Prezzi alla produzione stagnanti da anni, costi in aumento e macellazioni in calo del 9% negli ultimi dodici mesi.
Un quadro che contraddistingue da tempo il comparto del vitellone da carne italiano e rischia di far calare ulteriormente il tasso di autosufficienza del nostro Paese, ormai sotto quota 50%. Un settore che rischia grosso alla luce della riforma Pac e delle sforbiciate sui premi che deriveranno dall’applicazione della convergenza verso un valore uniforme nel 2019.
Parliamo di premi che, grazie al disaccoppiamento introdotto con la precedente riforma, hanno generato valori che vanno da 1.600 €/ha a oltre 2.000 €/ha, avendo inglobato nel premio unico tutti i contributi legati alla zootecnia, macellazione e premio bovini maschi su tutti. Di fatto, rispetto alle aziende cerealicole del medesimo areale del nord Italia (pianura veneto-lombarda), che percepiscono mediamente 400 €/ha, gli allevatori di vitelloni e scottone incassano fino a 1.600 €/ha in più, senza contare il premio accoppiato, attorno ai 40 €/capo macellato. Aiuti in ogni caso non sufficienti, considerato che il settore vede sempre più allevamenti chiudere, seguendo un declino iniziato con la seconda crisi Bse del 2001.
Abbiamo provato a valutare come potrebbe variare, a seguito dell’applicazione della nuova Pac, il peso dei contributi Pac per le aziende specializzate nella produzione di bovini da macello. Allo scopo, si sono prese a riferimento due aziende, una di dimensioni medio-alte (macella 900 capi/anno e dispone di 60 ha di superficie) e un’altra medio-piccola (250 capi/anno macellati una superficie di 35 ha a seminativo). Entrambe, ovviamente, producono cereali da granella e da foraggio (mais insilato e orzo), da cui ricavano la fonte primaria di alimenti zootecnici, e allevano bovini di razze francesi.
L’azienda agricola di maggiore peso economico possiede attualmente un premio di 2.005 €/ha/anno, decisamente più elevato di quello percepito dall’azienda di dimensioni minori (1.695 €/ha/anno). Questo grazie al fatto che nel periodo di riferimento rappresentato dagli anni 2000, 2001 e 2002, base temporale per il calcolo contributivo dell’attuale periodo Pac, l’azienda riusciva a macellare più capi all’anno per posto stalla acquistando animali da ristallo di peso maggiore, scelta vincente rispetto a chi invece svezzava in quel periodo gli animali destinati all’ingrasso, iniziando il ciclo produttivo da pesi inferiori per capo.
Ebbene, ipotizzando una scelta nazionale di convergenza parziale, premierebbe i premi per ettaro più alti, comunque legati a valori storici e prevedendo un calo del budget per il 2015 del 30% rispetto ai valori attuali, con l’ipotesi di attivazione dei soli premi accoppiati in aggiunta ovviamente a greening e aiuto per i giovani (componenti di premio di obbligatoria attivazione), le due aziende zootecniche prese a riferimento avrebbero un calo di quasi il 50% dei valori attuali di aiuto per ettaro, arrivando a percepire a regime cifre sensibilmente inferiori.
Nei casi specifici, il risultato sarebbe un vero e proprio salasso che, pur con l’aggiunta della componente di premio derivante dal greening (circa 110 €/ha), che comunque imporrebbe scelte colturali più diversificate, porterebbe a diminuire la contribuzione in modo drastico: 66mila €, invece che 120mila per l’azienda più grande; poco più di 32mila €, anziché 59mila € per quella di dimensioni più ridotte.
Le valutazioni elaborate sulle due aziende zootecniche (v. tab), come detto, sono state eseguite ipotizzando l’applicazione della convergenza parziale, che comunque premierebbe i valori storici più elevati, con un calo massimo a regime del 30% rispetto al dato iniziale. Non osiamo immaginare cosa potrebbe accadere per il comparto del bovino da carne se si dovesse optare per scelte ancora più drastiche, come la convergenza totale e l’adozione di un premio unico disaccoppiato base uguale per tutti. Un salasso per tutti i comparti agricoli che oggi godono della contribuzione maggiore, zootecnici in generale. In ogni caso, anche nell’ipotesi migliore descritta, difficilmente le aziende che allevano oggi vitelloni e scottone potrebbero salvarsi e si rischierebbe la chiusura di buona parte degli allevamenti. Significherebbe la fine della filiera italiana, e i consumi, seppur in diminuzione, dipenderebbero quasi del tutto dalle importazioni dall’estero di carni e animali vivi da macellare. Il Mipaaf dunque non potrà fare a meno, in caso di attivazione della componente accoppiata dei premi, di destinare parte di essa al bovino da carne, nella speranza di sostenere un settore che, se anche ridimensionato, rimane strategico per il Paese.
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