Ambiente e alla Commissione europea, molto spesso prevenuti o miopi quando si parla di determinate attività produttive».
Calendario e valorizzazione
«Il mio impegno in difesa della zootecnia lombarda, fiore all’occhiello a livello mondiale e serbatoio di produzioni agroalimentari apprezzate, invidiate e copiate nel mondo, ha cercato di affiancare alle specifiche misure del Psr anche accorgimenti che potessero aiutare gli allevatori a fare impresa – dichiara Fava -. E questo con riferimento ai periodi di spandimento o all’utilizzo del digestato, talvolta anche scontrandomi con atteggiamenti di massima preclusione da parte dell’Europa o di Roma, ma cercando di scardinare atteggiamenti di ostacolo alla libera impresa attraverso studi scientifici».
Bene la Borsa liquami.
«Gli sforzi del sistema agricolo di dare un valore tangibile ed economico a un prodotto che, altrimenti, incontra difficoltà di utilizzo nella corretta valenza ambientale sono encomiabili – conclude Fava -. È di questo che abbiamo bisogno: di studi scientifici calati su scenari reali, per dare il giusto valore alla zootecnia, in un’ottica di produzione sostenibile. È quanto stanno facendo in Danimarca, nei Paesi Bassi, in Belgio, dove l’attenzione all’ambiente si coniuga alla produttività».
IN OLANDA IL TETTO SUI FOSFATI “TAGLIA” LA MANDRIA
Era un provvedimento annunciato, nell’aria da diversi mesi.
E, giustamente, in parte temuto dagli allevatori olandesi, che dovranno rivedere il sistema di produzione e, soprattutto, ridurre il numero di capi.
I Paesi Bassi, infatti, dovranno ridurre la produzione di fosfati nel 2017 a un livello che permetterà al Paese di mantenere la sua deroga. Ne dà notizia lo European Milk Board.
Le misure per la riduzione del fosfato nel 2017 consistono in tre parti: regolazione della riduzione del fosfato 2017; uso dell’alimentazione nel settore lattiero caseario; regolamentazione delle sovvenzioni per le aziende che cessano la produzione lattiera.
Regolamento per il piano di riduzione di fosfati del 2017. A partire dal 1° marzo scorso, le aziende che producono latte per il consumo o per la trasformazione hanno dovuto abbassare gradualmente la produzione di fosfati. Devono ridurre progressivamente la loro mandria alle dimensioni che aveva il 2 luglio 2015, meno il 4%. Gli allevamenti che adottano il pascolo sono esenti da questa riduzione.
Riduzione a fasi. Viene impostato un target per ogni allevamento, che corrisponde al numero di vacche da latte registrate il 1° ottobre 2016 nel sistema di identificazione e registrazione (I&R). Questa cifra viene quindi ridotta di una percentuale specifica. Gli obiettivi di riduzione sono imposti in base a periodi di due mesi.
Le aziende che non riescono a rispettare il loro obiettivo devono pagare un’ammenda.
Le aziende che raggiungono l’obiettivo della fase, ma non hanno ridotto la loro mandria al livello che hanno avuto il 2 luglio 2015, meno il 4%, pagano una multa inferiore.
Imposte. Gli allevamenti che non soddisfano il loro obiettivo e non rispettano la riduzione a fasi devono pagare un’ammenda: 240 euro al mese e per ogni unità di bestiame superiore al numero di riferimento.
Tassa di solidarietà. Le aziende nel settore lattiero-caseario che riducono la loro mandria del numero di vacche imposte per una determinata fase, ma che non soddisfano il numero di riferimento, devono pagare un contributo di solidarietà applicato a tutte le unità di bestiame ancora da ridurre.
Bonus. Le aziende nel settore lattiero caseario che, in un mese, arrivano ad avere meno unità di bestiame rispetto al loro numero di riferimento, ottengono un bonus.
Alimenti per il settore lattiero caseario. Per ridurre il livello di fosfato nei liquami occorre abbassare il contenuto di fosfato nell’alimentazione mista. Questa misura sarà attuata dall’industria dei mangimi.
Regolamento di sovvenzione per la cessazione della produzione lattiera. Gli allevatori di bovini che cessano la produzione di latte nell’anno 2017 possono beneficiare della “Regolamentazione delle sovvenzioni per gli allevamenti”.
Il primo turno è stato aperto il 20 febbraio e chiuso il primo giorno in cui l’obiettivo è stato superato.
Il premio pagato per unità di bestiame è di 1.200 euro.
Questa misura è destinata a ridurre la produzione di fosfati di 2,5 mln di kg.
I timori per la Pianura Padana. A difendere gli allevamenti dell’area padana è Claudio Leoni, presidente degli Agronomi e Forestali della provincia di Mantova. L’incognita, quando si parla di normative applicate nel Nord Europa, è che possano fare da apripista per una loro estensione a livello comunitario.
Leggi l’articolo su Informatore Zootecnico n. 14/2017
L’edicola di Informatore Zootecnico