Da secoli, l’allevamento bufalino è indirizzato alla produzione di latte dal quale ricavare la prelibatissima mozzarella di bufala. Nonostante le eccellenti qualità nutritive, come il basso contenuto di colesterolo, le straordinarie qualità organolettiche, succosità e tenerezza della texture, che portano la carne bufalina a distinguersi dalle altre, essa non ritrova nel consumatore l’adeguata attenzione.
"Se da una parte i nostri allevatori sono stati lungimiranti nel continuare ad allevare il bufalo – ci riferisce Federico Infascelli del Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali dell’Università Federico II di Napoli - dall’altra parte sono stati molto miopi nel settorializzarsi nella sola produzione di latte, anche se si tratta di una produzione molto redditizia. La valorizzazione della carne potrebbe essere vista come una valida alternativa alla sola produzione di latte per la caseificazione".
Utilizzando maschi e manze non idonei alla riproduzione e alla rimonta si potrebbe creare, con la produzione della carne, una attività in grado di garantire un reddito aggiuntivo di volume non trascurabile.
"L'allevamento del bufalo da carne, attività vicina alle radici storiche della nostra comunità – aggiunge Infascelli - oltre che ricca in termine culturale, può fornire un prodotto con standard qualitativi che garantiscono ai consumatori elevati livelli di sicurezza".
Nessuna correlazione con le zoonosi
D’altronde, la mancata valorizzazione della carne di bufalo ha ben poco a che vedere con la presenza di malattie zoonosiche, oggi ben note a tutti. "Infatti – ci riferisce Antonio Limone, direttore generale dell’Izsm di Portici (Na) - come per tutte le catene di macellazioni, il controllo del medico veterinario è un obbligo previsto da norma ( Reg. CE 627/2019) che ha lo scopo di garantire la sicurezza dell’intera filiera carne. Sulla linea di macellazione gli animali sono sottoposti a visita ante-mortem e post-mortem (art. 12- art 13 Reg. CE 627/2019) e tutto ciò che si discosta da una normale condizione fisiologica dell’animale porta il medico veterinario ad esprimere un parere circa l’idoneità delle carni al consumo umano".
Il Regolamento europeo n° 627 del 2019 prevede, negli articoli 33 e 34, che gli animali risultati positivi o dubbi a test per la diagnosi di tubercolosi e brucellosi, vengano macellati separatamente dagli altri animali, adottando precauzioni per evitare il rischio di contaminazione delle altre carcasse, della linea di macellazione e del personale presente nel macello.
"Le carni da essi derivate – spiega Limone - sono da destinarsi al consumo umano a esclusione, nel caso di brucellosi, di quelle in cui l’ispezione post mortem ha rivelato lesioni indicative di brucellosi acuta e, nel caso di tubercolosi, dei casi in cui l’esame post mortem ha rivelato lesioni localizzate simili a lesioni tubercolari in una serie di organi o in una serie di zone della carcassa. In tutti gli altri casi in cui le lesioni tubercolari sono localizzate ai linfonodi di un solo organo o di una sola parte della carcassa, solo l'organo colpito o la parte della carcassa colpita e i linfonodi associati sono dichiarati non idonei al consumo umano. Diversamente, nel caso di soggetti risultati positivi o dubbi ai test di laboratorio per la diagnosi di brucellosi e in assenza di segni di acuzie della malattia, solo le mammelle, gli organi genitali e il sangue sono dichiarati non idonei al consumo umano".
Alla luce di quanto ci ha riferito il direttore dell’Izsm è tacito desumere che il consumo delle carni degli animali risultati positivi a test diagnostici di malattie infettive è sancito da norme europee, basato su una attenta valutazione del rischio volta a garantire il livello elevato di tutela della salute, principale obiettivo perseguito nell’Unione europea.
"È, pertanto, di palmare evidenza che consumare la carne proveniente da animali infetti da Brucellosi e Tubercolosi, sottoposte a corrette procedure ispettive -conclude Limone - non nuoce alla salute umana".
Gli aspetti legati all’allevamento
La Bufala mediterranea italiana si può considerare un animale a duplice attitudine (latte e carne). "Tuttavia – ci dice Massimo Neri, ispettore nazionale dell’Anasb - la selezione sempre più indirizzata alla produzione di latte sta nel tempo modificando il suo aspetto esteriore enfatizzando quelli che sono i caratteri lattiferi dello sviluppo somatico. Detto questo, resta di fatto una sua minore precocità nello sviluppo e ciò determina un maggior costo di produzione rispetto alla carne bovina".
L’Anasb ha intuito da tempo che l’attitudine a produrre carne è un fattore strategico per la razza viste le peculiarità assolutamente interessanti sia dal punto di vista culinario, organolettico, oltre che sanitario e salutistico.
"Nei più recenti programmi di selezione – ci dice Neri – l’Anasb sta ponendo particolare attenzione ad alcuni caratteri che evidenziano ed esaltano anche la possibilità di produrre maggior massa muscolare. Grazie al progetto Big, realizzato in collaborazione con il Dipartimento di veterinaria dell’Università Federico II di Napoli e altre strutture scientifiche di rilievo, l’Anasb ha pubblicato il primo indice Genomico per la Bmi; questo sarà certamente uno strumento determinante per individuare i fattori determinanti per produrre in futuro giusti quantitativi di carne con la qualità che il mercato richiede".
Tra i fattori più importanti da prendere in considerazione ai fini della produzione di una carne di buona qualità ci sono sicuramente le corrette tecniche di alimentazione e la gestione dell’igiene dell’ambiente di allevamento.
"Un corretto svezzamento – ci spiega Pasquale Rossi, veterinario della Società agricola Sud Rienergy di Corigliano – Rossano (Cs) - permette di predisporre i soggetti a meglio estrinsecare le loro potenzialità di accrescimento nelle fasi successive di allevamento. Oggi riusciamo a svezzare un vitello bufalino in 90 giorni a un peso vivo superiore ai 120 kg. Così una razione alimentare equilibrata nel post svezzamento che soddisfi i fabbisogni energetici e proteici negli animali in accrescimento ci consente di avere degli incrementi ponderali tali (850 - 950 gr/die) da riuscire a produrre vitelloni già a 15-16 mesi di età con un peso vivo tra i 450 ei 500 kg. La giovane età dei soggetti garantisce una carne di ottima qualità in termini di colore, tenerezza, succosità e sapore".
A proposito del colore (uno dei fattori condizionanti la scelta di acquisto delle carni in quanto sinonimo di freschezza), va sottolineato che alcune caratteristiche nutrizionali della carne bufalina come l’elevata presenza di ferro e di grassi polinsaturi determinano una più veloce ossidazione delle stesse e di conseguenza un imbrunimento della superfice esposta all’aria.
"Per ovviare a tale inconveniente e allungare la shelf life del prodotto – aggiunge Rossi - si è dimostrato efficace un’integrazione supplementare di vitamina E (potente antiossidante naturale) nella razione alimentare delle ultime fasi di allevamento".
Un altro aspetto da considerare nell’allevamento del vitellone bufalino è la corretta gestione igienica dei ricoveri. "Un frequente rinnovo della lettiera e la pulizia delle aree di esercizio impediranno il trasferimento alle carni di odori e sapori anomali che un tempo hanno allontanato il consumatore dalla scelta di tale derrata".
Le norme da osservare per garantire la sicurezza alimentare sono comuni a quelle dell’allevamento di altre specie e riguardano in particolar modo la biosicurezza e l’igiene zootecnica (qualità igienico-sanitaria degli alimenti, gestione igienica degli ambienti ecc.). "È di fondamentale importanza il rispetto dei requisiti strutturali e l’applicazione di procedure gestionali in allevamento tali da consentire la libera espressione dei pattern comportamentali propri degli animali".
Valorizzare le produzioni di carne di bufala
"Per iniziare un’opera di valorizzazione della carne bufalina – spiega Infascelli - è stata proposta la creazione di un disciplinare che preveda la commercializzazione soltanto di soggetti il cui accrescimento non ha superato o non è risultato al di sotto di incrementi ponderali fisiologici, al fine di fornire al consumatore quelle garanzie di sicurezza che da anni richiede".
L’anagrafe bestiame, che permette di risalire alla data di nascita, potrebbe essere uno strumento validissimo per verificare se il peso alla macellazione è in accordo con i suddetti accrescimenti.
"Questo rappresenta un target davvero indispensabile per il decollo del settore – precisa il docente universitario. A tal proposito è fondamentale considerare che, negli ultimi anni, si è registrata una disaffezione del consumatore nei riguardi delle carni storicamente utilizzate nell’alimentazione. In particolare per quella bovina hanno giocato un ruolo sfavorevole le modalità di allevamento, le notizie di accrescimenti ottenuti con sostanze potenzialmente dannose per la salute umana e le non remote vicissitudini relative alla BSE".
È pertanto venuto progressivamente ad affermarsi, soprattutto in fasce elitarie del mercato, il consumo di carni alternative non tradizionali. Ciò ha fatto tornare di attualità le ricerche condotte sin dai primi anni '60 presso il Dipartimento di Scienze zootecniche e ispezione degli alimenti, della Facoltà di Medicina Veterinaria di Napoli, e i successivi contributi degli studiosi dell'Istituto sperimentale per la zootecnia di Roma e dell'ex Istituto di produzione animale, Facoltà di Agraria, sulle attitudini alla produzione carnea del bufalo mediterraneo allevato in Italia.
"Il patrimonio bufalino italiano, infatti, ammonta a circa 400 mila capi. Anche prevedendo un suo costante incremento negli anni a venire, esso comunque potrà fornire quantità di carne che contribuiranno in maniera marginale alla copertura dei consumi. Pertanto, è possibile ipotizzare una sua commercializzazione esclusivamente come carne a qualità garantita, intendendo per tale non solo le caratteristiche nutrizionali e organolettiche, ma anche l'osservanza, in ogni fase della filiera produttiva, di rigorose norme a tutela della salute del consumatore e del benessere animale".
Le caratteristiche organolettiche
La carne di bufalo si caratterizza per un buon contenuto proteico, superiore a quello bovino così come per il contenuto in ferro (il doppio del bovino). Tali caratteristiche la rendono particolarmente adatta all’alimentazione dei bambini.
Ci conferma Rossi: "Il contenuto in grassi è bassissimo. Il bufalo tende ad accumulare il grasso a livello sottocutaneo (grasso di copertura) e non tra le fibre muscolari (grasso di infiltrazione). Ciò rende i tagli anatomici magri e con un livello di colesterolo estremamente basso. Inoltre il profilo acidico del grasso presenta caratteristiche ottimali per la salute umana in quanto oltre al basso contenuto in colesterolo di contro si riscontra una maggior presenza di acido stearico e oleico (neutri verso la colesterolemia umana) e di acido linoleico (acido grasso essenziale polinsaturo) l’assunzione del quale determina una riduzione della colesterolemia umana. Quindi una carne idonea anche per talune categorie di soggetti (cardiopatici, iperlipidemici)".
Relativamente allo schema proposto da Fao/Oms, l'equilibrio amminoacidico della carne di bufalo, rispetto a quella di bovino, è più rispondente alle esigenze dell'alimentazione umana.
"L'ottimale livello di aminoacidi solforati registrato nella carne bufalina – ci riferisce Infascelli - potrebbe farla preferire nel caso di diete miste a prevalente contenuto di alimenti di origine vegetale. Nelle carni bufaline, risultano apprezzabili i contenuti in ferro, zinco, cromo e rame: ricordiamo i favorevoli effetti che si vanno attribuendo ai primi tre elementi sul sistema immunitario. Scarsi appaiono, così come nella specie bovina, i contenuti in calcio. Va precisato, però, che in ogni caso i fabbisogni in calcio per l'uomo non si soddisfano con il consumo di carne".
Le differenze tra le due specie, per quanto riguarda il corredo vitaminico, sono unicamente imputabili a una leggera deficienza di riboflavina nella carne bufalina che, al contrario, presenta un contenuto significativamente elevato in vitamina B6 e soprattutto in B12.
"Di ausilio – conclude Infascelli - potrebbero certamente essere gli eventuali introiti derivanti dal commercio delle pelli. Le pelli del bufalo presentano una grana più marcata rispetto al bovino e grazie alla caratteristica del fiore, parte superiore della pelle, sono maggiormente commercializzabili, presentando sia una eccellente resistenza meccanica all’abrasione sia una discreta flessibilità. Con lo sviluppo di tale commercio verrebbero a diminuire tutti gli attuali costi per lo smaltimento, oltre ad avere un ulteriore reddito aggiuntivo".
LEGGI L'ARTICOLO PUBBLICATO SU IZ 1.2024