“Anche in Garfagnana molte pecore transumano verso le Maremme pisane, livornesi e meno grossetane. Ci sono dei paesi che di inverno restano pressoché spopolati, affidati alle cure dei vecchi, perché tutti gli uomini, donne e ragazzi accompagnano gli animali. La strada nazionale da Modena a Lucca agli ultimi di settembre-primi di ottobre è tutta una carovana di pastori.
Chiunque può vedere ‘il vergaro’ con un nodoso bastone, un ombrellone di famiglia sotto il braccio ed un sacco di tela al fianco, precedere le pecore che fanno la strada belando e spiluzzicando quei fili d’erba che trovano sul ciglione. Tengono dietro due o tre altri uomini e ragazzi, i quali oltre la sacca e l’ombrello di incerato portano qualche agnelletto degli ultimi nati che da sé non potrebbero camminare.
Chiude alle volte la processione una fila di muli e di cavalli e tutta la famiglia del pastore, le donne a piedi, i bimbetti a cavalluccio delle mamme, ovvero un per parte nelle ceste a lato di un micetto [asino]. Sugli animali da soma o su qualche carretto sono caricati i fagotti, i letti, le pentole e gli arnesi campestri e talora la gabbia dei passerotti o la chioccia portata con gelosa cura da qualche monello che a mala pena si regge in gambe.
Verso mezzogiorno la carovana si ferma in qualche posto, il gregge riposa, i padroni mangiano e poi riprendono la via. La sera mettono le pecore in qualche chiusa o le lasciano all’aperto sotto la buona guardia del fido cane e di qualche pastore, danno loro da mangiare e poi si riposano fino alla mattina per tempissimo. Così in tre o quattro giornate arrivano là dove son soliti prendere in affitto i pascoli invernali”.
(da C. De Stefani 1898 Relazione sul Circondario di Pontremoli, “Atti della Giunta dell’Inchiesta Agraria” Vol. X. Testimonianza riportata in: “I percorsi della transumanza in Toscana”, Paolo Marcaccini, Lidia Calzolai. Edizioni Polistampa Firenze 2003)
Così, con la lettura effettuata da Emanuele Villa, funzionario dell’Associazione Italiana Allevatori, della testimonianza appena riportata, risalente alla fine dell’Ottocento, si è aperto il convegno dal titolo “Le radici ritrovate: riflessioni e testimonianze sulla tradizione della transumanza in Toscana” che si è tenuto il 5 settembre scorso a Castelnuovo di Garfagnana (Lucca). L’incontro è stato organizzato dalla locale amministrazione comunale e dall’Unione dei Comuni della Garfagnana.
Che senso può avere
Dopo avere letto la testimonianza, il relatore non ha mancato di sorprendere i presenti chiedendosi, provocatoriamente, quale senso potesse mai avere il rievocare quella fatica, quella tenacia, quell’abnegazione che spingeva, nel passato, nella Garfagnana, così come in molte altri parti dell’Italia, tanti esseri umani a vivere al seguito delle proprie mandrie e a condurre uno stile di vita errabonda, un po’ simile a quella dell’antico patriarca Abramo, alla ricerca di un pascolo. La risposta, offerta dal relatore, è stata semplice è convincente.
Il senso ce l’ha, ha detto Villa, perché in fondo mai come oggi ci sarebbe bisogno di recuperare proprio quella capacità di affrontare le difficoltà della vita, che un tempo costituiva il pane quotidiano, in modo particolare proprio di tutti quegli esseri umani che un tempo erano costretti a transumare, per poter vivere.
Quella capacità di affrontare le difficoltà della vita è stata ricostruita, nel corso del convegno, da Zeffiro Ciuffoletti (accademico dei Georgofili), Lidia Calzolai (storica della transumanza) e Lucia Giovannetti (archeologa), che non hanno mancato di rievocare i molteplici aspetti di una dinamica del rapporto Uomo–Territorio–Piante–Animali che ha meritato recentemente il riconoscimento di Patrimonio immateriale dell’Umanità da parte dell’Unesco.
Riportare l’opinione pubblica dalla parte degli allevatori
A fronte del quadro tracciato, nella discussione, non è venuto meno chi tra il pubblico, proprio un allevatore, non abbia mancato di esprimere qualche perplessità: “… tante belle parole, ma poi il problema è che i cinghiali devastano le aziende e l’Autorità non fa nulla!”.
La risposta, formulata da Villa, ha cercato di far comprendere ulteriormente la novità, per certi aspetti, del taglio del convegno. “Giustamente il problema viene sollevato”, è stata l’opinione espressa, “ma una rievocazione del passato rurale del nostro Paese, che non sia nostalgicamente fine a se stessa, ma che si faccia promotrice della rivalutazione del portato umano che l’ha sotteso, potrebbe contribuire, perché no, nel suo piccolo, a dare un contributo che possa tornare utile a riportare l’opinione pubblica dalla parte degli allevatori, influenzando di conseguenza anche l’atteggiamento pratico delle autorità, non sempre benevolo e attento alle loro ragioni”.
Il convegno, nella sostanza, ha condotto idealmente per mano il pubblico verso una Maremma vissuta, coerentemente con l’impostazione data all’iniziativa, come la dimensione di una nuova consapevolezza acquisita delle radici ritrovate.
Un mondo resiliente
A margine della presentazione del convegno tenutosi in terra Toscana, è intervenuto anche il neo direttore generale Aia, Mauro Donda, con alcune riflessioni: “Uno dei tratti fondamentali di questa profonda crisi innescata dall’emergenza sanitaria che ha colpito così pesantemente anche il nostro Paese – ha affermato – è stata la dimostrazione di quella che viene ormai diffusamente chiamata resilienza del mondo agricolo e allevatoriale. La storia della transumanza in Italia è un chiaro esempio di questa resistenza e voglia di non mollare mai, che affonda le sue radici in una tradizione familiare consolidata e in una cultura, in senso più ampio, che va rivalutata poiché esprime la distintività della nostra zootecnia e quel legame indissolubile che esiste tra le attività agropastorali e i singoli territori”.