Cozzi: mai come d’estate la bovina ha bisogno dell’attenzione dell’allevatore

stress da caldo
Giulio Cozzi è professore ordinario di Tecniche di allevamento dei bovini all’Università di Padova, Dipartimento di Medicina animale produzioni e salute (Maps)
Numerose le conseguenze negative dello stress da caldo. Ma numerose anche le possibili contromisure

 

Nel nostro colloquio con Giulio Cozzi, dell’Università di Padova, sugli effetti dello stress da caldo delle bovine, sono emersi due grandi principi generali. Declinati subito dal docente nella messa a fuoco di una raffica di possibili misure pratiche, operative, a disposizione dell’allevatore per far fronte al problema.
Il primo è l’importanza di tener conto del cosiddetto intervallo di termoneutralità. Ossia di quell’intervallo di temperatura ambientale “all’interno del quale la bovina non deve spendere energia per termoregolare. E che va da 15 fino a 25 gradi. Ecco, diciamo che dai 25 gradi in poi l’animale deve mettere in moto una serie di meccanismi metabolici e fisiologici per cercare di ridurre lo stress”.
Il secondo grande principio generale proposto in premessa dal professor Cozzi è il fatto che, se da una parte è vero che d’estate la vacca mangia meno e produce meno latte, dall’altra non è vero che i suoi fabbisogni alimentari diminuiscono. “Al contrario: i suoi fabbisogni aumentano. Con il caldo i fabbisogni della bovina aumentano perché aumenta il fabbisogno metabolico necessario per dissipare il calore. L’animale spende energia per dissipare energia. Il suo mantenimento d’estate aumenta”.
Dunque, arriva l’estate e oltrepassiamo l’intervallo di termoneutralità.
E di conseguenza per la bovina diventa molto importante poter disporre a volontà di acqua di bevanda. Consideriamo che, rispetto a quello che è un consumo d’acqua normale, lo stesso animale a parità di produzione aumenta, può anche raddoppiare, il consumo idrico. Superando tranquillamente i 100 litri al giorno di acqua di bevanda. Cioè il normale bisogno di 50-60 litri d’acqua al giorno può arrivare sino a 100-120 litri, con una velocità di assunzione dell’acqua che raggiunge anche i 24 litri al minuto.

L’intervallo di termoneutralità di una bovina in lattazione. Fonte: Becker et al., Journal of Dairy Science, vol 103, n.8, 2020

Assicurare disponibilità d’acqua fa rima con aumentare il numero degli abbeveratoi.
Per quanto possibile sì! E una soluzione particolarmente efficace, a basso costo, che ho visto applicata per esempio in numerose aziende americane, è quella di inserire degli abbeveratoi in uscita dalla sala di mungitura. Anche abbeveratoi semplici, ma che consentano di aumentare l’accesso all’acqua delle bovine. Ma all’interno di questo discorso c’è un altro aspetto importante, quello legato alla temperatura dell’acqua. Possibilmente cercando di offrire acqua fresca: sotto i 20 gradi aumentiamo l’interesse delle bovine nei confronti del consumo idrico, con conseguente maggior sollievo dallo stress da caldo. Basterebbe andare sotto i 20 gradi.
E se c’è disponibilità d’acqua ci sarà anche, da parte dell’animale, una maggiore richiesta di alimento.
La disponibilità e il consumo di acqua hanno una correlazione altissima con l’ingestione alimentare e la produzione del latte. D’altra parte l’acqua è il primo costituente del latte. Se c’è acqua, l’animale mangerà maggiormente. Se la disponibilità d’acqua invece è limitante ci sarà sicuramente una ripercussione negativa sul consumo alimentare.
D’estate arriva il caldo e arriva il calo di ingestione.
E ho appena dato una prima indicazione per cercare di contenere il calo di ingestione: rendere disponibile l’acqua. Però c’è una seconda situazione che spesso fa saltare il banco e che non riguarda la formulazione della razione quanto la qualità degli alimenti.

La disponibilità di acqua di bevanda necessaria per fronteggiare lo stress da caldo delle bovine. Fonte: G. Cozzi, 2025

Iniziamo dagli insilati.
Le linee guida per l’utilizzo corretto di un alimento insilato, che sia silomais, che sia siloerba, che sia insilato di altri foraggi, suggeriscono che d’estate l’allevatore dovrebbe raddoppiare la velocità di utilizzo delle proprie trincee rispetto a quello che è l’utilizzo che se ne fa d’inverno. Facciamo l’esempio del silomais: il corretto dimensionamento di una trincea dovrebbe prevedere in condizioni chiamiamole di fresco, ad esempio nel periodo invernale, un avanzamento settimanale di almeno un metro in tutta la superficie di desilamento della trincea. D’estate, a fronte dell’aumento delle temperature ambientali, l’avanzamento dovrebbe salire invece a due metri alla settimana.
Però poi avremmo una quantità doppia di alimento. In alternativa si potrebbe forse utilizzare una trincea più stretta…
È proprio così! Questo significherebbe dimensionare correttamente le trincee, cosa che purtroppo, in numerose situazioni aziendali, non si fa.
Due metri alla settimana.
Due metri alla settimana di desilamento sarebbe l’ideale per esempio per il silomais, ma è un parametro che si può applicare a qualsiasi tipo di foraggio insilato, soprattutto quando particolarmente umido. La stabilità della biomassa insilata, che teoricamente ne tutela la salubrità e le caratteristiche nutrizionali, viene in parte compromessa dall’arrivo del caldo, favorendo processi di rifermentazione. Il rischio è di vedere gravemente compromessa la qualità dell’alimento che portiamo in mangiatoia. Offrendo un prodotto instabile che spesso è già caldo, figuriamoci quale sarà la risposta dell’animale in termini di consumo alimentare….
Se togliamo dal fronte trincea due metri di insilato alla settimana, in totale abbiamo meno superficie esposta all’ossigeno.
Promuovendo un maggior prelievo quotidiano di alimento dalla trincea riduciamo il tempo di contatto della superficie di desilamento con l’aria, e soprattutto con l’aria calda, contatto che favorisce fenomeni di rifermentazione. Si chiamano fermentazioni di post-conservazione. E lì si producono, diciamo, tossine.
L’ideale, immagino, sarebbe avere in azienda due tipi di trincea, una per l’estate, l’altra per gli altri periodi dell’anno.
Una larga, per l’inverno, una stretta, per l’estate. Oppure, l’alternativa che stanno seguendo diverse aziende è quella di utilizzare, per i periodi più critici, i balloni ad alta densità. Tale soluzione infatti consente all’allevatore di svincolarsi dal dimensionamento della trincea nel periodo critico dei mesi estivi.
Quindi i balloni ad alta densità ti liberano dal problema estivo del dimensionamento della trincea.
Quello che voglio dire è che la trincea “invernale” potrebbe essere dimensionata per esaurirsi con l’arrivo del caldo per poi utilizzare nei 3-4 mesi estivi un cantiere alternativo (ballone), oppure una trincea estiva che consenta di aumentare la velocità di avanzamento nel suo utilizzo settimanale.
Non stiamo parlando dei consueti balloni fasciati.
No, quelli a cui mi riferisco sono i balloni prodotti con l’utilizzo dei compattatori ad alta densità. Sono dei cantieri un po’ particolari, offerti per esempio dalla tecnologia Orkel, oppure dalla tecnologia Goweil. In pratica all’interno del ballone viene creata la stessa pressione di esercizio che si realizza nella trincea, promuovendo una anaerobiosi forzata nella biomassa. Il loro grande vantaggio consiste nel fatto che alla ottima stabilità del prodotto si unisce un più rapido consumo. A titolo di esempio, una stalla di 200 vacche in lattazione che utilizzasse in razione 27 kg di silomais potrebbe coprire il fabbisogno quotidiano di alimento (54 quintali) utilizzando 6 balloni di prodotto. Sono circa 9 quintali a ballone di prodotto tal quale, senza alcuno scarto. Sempre pensando a una mitigazione dello stress da caldo, suggerisco poi di seguire quello che è il comportamento alimentare delle bovine.

Il comportamento alimentare delle bovine in condizioni di stress da caldo. Fonte: G. Cozzi, 2025.

Il comportamento alimentare…
Cosa fa, in naturalità, un bovino, nel momento in cui arriva il caldo? Ovviamente evita un consumo alimentare nelle ore di maggior stress termico. Se in stalla andiamo a osservare le vacche in corsia di alimentazione, vediamo che dalle 10 del mattino in poi, quando comincia a fare molto caldo, il loro interesse per la mangiatoia si riduce a seguito di una modificazione nel comportamento alimentare. Nelle stalle in cui si esegue un unico scarico dell’unifeed al mattino, le bovine mangiano subito dopo lo scarico della miscelata e poi riducono fortemente il consumo alimentare nel corso delle ore più calde, per tornare a dimostrare un importante interesse per l’alimento solo verso il tardo pomeriggio.
A troppe ore di distanza.
Di fronte a questo tipo di comportamento, facendo un unico scarico della dieta al mattino andiamo a favorire il calo dell’ingestione; perché tu scarichi, la bovina mangia subito, poi una grande quantità di alimento rimane resta lì per ore in mangiatoia, magari esposta al caldo; e se verso le quattro del pomeriggio ci metti una mano dentro, ti scotti.
L’alternativa?
Raddoppiare gli scarichi dell’unifeed in mangiatoia, aumentare il numero dei passaggi del carro. È chiaro che questo comporta un aumento dei costi, ma sicuramente ti consente di portare in mangiatoia un alimento più sano, più fresco. Andando incontro in questo modo a quello che è il comportamento della bovina: l’allevatore porta in mangiatoia verso il tardo pomeriggio un unifeed fresco e la bovina lo assume decisamente più volentieri.
Quindi aumentare il numero delle distribuzioni di unifeed.
Sì, ed è un po’ il principio presente anche nei sistemi automatici di alimentazione, i famosi Afs, come i Vector. Intendo i piccoli carri robotizzati per la distribuzione dell’unifeed, la cui diffusione aumenta, giustamente.
Cercare di seguire il comportamento alimentare.
Questo significa aumentare il numero degli scarichi e avere possibilmente una distribuzione nelle ore del tardo pomeriggio, quando, ovviamente, si suppone che abbassandosi la temperatura ci sia un minor stress per l’animale.
Ma d’estate la bovina mangia meno perché il suo fabbisogno è minore?
Questo non è vero. La vacca mangia meno, ma i fabbisogni aumentano, attenzione. Al caldo i fabbisogni aumentano nonostante ci sia un calo della produzione, perché aumenta il fabbisogno metabolico per dissipare il calore. Da qui l’idea è di rendere disponibile più energia.
Rendere disponibile più energia.
Sì, qui però entriamo in un’area di grande rischio. Cioè dal punto di vista strettamente nutrizionale questo potrebbe avere un senso. Però bisogna capire cosa andiamo a fare, no? Perché se mettiamo più energia attraverso alimenti che, tra virgolette, possono creare un sovraccarico di amido fermentescibile a livello ruminale, il rischio acidosi aumenta in maniera esponenziale.
La temuta acidosi ruminale.
Sì, proprio lei! E consideriamo che al caldo il rischio acidosi aumenta per due motivi: da una parte per contrastare il calo d’ingestione il nutrizionista è portato ad aumentare la concentrazione energetica della dieta, e quindi più amido, no? Dall’altra, non possiamo dimenticare che nel tentativo di dissipare energia la vacca aumenta la frequenza respiratoria e questo la porta ad eliminare molta CO2, a scapito della disponibilità di bicarbonato anche a livello salivare, riducendo l’efficacia di questo tampone endogeno a livello ruminale. Quindi si crea un quadro molto rischioso per quanto riguarda il rischio acidosi.
E se per di più non abbiamo neppure un unifeed uniforme…
Tutto può andare naturalmente ulteriormente a gambe all’aria. Se propongo un unifeed fatto male, che l’animale separa, la vacca mangia soprattutto il concentrato e si va ancora di più in un’area di rischio acidosi ruminale. Quindi unifeed uniforme, ma questo vale sempre. Quello che dobbiamo accettare è che comunque un calo dell’ingestione ci sia. È una delle tra virgolette difese che l’animale mette in campo per appunto cercare di dissipare questo eccessivo carico calorico che lo porta ad avere un aumento della temperatura corporea, la febbre.
C’è anche il problema economico della riduzione della produzione di latte.
Quello lo devi comunque accettare. L’importante è che il calo della produzione non si accompagni a un peggioramento della salute della bovina, questo è il punto. Perché poi puoi avere la perdita di latte ma anche un animale che sta male.
Allora cosa si può fare?
Per esempio se voglio aumentare un po’ l’amido un’idea dovrebbe essere quella di cercare delle fonti amilacee che abbiano una velocità di fermentazione tendenzialmente meno rapida. Quindi al posto per esempio del pastone di mais potrei pensare di usare la farina del cereale, magari piuttosto grossolana. Cioè dovrei giocare sulla velocità di fermentazione. Quindi se stavo usando l’orzo tolgo l’orzo o il frumento, e ci metto il mais che è un po’ più lentamente fermentescibile a livello ruminale.
Quindi: la farina meglio che il pastone.
Nella stagione calda, la farina di mais è meglio del fiocco e del pastone. Quest’ultimo è un alimento molto efficace d’inverno, poi però quando viene caldo bisogna stare attenti al fatto che la sua velocità di fermentazione ruminale non mandi l’animale fuori giri. In alternativa, diversi nutrizionisti suggeriscono l’utilizzo del grasso.
Il grasso?
Il grasso può essere una soluzione alternativa per aumentare la concentrazione energetica dell’unifeed proposto nella stagione calda. Una certa quantità di grasso può essere utile, però anche in questo caso dobbiamo stare attenti. I grassi da utilizzare dovrebbero essere inerti a livello ruminale perché qualora non lo fossero creerebbero solo dei problemi. Quindi devono essere suggeriti i grassi idrogenati, frazionati, o anche i sali di calcio avendo cura del fatto che la loro inclusione deve essere quantitativamente limitata in modo da evitare che il loro utilizzo non porti il titolo lipidico al di sopra del 5-6% della sostanza secca totale della razione.
Cioè, dovendo dare più energia alla bovina, con il grasso evitiamo di aumentare l’amido?
Sì, di fronte al rischio che l’amido in eccesso ti faccia saltare per aria il rumine, una alternativa interessante può essere quella di usare il grasso, che, inerte a livello ruminale, renda disponibile la sua energia per un assorbimento a livello intestinale. Voglio essere chiaro però nel ribadire che, considerando che anche gli alimenti presenti nell’unifeed hanno un loro contenuto lipidico, quello che va fatto è aggiungere del grasso avendo come target finale un titolo lipidico complessivo della tua dieta pari al 5-6% della sostanza secca, quindi vuol dire che utilizzerai non più di 200-300 grammi di questa fonte energetica.
E i foraggi?
Anche al caldo, sarebbe molto interessante disporre di foraggi molto digeribili, cioè foraggi di qualità. Perché se la vacca, che già mangia poco, si trova in mangiatoia anche dei foraggi scadenti, quei foraggi le creano a livello ruminale una zavorra, deprimendo ulteriormente la sua capacità d’ingestione secondo un circolo vizioso molto penalizzante. Allora qui diventano importanti foraggi digeribili ad alta digeribilità.
Per esempio?
Be’, foraggi fatti bene. Fieno di elevata qualità, fieno di medica di qualità, ma anche erbai mono e polifiti, i famosi miscugli, fatti e conservati bene… Questi sono foraggi che non creano, come dire, un ingombro eccessivo a livello ruminale. Parliamo di alchimie? Non è così semplice, non esiste una soluzione generale, ogni allevatore dovrebbe cercare di implementare una certa strategia sulla base di quello che naturalmente ha in casa. E mi permetto di suggerire: questo significherebbe fare le analisi dei suoi foraggi, conoscerne la digeribilità della fibra e la frazione indigeribile, quella uNDF che adesso va tanto di moda, per cercare di tarare al meglio la formulazione della razione.
Basarsi su quello che si ha in casa...
Si: bene gli antiossidanti, bene le vitamine, i lieviti, i pre- e pro-biotici, tutto aiuta! Però se tu in stalla hai tra virgolette delle macro-materie prime (leggasi foraggi) che sono, come dire, “tristi”, la kryptonite galattica degli additivi non farà il miracolo!
Poi converrà chiedere al nutrizionista di elaborare razioni appositamente ideate per il periodo estivo.
Assolutamente. Quindi c’è la razione normale e la razione estiva. La razione estiva, come dicevamo, deve tener conto ovviamente di alcuni aspetti, per esempio dal punto di vista minerale sappiamo bene che, come noi umani, la vacca sudando perde sodio e potassio, due elementi molto importanti per sostenere la produzione del latte. E quindi ecco l’importanza di intervenire con bicarbonato di sodio (che aiuta anche a favorire un minor rischio, diciamo è anche un buffer ruminale, quindi porta a un minor rischio acidosi), di portare del potassio, di aumentare il magnesio: sono tutte situazioni che aiutano l’animale a mitigare questa ipertermia che lui deve necessariamente affrontare e gestire.
Per un motivo o per un altro, comunque poi d’estate la bovina produce meno latte. Quali sono le conseguenze fisiologiche?
L’obiettivo della bovina, come dicevamo, è gestire questo carico calorico cercando di dissiparlo. E lo fa attraverso tutte le strategie a sua disposizione: mangiando meno, producendo un po’ meno latte, cercando di bere di più, stando all’ombra… E non possiamo dimenticare che uno degli effetti negativi dello stress da caldo è purtroppo anche il calo delle difese immunitarie. I mesi estivi sono decisamente il periodo di maggior rischio, e l’immancabile aumento delle cellule somatiche del latte ne sono una chiara evidenza. Proviamo a guardare l’andamento delle cellule del latte a livello nazionale, a livello di singolo caseificio, o in una qualsiasi stalla, e confermeremo questo andamento…
Be’, le cellule aumentano forse anche per motivi di ridotta igiene.
No, non ne sono convinto! I nostri allevatori sono molto attenti agli aspetti igienici 365 giorni all’anno, mentre l’aumento estivo delle cellule è per me espressione di un calo delle difese immunitarie. E questo effetto cellule te lo trovi poi trascinato anche nei mesi in cui il caldo si risolve. Perché generalmente l’effetto dello stress da caldo è un effetto che l’animale tende a cumulare. È un effetto che porta l’animale a tornare in una situazione chiamiamola di piena efficienza solo a novembre-dicembre, quando hai delle stagioni estive particolarmente gravose.
Tanto è vero che gli allevatori stessi dicono che la riproduzione, che è un’altra delle sfere che viene fortemente inficiata d’estate, la recuperano solo in autunno, in tardo autunno.
Questo mi porta ad affermare che l’aspetto alimentare è importante, ma non è il tutto. Sicuramente, oltre a beneficiare di una dieta corretta, le bovine devono anche poter disporre di spazio, di ombra e di sistemi di raffrescamento efficienti, bagnatura dell’animale compresa.
Dove è meglio posizionare le doccette in stalla? Più vicine alle zone di alimentazione?
Sì, posizionare i sistemi di raffrescamento in corsia di alimentazione diventa uno stimolo anche per motivare la vacca ad andare in mangiatoia. Se li metti nell’area di riposo fai un bel disastro perché, bagnando tutto, aumenti il rischio che l’animale vada a coricarsi sull’umido, cosa alquanto negativa soprattutto per la salute della mammella.

Bovine in una stalla ben arieggiata

E le reti ombreggianti?
Hanno il vantaggio che proteggono dal sole, però lo svantaggio è che, come le zanzariere di casa, limitano la libera circolazione dell’aria. Le reti ombreggianti andrebbero utilizzate seguendo l’andamento del sole. Cioè la rete ombreggiante dovrebbe evitare la presenza di raggi solari ma una volta che il sole non è più direttamente presente andrebbe rimossa per garantire la massima circolazione dell’aria. Quello che oggi si propone è progettare stalle con grandi volumi, con assenza di muri, perché questo favorisce la libera circolazione dell’aria. E non dimentichiamo anche l’utilità di avere ambienti relativamente asciutti per quanto riguarda la salute del piede.
Il piede?
Il piede della bovina d’estate è più a rischio; perché se da una parte l’animale ha dei cali nelle difese immunitarie, dall’altra spesso assume razioni in cui ad aumentare non è solo l’energia ma anche la proteina. E questo può portare a un eccesso di azoto circolante nella bovina che aumenta il rischio di problemi anche ai piedi.
La proteina…
Pensando alla proteina alimentare, dovendo eventualmente aumentarla, secondo me bisognerebbe dare la priorità alle fonti meno degradabili e con un maggior bypass ruminale. In questo modo verrebbe sicuramente ridotto il rischio di un eccesso di azoto fermentescibile. Sono tutti parziali aggiustamenti, però le regole generali sono abbastanza chiare, anche se poi calarle nella realtà di ogni singola azienda diventa difficile; e quindi questa situazione richiede la presenza di nutrizionisti che associno alla propria professionalità il supporto delle analisi.
Analisi degli alimenti?
Eh sì, bisogna fare analisi sugli alimenti aziendali per poterli complementare al meglio in un razionamento vincente. Parlavamo di proteine meno degradabili a livello ruminale: per esempio mediante quali alimenti? Trattamenti tipo l’estrusione, trattamenti termici come la tostatura, riducono sicuramente la degradabilità ruminale della stessa fonte proteica. Quindi pensando ad esempio a una fonte proteica come la soia, invece che la farina d’estrazione magari usiamo un po’ di soia tostata, o estrusa, oppure del glutine di mais: sono delle fonti sicuramente più resistenti da consigliare nel momento in cui devi aumentare il bypass, il che non significa che devo dare solo bypass, ma se devo dare un po’ di proteina...
Dato che d’estate le bovine producono meno latte, sarebbe cosa intelligente cercare di concentrare il periodo di asciutta in estate?
No. Lo dico anche in base a esperienze che ho condiviso con dei ricercatori della Florida. I quali mi hanno detto chiaramente che vacche che facevano l’asciutta nel periodo estivo avevano maggiori rischi poi di problemi al parto, andando a partorire a settembre, a ottobre, per cui asciugare d’estate non è una buona idea. Perché? Proviamo a pensare a una vacca stressata dal caldo che mangia meno in asciutta quando l’obiettivo giusto è quello di dare energia sostanzialmente al vitello e poco altro. Le bovine che vivono questa situazione di stress da caldo durante tutta la fase di asciutta saranno più deboli al parto con vitelli a loro volta molto più deboli. Quindi in realtà non è un’idea geniale quella di asciugare le vacche proprio all’inizio dell’estate, non è una strategia razionale.
Un tempo era una scelta abbastanza diffusa.
È chiaro che qualcuno potrebbe affermare: ma una volta le vacche partorivano tutte e soprattutto nel periodo autunnale. Sì, ma non c’era il clima che abbiamo oggi e soprattutto probabilmente stiamo parlando di aziende più piccole, che producevano molto meno, in cui la stagionalizzazione dei parti era parte di una strategia gestionale finalizzata a una gestione di tipo familiare in cui d’estate l’attenzione per la campagna diventava prioritaria rispetto a quella per la stalla. Non dobbiamo pensare che quello che facevano i nostri nonni sia sempre valido. Tornando in mangiatoia, una cosa interessante che potrebbe essere comunque utile d’estate è usare i liquidi.
I mangimi liquidi.
Partendo dal presupposto che l’acqua è un target importante per la bovina esposta al caldo, usare l’acqua di bevanda come carrier di energia e di altri nutritivi attraverso i mangimi liquidi può essere un’idea da valutare con attenzione.
Ma non sono più fermentescibili?
Teoricamente potrebbero esserlo, però consideriamo che l’acqua ha un transito rapido, ed esistono fonti liquide di energia a loro volta in grado di by-passare l’aggressione microbica ruminale, quindi diciamo che si può fare. Oggi la tecnologia ci aiuta, con abbeveratoi dotati di pompe dosatrici che permettono all’allevatore di definire la quantità da distribuire alle vacche. In un’ottica di alimentazione di precisione, la sensoristica ci fa intravvedere addirittura dispositivi in grado di personalizzare i dosaggi attraverso sistemi che riconoscono il singolo animale, magari quello più produttivo, mettendogli a disposizione magari in fase di mungitura una idonea integrazione energetica.
E quali nutrienti sono veicolati dai mangimi liquidi?
In genere soprattutto zuccheri o loro precursori, a cui la moderna mangimista può affiancare sicuramente specifici minerali, vitamine o altri additivi.
Quindi d’estate i mangimi liquidi hanno un loro perché.
Diciamo che ce l’hanno sempre, nel momento in cui tu hai bovine che producono una quantità importantissima di latte. Certamente di fronte a un animale che al caldo mangia meno, ecco che possono essere un’altra strategia per compensare parzialmente quel calo dell’ingestione che lo espone a un concreto rischio di finire di fronte a un bilancio energetico negativo.
In conclusione, come cambiano i fabbisogni della bovina?
Qualcuno pensa che siccome d’estate cala il latte, calano anche i fabbisogni. Non è vero! La vacca spende energia per dissipare energia. Questo è il punto. Non è che l’animale riduce i propri fabbisogni. Il suo mantenimento aumenta d’estate e, calando l’ingestione, si riduce l’energia a disposizione della sintesi del latte. L’animale deve spendere energia per dissipare il calore, il suo carico calorico. Tutto quello che la bovina cerca di fare è volto a questo obiettivo, a noi il ruolo di supportarla in questo difficile esercizio.

Cozzi: mai come d’estate la bovina ha bisogno dell’attenzione dell’allevatore - Ultima modifica: 2025-06-25T12:42:51+02:00 da Giorgio Setti

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