Articolo 62 – Che cos’è, cosa comporta per i produttori di latte

latte
È la norma che definisce le caratteristiche generali che devono avere i contratti: essere obbligatoriamente in forma scritta. E indicare, a pena di nullità, le quantità e le caratteristiche del prodotto venduto, la durata, il prezzo, le modalità di consegna e di pagamento

Da sempre c’è un forte squilibrio di forze tra gli allevatori che il latte lo producono e gli industriali che il latte lo acquistano. Sul piano economico, il peso medio di una impresa industriale è da sempre assai maggiore della dimensione della singola stalla; inoltre l’anello industriale della filiera è storicamente assai più organizzato rispetto alla fase produttiva da sempre molto parcellizzata. Il recente processo di concentrazione nel settore ha oltremodo ampliato, ma si potrebbe dire aggravato, questa situazione, portando a veri giganti del settore. Basti pensare a Lactalis che in Italia possiede marchi come Galbani, Parmalat, Cademartori, Invernizzi, Locatelli, Vallelata.

Una situazione che genera tanti problemi, tra i quali primeggia la gestione dei rapporti tra stalla e latteria. In poche parole: i contratti di cessione del latte. Quante volte l’allevatore in passato (ma solo in passato?) ha firmato un documento che nemmeno si poteva chiamare “contratto”; e quante volte poi non ne disponeva nemmeno di una copia.

Nella legge 27/2012

In Italia la materia dei contratti di cessione dei prodotti agricoli è regolata dalla legge 27 del 2012 (conversione del decreto legge 1 del 2012). È il noto articolo 62 che in particolare se ne occupa e che per buona parte riporta, nella normativa nazionale, la normativa comunitaria su questa questione (Regolamento 1308 del 2013).

L’articolo 62 si apre con l’elenco delle caratteristiche generali che devono avere i contratti: essere obbligatoriamente in forma scritta e indicare, a pena di nullità, la durata, le quantità e le caratteristiche del prodotto venduto, il prezzo, le modalità di consegna e di pagamento. Ma vediamo ora in dettaglio le altre e più specifiche previsioni dell’articolo 62, integrate dalla normativa ministeriale applicativa (Decreto Mipaaf 199/2012).

Pratiche sleali

La normativa italiana si preoccupa anche di precisare quelle pratiche commerciali da ritenersi scorrette, e che dunque non possono essere oggetto di contrattualizzazione. La legge dice infatti che è vietato imporre direttamente o indirettamente condizioni di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose, nonché condizioni extracontrattuali e retroattive. E che non si può condizionare o subordinare qualsiasi prestazione contrattuale a condizioni palesemente estranee all’oggetto del contratto (cioè la compravendita del latte crudo). È inoltre vietato chiedere indebite prestazioni unilaterali, non giustificate dalla natura o dal contenuto delle relazioni commerciali.

Termini di pagamento

Importante quanto disposto sulle scadenze dei pagamenti all’allevatore. Per i prodotti deperibili, quali certamente il latte crudo, il termine di legge è di 30 giorni. Fissato il tetto massimo in giorni l’altra questione rilevante è la “decorrenza”, da quando cioè inizia il conteggio dei 30 giorni. Il decreto ministeriale precisa che i termini di pagamento decorrono “dall’ultimo giorno del mese di ricevimento della fattura”. E si intende ovviamente la fattura del produttore per il pagamento del latte; aggiungendo che il produttore deve emettere fatture per ciascuna partita di latte con diverse decorrenze temporali. Se poi sorge un dubbio sulla data in cui il caseificio riceve la fattura, si deve procedere assumendo come giorno per la decorrenza dei termini di pagamento quello di ricevimento del latte. Se vi sono ritardi nei termini di pagamento, sono contemplati degli interessi di mora.

Durata 12 mesi

C’è anche da aggiungere che un ulteriore e recente intervento legislativo (Legge 91/2015 del luglio scorso) ha fissato la durata minima dei contratti nel comparto del latte in 12 mesi.

Si tratta di una opzione lasciata agli stati membri dalla normativa comunitaria (Regolamento Ue 1308/13) e che ora il nostro Paese ha esercitato. Rimane che la stessa legge prevede, in caso di apposito accordo scritto, la possibilità per le parti di fissare durate diverse.

 

SECONDO IL REGOLAMENTO COMUNITARIO

A livello europeo, ad occuparsi del tema dei contratti è l’articolo 148 del Regolamento 1308 del 2013, la normativa che si occupa di organizzazione comune di mercato unica e che, nell’ambito della recente riforma della Pac, ha assorbito le norme sul “Pacchetto latte”.

Dall’incipit dell’articolo 148, per la verità un poco contorto, si evince che l’obbligo di regolare i rapporti tra stalle e latterie attraverso contratti scritti non è europeo ma ricade nelle opzioni degli stati membri; che possono ulteriormente scegliere tra “contratti” e “offerte scritte per contratto” da parte dei primi acquirenti.

Di particolare rilievo la parte dell’articolo 148 che determina le caratteristiche che deve il contratto (o l’offerta) che, si ribadisce, deve essere in forma scritta. Innanzitutto deve essere perfezionato prima dell’inizio della consegna del latte. In secondo luogo deve comprendere una serie di elementi obbligatori. Intanto nel documento che si firma come contratto deve comparire chiaro il prezzo da pagare alla consegna, che può essere fisso o è calcolato combinando vari fattori stabiliti nel contratto stesso, quali indicatori di mercato, quantità consegnate, qualità o composizione del latte crudo venduto alla latteria.

Inoltre, deve essere evidenziato il volume che si intende compravendere e il calendario delle consegne. Sempre nel patto scritto deve essere ben espressa la durata del contratto, che può essere determinata, cioè a scadenza già prefissata, o indeterminata, e devono comparire le clausole di risoluzione del rapporto contrattuale.

Per quanto riguarda poi le scadenze e le modalità di pagamento esse devono essere ben precisate nel contratto; così come le modalità per la raccolta o la consegna del latte crudo e le norme applicabili in caso di forza maggiore.

 

MA DOPO TRE ANNI MOLTI CONTRATTI ANCORA NON SONO FIRMATI

Un conto è la norma scritta, un altro l’applicazione concreta e i comportamenti di chi la deve rispettare. La legge che riporta l’articolo 62 è uscita nel 2012. Oltre tre anni fa, e dunque è tempi di domandarsi come è stata applicata sino ad oggi.

Partendo dal famoso obbligo di regolare i rapporti commerciali tra stalla e latteria attraverso contratti scritti e firmati da entrambe le parti. Non sempre accade; anzi forse si può dire che spesso non accade. Ancora in molti casi le aziende agricole hanno ricevuto il contratto redatto dall’industria ma non lo hanno firmato.

Eppure il rapporto di compravendita prosegue senza ostacoli. Anche perché è sufficiente, sempre secondo la legge, che i termini contrattuali siano riportati in una fattura o addirittura in una bolla di accompagnamento che tutto è risolto. E così, il pomposo obbligo di contratti scritti, firmati e controfirmati può ridursi a una frasetta in calce alla fattura del mese che recita “Assolve gli obblighi dell’articolo 62…”.

Ma passiamo ai termini di pagamento, perché analizzando le cose emerge una questione curiosa. Con l’introduzione dell’articolo 62, si sono portati i termini di pagamento da 60 giorni, come accadeva, a 30.

Un vantaggio? Forse solo sulla carta. Per anni, prima dell’introduzione dell’articolo 62, nella stragrande maggioranza dei casi il pagamento era regolato a 60 giorni dal dalla “ultima consegna di latte”. Per esempio il latte munto nel corso del mese di aprile veniva pagato entro 60 giorni a partire dal 30 aprile, cioè entro fine giugno.

Ora la legge dice testualmente: “il termine decorre dall’ultimo giorno del mese di ricevimento della fattura”. Sempre nell’esempio di latte munto ad aprile, anche ipotizzando che una stalla ultraefficiente emetta fattura entro la mezzanotte del 30 aprile, la latteria la riceverà a inizio maggio, e dunque il conteggio per legge dei 30 giorni scatterà a fine maggio… per terminare a fine giugno.

 

L’edicola di Informatore Zootecnico

Articolo 62 – Che cos’è, cosa comporta per i produttori di latte - Ultima modifica: 2016-01-18T13:15:42+01:00 da Barbara Gamberini

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