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È sempre più evidente che il concetto di qualità, applicato alla produzione di alimenti, assume un contorno più ampio del passato, che arriva a interessare in maniera decisiva come l’alimento è stato prodotto. E qui, tra gli aspetti su cui l’opinione pubblica pone grande attenzione, c’è la questione ambientale. Che ha varie sfaccettature, e tra queste l’emissione di gas ad effetto serra ha un posto di primo piano. Dall’allevamento alla confezione finale l’obiettivo è pertanto anche quello di abbassare il livello di emissioni, dato sintetizzato della impronta carbonica.

In questo quadro strategico si inserisce Life Carbon Farming, un progetto di ricerca europeo che si pone l’obiettivo di individuare soluzioni capaci di ridurre del 15% l’impronta di carbonio dei sistemi misti agricoltura-allevamento. La responsabilità del progetto per l’Italia è del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea); collaborano alla realizzazione, tra gli altri, l’Associazione Italiana Allevatori e il Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano.

Ma la sostenibilità di una produzione, quando si parla di produzioni animali, poggia anche in maniera importante su animali sani, efficienti e con meno necessità di farmaci, antibiotici in particolare. Tuttavia in allevamento gli animali possono ammalarsi e allora è necessario indirizzare con la massima precisione terapie e molecole. Tra gli strumenti d’uso comune c’è l’antibiogramma, che tuttavia non va confuso con l’esame batteriologico. Le due cose non sono sinonimi, ma due fasi inerenti un processo comune.

E poi entriamo in allevamento, con le tante osservazioni pratiche e gli spunti originali che fornisce la lunga chiacchierata con Paolo Sassi (anche qui e qui), veterinario buiatra e allevatore di vacche da latte. Il filo conduttore è chiaro: gli scenari sono cambiati e anche nella stalla ci si deve adeguare, orientando le scelte e le prassi verso modalità un po’ meno allineate a schemi consolidati. Vale per le scelte di selezione, per la gestione della vitellaia, per la parte sanitaria. Il consumatore “guarda” sempre più dentro la stalla e di questo bisogna prendere atto perché le sue preoccupazioni orientano le scelte di acquisto.

Questo è ancora più importante per un formaggio di eccellenza come il Parmigiano Reggiano, con volumi di produzione importanti che creano valore per la filiera e il territorio. Nell'anno 2022 sono state prodotte 4.002.270 forme di Parmigiano Reggiano, facendo registrare una diminuzione del 2,17% rispetto al 2021, che aveva chiuso con una produzione di 4.091.144 forme. In questo quadro, il calo è quello delle produzioni di pianura, mentre leggermente positiva rispetto all’anno precedente è la produzione di montagna.

E ogni forma di Parmigiano Reggiano, di montagna e di pianura che sia, è anche – sempre più – una sintesi di tracciabilità, rintracciabilità, circolarità e digitalizzazione. Argomenti questi dell’imminente Corso di formazione superiore promosso dalla Fondazione A. Simonini a Reggio Emilia con la partnership anche del Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano.


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Alleva by Parmigiano Reggiano

Questo mese su AllevaWeb - Ultima modifica: 2023-01-30T14:19:58+01:00 da Margherita di Vito

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