Per i nostri allevamenti il 2022 non si è aperto sotto i migliori auspici. Al contrario, stiamo attraversando un periodo particolarmente difficile. L’esplosione dei costi di produzione sta letteralmente strozzando le imprese, costrette ormai da mesi a fronteggiare prezzi delle materie prime schizzati alle stelle, a cominciare da quelle alla base della dieta degli animali.
Basti pensare che, secondo gli ultimi dati Fao, i prezzi dei cereali hanno raggiunto nel 2021 il livello annuo più alto degli ultimi dieci anni, con un aumento medio del 27,2% rispetto al 2020 e con rincari che ad esempio per il mais sono stati del 44,1%.
Gli aumenti riguardano anche la soia, che attualmente sul mercato viene valutata circa 600 euro a tonnellata con un incremento su base annua attorno al 30%.
L’energia, i concimi
A questo, nelle ultime settimane si somma il balzo dei beni energetici, dal gasolio all’energia elettrica fino al gas con aumenti che oscillano dal 40-50% fino a punte del 100%. Nel mondo agricolo i consumi diretti di energia riguardano i combustibili per i trattori e gli altri macchinari oltre che i trasporti, mentre tra i consumi indiretti ci sono quelli che derivano da fitosanitari, fertilizzanti e impiego di materiali.
Per le operazioni colturali, ad esempio, gli agricoltori sono stati costretti negli ultimi tempi ad affrontare rincari dei prezzi fino al 50% per il gasolio necessario per le attività che vanno dall’estirpatura alla rullatura, dalla semina alla concimazione.
A causa dell’impennata del costo del gas utilizzato nel processo di produzione dei fertilizzanti, sono schizzati verso l’alto anche i prezzi dei concimi: dall’urea, che è passata da 350 euro a 850 euro a tonnellata (+143%), al fosfato biammonico Dap raddoppiato (+100%) da 350 a 700 euro a tonnellata, mentre prodotti di estrazione come il perfosfato minerale registrano +65%. Stessa sorte per i fertilizzanti a base di azoto, fosforo e potassio che subiscono anch’essi una forte impennata (+60%).
Le ricadute
Un quadro che ci preoccupa fortemente, perché si ripercuote a valanga sui bilanci delle aziende agricole mettendone a rischio la tenuta ed esponendole al rischio crack.
Consideriamo inoltre che, oltre ai rincari, sui costi di produzione incidono anche tutti gli investimenti che le aziende stanno facendo in termini di miglioramento come quelli sul benessere animale e sulla riduzione delle emissioni, senza considerare gli oneri burocratici.
La suinicoltura
Ci sono poi settori del mondo allevatoriale che in questo periodo sono in stato di allerta anche per le minacce esterne che potrebbero aggravare ulteriormente la situazione: il comparto dei suini, ad esempio, sta vivendo settimane di grande preoccupazione a causa dei casi di Peste Suina Africana riscontrati su cinghiali tra Piemonte e Liguria, dopo quelli registrati in Germania, Belgio e Paesi dell’Est Europa che rappresentano un grave campanello d’allarme per i nostri allevamenti di maiali.
La Peste Suina Africana può colpire cinghiali e maiali, è altamente contagiosa e spesso letale per questi animali, fortunatamente non è trasmissibile agli esseri umani.
Una minaccia particolarmente sentita in Lombardia dove sono allevati quasi 4 milioni e mezzo di suini.
Il latte
In questa situazione non è pensabile che gli allevatori si accollino anche gli aumenti produttivi degli altri attori del comparto agroalimentare.
È quello che però sta succedendo nel settore lattiero caseario, dove una parte della filiera sta tentando di scaricare gli aumenti dei costi energetici sulle stalle, creando tensione sui prezzi. Il paradosso è che questo sta avvenendo in un momento in cui il latte estero è pagato di più rispetto a quello italiano.
La Lombardia è la culla del latte italiano: nella nostra regione infatti si contano più 500 mila vacche da latte e viene munto oltre il 40% “dell’oro bianco” nazionale. Salvaguardare gli allevamenti significa mettere in sicurezza l’intera filiera e questo passa anche dal corretto riconoscimento del loro lavoro a cominciare da un giusto prezzo del latte alla stalla, il cui valore non può prescindere dagli attuali costi di produzione, come per altro riconosciuto dal recente provvedimento contro le pratiche commerciali sleali.
In questo scenario così delicato, è urgente che tutti i soggetti della filiera agiscano con responsabilità, per non perdere capacità produttiva soprattutto per quanto riguarda i prodotti zootecnici, che contribuiscono in maniera importante al valore dell’agroalimentare Made in Italy.