L’impronta idrica di carne e latte

Bovini da carne al pascolo sulle montagne dell’Appennino centrale: esempio di razionalizzazione dell’approvvigionamento idrico per il bestiame anche grazie alla presenza di antichi fontanili
Riflessioni sul reale consumo d’acqua negli allevamenti

A tutti sarà probabilmente capitato di leggere sui giornali o di vedere in televisione la notizia (in realtà risalente a qualche anno fa, ma che viene periodicamente riproposta dai media) che per produrre un chilogrammo di carne bovina siano necessari oltre 15 mila litri di acqua. Questo dato, al di là degli opportuni chiarimenti sul vero significato dei numeri, pone l’attenzione sul problema della risorsa idrica.
Tra le risorse, infatti, l’acqua è quella che presenta il più grave problema di disponibilità e la scarsità idrica rappresenta necessariamente una delle più rilevanti sfide in tema di sostenibilità del prossimo futuro, incluso quello della zootecnia.
Il ciclo dell’acqua (o ciclo idrologico) è uno dei cicli vitali dell’ecosistema e di tutti gli esseri viventi e descrive il flusso dei cambiamenti di stato dell’acqua. Si stima che ogni anno cadano sulla terra circa 110 mila miliardi di m3 di precipitazioni (Molden, 2007); due terzi dell’acqua tornano in atmosfera grazie ai fenomeni di evapotraspirazione dal suolo e dai vegetali, mentre i restanti 40 mila miliardi di m3 alimentano i corsi d’acqua superficiali e le falde acquifere. Da quest’ultima quota avviene il prelievo idrico per le attività umane, che si stima in circa 3.800 miliardi di m3, e che per il 70% è destinato all’attività agricola e alla produzione di cibo.
La popolazione mondiale è in costante crescita ed è noto che le stime parlano di quasi 10 miliardi di abitanti nel 2050 (Un, 2017). L’aumento demografico è spesso associato ad un aumento della ricchezza (anche se non equamente distribuita), alla quale corrisponde a sua volta un incremento del consumo dei prodotti di origine animale, come carne e latte. Se ad esempio guardiamo i dati relativi al consumo di tali prodotti in Cina negli ultimi decenni, colpiscono le crescite esponenziali nei consumi di carne, mentre in Occidente si assisteva contemporaneamente ad una contrazione nei consumi degli stessi prodotti.
Forse ancor più degni di nota sono gli aumenti nei consumi di latte e prodotti lattiero caseari, il cui consumo è storicamente poco o per nulla diffuso in Oriente. L’aumento della popolazione mondiale e la conseguente crescente richiesta di cibo, inclusi carne e latte, implicano un aumento del prelievo idrico per le produzioni agricole, con un conseguente maggior impatto ambientale. Per questo ed altri motivi è chiaro che la sostenibilità rappresenti la sfida dell’agricoltura.
Ma che cos’è l’impronta idrica? Si potrebbe pensare che si tratti semplicemente della quantità di acqua che viene impiegata per ottenere un prodotto, come ad esempio l’acqua utilizzata per irrigare e far crescere una coltura, dalla semina al raccolto. Ma non è così. L’impronta idrica (o water footprint) è stata mutuata dal concetto di impronta ecologica ed è stata definita come il “consumo diretto e indiretto di acqua durante il processo produttivo di un bene e un servizio a carico del produttore o del consumatore” (Hoekstra & Hung, 2002).

Verde, blu e grigia

Da questa definizione si può comprendere come il concetto di impronta idrica sia applicabile non solo ai prodotti agricoli, ma a un qualsiasi prodotto e servizio, e soprattutto che non è solo l’acqua che viene direttamente utilizzata nella produzione di quel bene, ma considera tutti i volumi di acqua coinvolti nel processo produttivo.
Gli stessi ricercatori, infatti, hanno proposto una distinzione tra le diverse “fonti” idriche coinvolte, suggerendo tre componenti dell’acqua: l’acqua verde (green water), l’acqua blu (blue water) e l’acqua grigia (grey water).
La componente verde è l’acqua che deriva dalle precipitazioni ed è immagazzinata nel suolo, a livello radicale, e poi evaporata, traspirata e incorporata dalla vegetazione, rientrando nel ciclo naturale dell’acqua.
La componente blu è l’acqua che proviene dalle risorse idriche superficiali e sotterranee che fa ritorno ad un corpo idrico; rientra nell’acqua blu il volume di acqua prelevata per gli scopi agricoli, industriali e domestici. Ipotizzando che le precipitazioni rappresentino il 100% della risorsa idrica disponibile, è stato stimato che la componente preponderante sia quella verde con il 65%, mentre quella blu rappresenta il restante 35% (Siwi, 2001).
La componente grigia, infine, rappresenta l’acqua inquinata durante il processo produttivo, o, per essere più corretti, il volume di acqua virtuale necessario a riportare le concentrazioni dei diversi inquinanti derivanti dal processo produttivo entro gli standard ambientali stabiliti dalla legge, al punto che le qualità delle acque torni al di sopra degli standard qualitativi.

Come si calcola

Applicando le definizioni delle tre componenti dell’acqua alle produzioni animali, appare pertanto chiaro che il calcolo dell’impronta idrica di carne e latte sia la somma dell’acqua coinvolta in tutte le fasi della loro produzione. In particolare, essa è rappresentata dall’acqua necessaria per la produzione degli alimenti zootecnici (componente verde e blu), dell’acqua di abbeverata consumata dagli animali (componente blu), dell’acqua utilizzata in azienda per i servizi di stalla, quali, ad esempio la pulizia e il raffrescamento (componente blu) e l’acqua virtuale necessaria a diluire il carico di inquinanti prodotti in allevamento e riportare le loro concentrazioni secondo i limiti di legge (componente grigia).
La determinazione di quest’ultima componente risulta particolarmente complicata e, per semplicità, spesso viene tralasciata. Pertanto, nella maggior parte dei casi i valori di impronta idrica di carne e latte sono espressi dalla somma dei litri di acqua (impiegati per gli alimenti, per l’abbeverata e per i servizi di stalla) per kg di carne o latte prodotti dall’animale.
L’impronta idrica degli alimenti zootecnici è considerata un consumo indiretto e rappresenta l’impronta idrica delle colture che sono impiegate nelle razioni degli animali in allevamento. È calcolata in base all’acqua utilizzata dalla coltura (crop water use) e la produttività della coltura stessa. Essa si determina in funzione dell’evapotraspirazione della coltura, che a sua volta si calcola utilizzando l’evapotraspirazione di riferimento corretta da due coefficienti che tengono conto delle caratteristiche intrinseche della singola coltura durante la crescita e della disponibilità di acqua in cui effettivamente essa cresce.
L’acqua di abbeverata, invece, fa riferimento al diretto fabbisogno idrico dell’animale, più eventuali sprechi all’abbeveratoio. Essa può essere misurata direttamente in azienda (utilizzando dei semplici contalitri) o, più comunemente, può essere stimata mediante le formule sviluppate di diversi enti di ricerca (quali Nrc e Crpa) in funzione di alcuni parametri (peso vivo, incrementi medi giornalieri, produzione lattea, ecc.).
L’acqua di servizio rappresenta il volume di acqua impiegata nell’azienda zootecnica per tutti i servizi di stalla connessi con le produzioni: pulizia delle superficie e delle strutture, raffrescamento degli animali, lavaggi degli impianti, ecc., ed è in funzione delle scelte gestionali dell’allevatore e delle caratteristiche costruttive delle macchine e degli impianti presenti in azienda.
I valori di impronta idrica dei prodotti sono generalmente quelli del Water Footprint Network (https://waterfootprint.org), frutto del lavoro del gruppo di ricerca del prof. Arjen Hoekstra (Hoekstra & Mekonnen, 2012). Sono stati calcolati per numerosi prodotti e per singola nazione, e sono la fonte del dato dei 15 mila litri per la carne bovina. Non sono l’unico dato oggi disponibile e altri approcci sono stati utilizzati per quantificare i volumi di acqua impiegati nei processi produttivi.

L'autore è dell'Università di Torino.


Le percentuali in gioco

Analizzando i dati disponibili in letteratura (Pulina et al., 2018) emerge che l’acqua di abbeverata unita a quella di servizio rappresentano circa l’1% dell’impronta idrica di carne e latte; tutto il resto (circa 99%) è ascrivibile agli alimenti zootecnici.
Considerando, invece, le componenti dell’acqua, il 90% è acqua verde e che, quindi, ritorna al ciclo naturale dell’acqua, mentre la componente blu rappresenta circa il 10%. Di quest’ultima, la maggior parte (circa il 90%) è la componente blu delle colture (dovute all’irrigazione) e il restante 10% è per l’acqua di stalla.
Tali dati suggeriscono che l’acqua legata alla produzione degli alimenti zootecnici è preponderante nel determinare l’impronta idrica di carne e latte, mentre i volumi di quella di abbeverata e dei servizi di stalla sono trascurabili. Emerge pertanto che la scelta (e la qualità) degli alimenti da inserire in razione non solo influenza le performance degli animali e la qualità dei prodotti derivati, ma ha un impatto sull’impronta idrica degli allevamenti, così come su altri parametri di sostenibilità dei sistemi zootecnici.

L’impronta idrica di carne e latte - Ultima modifica: 2020-11-06T10:28:32+01:00 da Lucia Berti

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome