Focus sul mercato del latte e sull’andamento del settore lattiero caseario alla sessione pomeridiana del Milk Day, il workshop organizzato da Edagricole e Fieragricola a Verona il 2 febbraio scorso.
In primo piano anche il trend dei consumi analizzati da una ricerca realizzata appositamente per l’evento e commentati nel corso di una tavola rotonda nell’ultima parte della giornata.
Il Clal sulle dinamiche internazionali
Delle principali tendenze del mercato ha parlato Francesco Branchi del Clal: «L’Oceania con Australia e Nuova Zelanda produce solo il 5% del latte mondiale, ma detiene il 35% delle esportazioni globali di prodotti lattiero-caseari. Da marzo 2017 la produzione mondiale di latte sta aumentando dopo un periodo di diminuzione. Il recupero è stato in effetti molto veloce, trainato dall’Unione Europea (1,6%), e poi anche dagli Usa (1,4%). Anche in Nuova Zelanda, dopo la siccità, l’offerta è in rialzo e lo stesso andamento riguarda l’Australia, con un’offerta in crescita dopo un periodo di calo».
Per quanto riguarda la domanda le importazioni, ha fatto notare Branchi, sono cresciute dell’1,5% nel 2017, con uno sprint nel Centro-Sud dell’America ma soprattutto nel sud-est asiatico, dove l’incremento maggiore, pari al 35%, interessa la crema arrivata fino alle 204mila tonnellate. In Cina si è osservato un aumento del 13% della domanda, soprattutto di yogurt con un balzo del 68% e della crema, in progresso del 67% fino a 139mila tonnellate. La domanda di formaggio invece si sta stabilizzando ed è infatti cresciuta solo dell’11%.
Per quanto riguarda i prezzi a livello mondiale il prezzo della polvere di latte intero nel gennaio 2018 oscilla intorno a prezzi medi, mentre quello della polvere di latte scremato ha risentito delle scorte ancora abbondanti nei magazzini di intervento dell’Ue dal 2016. Il burro in particolare ha registrato un picco nei prezzi a livello europeo e internazionale, legato al ridotto contenuto di grasso nel latte rispetto all’anno precedente.
L’Europa risulta nel 2016 eccedentaria nella produzione di latte con un’autosufficienza del 112% in cui però il Sud Europa resta pur sempre deficitaria e costretta ad importare. L’Europa a novembre 2017 ha prodotto il 5,7% in più rispetto a novembre del 2016, Francia e Germania hanno iniziato a crescere da luglio e agosto, l’Italia ha metto a segno un progresso del 4,5% a novembre 2017 rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. In Irlanda si è registrato in particolare un aumento sprint della produzione del 16% a novembre 2017 e del 9% da gennaio a novembre 2017. Non ha invece aumentato la produzione l’Olanda, dove sono stati abbattuti 65.500 capi in più rispetto al 2016 per un problema di fosfati nel terreno e quindi di sostenibilità.
Le esportazioni europee, in base ai dati Clal, sono cresciute del 6,45% da gennaio a ottobre 2017 trainate dalla polvere di latte scremato (28,6%) salita a quota 663mila tonnellate, e dalla crema (23%) arrivata alle 166mila tonnellate. Da sottolineare che i formaggi fanno sempre la parte del leone in termine di volumi e crescono del 4,5% fino alle 696mila tonnellate nel 2017.
Il Clal sulle dinamiche nazionali
L’Italia ha un’autosufficienza dell’80,6% nella produzione di latte, ma questa percentuale presenta forti oscillazioni da un trimestre all’altro che sono anche responsabili delle variazioni di prezzo. I consumi interni in Italia indicano che Grana Padano e Asiago hanno registrato un leggero aumento, il Parmigiano Reggiano è in leggera flessione ma è aumentato il prezzo di vendita. Per quanto riguarda i prodotti freschi cresce il consumo di mozzarella di bufala ma soprattutto i prodotti bio, in particolare il latte, ma questi ultimi restano comunque sempre a livello di nicchia.
Le spedizioni di formaggi italiani all’estero sono cresciute del 7% da gennaio a ottobre 2017, con Grana Padano e Parmigiano Reggiano che arretrano e grattugiato o formaggio in polvere che crescono del 16%. In progresso del 16% i formaggi duri e i formaggi freschi con la mozzarella in testa.
L’aumento dell’offerta di latte in Europa ha fatto scendere il prezzo del latte spot in Germania e in Francia da ottobre 2017. Il prezzo del latte in Lombardia era simile a quello del latte d’occasione in Francia e Germania mentre a dicembre 2017 il latte lombardo è stato quotato 40,79 euro per 100 litri, un valore nettamente più alto di quello del latte spot francese (32,09) e tedesco (33,89).
Simulando l’andamento dei costi di alimentazione dei bovini da latte nel dicembre 2012 l’alimentazione valeva l’84,4% del prezzo del latte e nel dicembre 2017 il costo è sceso al 59,3%. A gennaio 2018 la razione alimentare è costata 22,74 euro per 100 chilogrammi di latte anche se sono in aumento i costi di foraggio.
Rama: cosa fanno i produttori di latte oggi
Sulle strategie adottate dai produttori di fronte alle evoluzioni del mercato lattiero caseario si è focalizzato Daniele Rama, direttore dell’Osservatorio sul Mercato dei Prodotti Lattiero-caseari dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Cremona e dell’Associazione Italiana Allevatori. «La volatilità del mercato non è figlia dell’uscita dalle quote latte come comunemente si pensa, - ha precisato Rama - ma è cominciata nel 2005-2006, quando è stato eliminato il meccanismo dell’intervento che è stato poi reintrodotto nel 2016, e sono stati cancellati i sussidi all’export. Una volta venuti meno questi paracaduti i prezzi sono diventati meno stabili: il mercato europeo si è così allineato a quello mondiale. Questo allineamento ha consentito però di esportare e oggi il latte europeo è competitivo sul mercato mondiale».
Il prezzo del latte italiano è sempre stato un po’ più stabile rispetto ad altri prezzi europei a esempio quello tedesco, ma l’andamento di fondo, spiega sempre Rama, è lo stesso. Anche se il 70% della produzione di latte italiana è trasformato in formaggi e di questa quota un 60% circa è destinato alle produzioni dop, il prezzo resta sempre legato agli equilibri internazionali. Il 20% del mercato italiano è inoltre rifornito dalle importazioni, non tanto di latte quanto di prodotti finiti o semilavorati come cagliate.
«La razione alimentare dei bovini da latte – ha proseguito Rama - rappresenta almeno il 50% del costo totale ed è un elemento variabile, ma presenta una corrispondenza di fondo con l’andamento del prezzo del latte e questo allineamento salvaguarda in parte il reddito dei produttori». Tutti ricordano il momento terribile vissuto dal comparto nella prima parte del 2012, con il crollo del prezzo del latte e la contestuale impennata dei prezzi delle materia prime, soprattutto della soia oltre che del mais. Un altro triennio negativo è stato quello dal 2014 al 2016: in questo caso la riduzione è stata riassorbita da una parziale flessione del costo degli alimenti.
«Non siamo però oggi – ha detto ancora Rama - in una situazione difficile e neppure drammatica perché i 37-39 centesimi al litro di latte pagati oggi sono buone quotazioni se paragonate al passato. Il problema è legato alla volatilità dei prezzi che è un elemento di fondamentale incertezza per il produttore che vuole investire o programmare l’offerta».
Come reagisce allora il produttore alle oscillazioni di prezzo? «Quando i prezzi scendono l’allevatore non riesce ad adeguare immediatamente l’offerta. In una stalla fortemente capitalizzata avrebbe dovuto incrementare l’offerta per stabilizzare i ricavi, almeno nel breve termine, appunto quando i prezzi scendono. Invece cosa fa? Aumenta la produzione solo quando i prezzi aumentano».
Rama sulla chiusura delle aziende da latte
La conseguenza è che molte aziende da latte stanno chiudendo: dalla campagna 1995-96 a quella del 2016-17 è scomparso il 69% delle stalle. È scomparso negli ultimi 20 anni il 91,4% delle stalle sotto le 10 tonnellate di latte, l’88,9% di quelle che producono da 10 a 20 tonnellate e il 79% delle stalle da 20 a 50 tonnellate.
Significa che le piccole e piccolissime aziende stanno sparendo in pianura e stanno da qualche anno diminuendo anche nelle zone di montagna. Di fronte a questo processo di concentrazione il settore reagisce cercando di abbassare i costi che sono molto variabili in base alle dimensioni delle aziende. Si parte infatti da un costo esplicito di 117,46 euro per 100 chilogrammi di latte per gli allevamenti che producono fino a 20 tonnellate l’anno e si arriva al costo più basso di 37,01 euro per 100 chili nelle stalle più grandi che superano le 2mila tonnellate di latte l’anno.
Le aziende che hanno fatto profitto nell’ultimo triennio sono pochissime: nel 2017 sono solo il 5% di quelle piccolissime, salgono al 51% quelle che producono da 200 a 500 tonnellate e si arriva all’80,41% di quelle più grandi da più di 2mila tonnellate l’anno di latte. Anche tra queste aziende una quota significativa chiude in rosso anche in un anno positivo per il latte italiano come il 2017. Un’azienda su cinque anche tra le più grandi, quindi, non riesce a coprire i propri costi.
Rama: le reazioni delle imprese della trasformazione ai nuovi scenari di mercato
Cosa fanno invece le imprese della trasformazione di fronte agli scenari in evoluzione e alle incertezze sul costo di approvvigionamento?
«La prima reazione – continua Rama - è quella della concentrazione dell’offerta, ad esempio è nata la Aop Latte Italia che rappresenta 1 milione di tonnellate di latte, il 10% circa del latte italiano, e riunisce 5 Op in Lombardia e Piemonte, ma oggi è solo una struttura di coordinamento perché ognuno poi persegue le proprie politiche commerciali. A livello di imprese di trasformazione a dicembre 2017 è nata invece la Centrale del Latte d’Italia dalla fusione delle Centrali del latte di Torino, Vicenza e Firenze con 200 milioni di fatturato, 5 stabilimenti, 240 dipendenti e 4 marchi del latte. E’ il terzo polo del latte dopo Granarolo e Parmalat ma dovrà crescere ancora».
Una seconda risposta agli stimoli del mercato è la diversificazione produttiva e dei mercati. Fino a pochi anni più dell’80% del fatturato di Granarolo era legato alla bottiglia di latte, ora invece il prezzo sta diminuendo assieme ai consumi e si cerca di allargare con l’internazionalizzazione. Il gruppo cooperativo ha puntato non solo sull’estero, dove oggi realizza il 28% del fatturato, ma anche sulla diversificazione produttiva con la produzione di bevande di soia, gli investimenti nell’aceto balsamico e nell’acquisto di un pastificio. Questo è un altro modo per cogliere le opportunità del mercato.
La terza risposta è la differenziazione dei prodotti, ossia tentare di valorizzare ad esempio il Parmigiano Reggiano prodotto con il latte di vacche rosse dell’Appennino Reggiano o il “Latte nobile”, prodotto con vacche che hanno almeno il 70% di alimentazione di foraggi freschi o fieno, o ancora il burro fatto con latte di capra spalmabile di Amalattea.
Una quarta linea strategica, ha concluso Rama, è l’integrazione di filiera realizzata ad esempio dall’accordo per il latte scremato in polvere tra Inalpi e l’industria dolciaria Ferrero: il progetto è partito nel 2009 e si basa su un sistema di indicizzazione del prezzo con premi di filiera che riconoscono anche le necessità dei produttori di latte.
Gruppo Polidella
Il trend dei consumi di prodotti lattiero caseari è stato poi l’argomento centrale della tavola rotonda del Milk Day. Che ha indagato su come influiscono le esigenze del consumatore sul mercato e sul livello dei prezzi nel settore lattiero caseario.
Il settore lattiero caseario, ha detto Simondavide Rongoni del Gruppo Polidella grande distribuzione (in Alto Adige) nel corso della tavola rotonda, «occupa nella grande distribuzione un ruolo di primo piano nel settore dei freschi e una parte importante dello scontrino delle spesa alle casse. Cerchiamo di offrire al consumatore un ampio assortimento di prodotti in modo da cercare di venire incontro il più possibile alle sue richieste. Si avverte comunque una difficoltà del mondo lattiero caseario che è stato attaccato da più parti con la conseguenza che il consumatore si è spostato su prodotti diversi, non a base di latte. Sono intervenuti inoltre anche cambiamenti socio culturali che hanno allontanato il cliente dal latte».
Ha continuato Rongoni: «Operiamo tuttavia nel Trentino Alto Adige e con attività di marketing che valorizzano soprattutto i prodotti della tradizione lattiero caseario non abbiamo sentito molto questa criticità. Da noi più del 50% del fatturato sviluppato nel settore lattiero caseario è legato a prodotti del territorio. È vero però che nel 2017 in Italia il fatturato del latte fresco e Uht ha perso circa 70 milioni di euro e che con i prodotti alternativi al latte come le bevande vegetali ne ha recuperati due terzi».
Alla tavola rotonda sono intervenuti anche Paolo Fabiani, presidente di Trevalli Cooperlat, Luca Cracco del Consorzio di tutela Asiago dop e Caterina Schiavon dell’istituto di ricerca Kkienn. I dettagli sui loro interventi sono riportati nell'articolo di Economia, pubblicato sull'Informatore Zootecnico n. 3.
Le relazioni citate in questo articolo sono pubblicate sul sito web dell’Informatore Zootecnico (https://informatorezootecnico.edagricole.it ) alla sezione Documenti. Per vederle clicca qui.