Il problema delle emissioni in atmosfera cosiddette antropiche, ossia dovute all’attività dell’uomo, riguarda tutti i settori produttivi o, meglio, tutto ciò che è connesso alla vita dell’uomo. Queste emissioni sono direttamente legate all’innalzamento globale della temperatura e, di conseguenza, al cambiamento climatico che stiamo ormai osservando anche alle nostre latitudini. La soluzione a questo grave e urgente problema passa necessariamente attraverso le scoperte scientifiche e l’innovazione tecnologica, unico strumento che può aiutarci a adottare innovative tecniche di produzione volte a ridurre le emissioni. Questo deve necessariamente essere accompagnato da una radicale modifica dei comportamenti di tutti noi, ossia tutti gli operatori di tutti i settori produttivi devono essere disposti ad adottare le tecniche a minore impatto ambientale con l’unico urgente obiettivo di preservare la vita sul pianeta.
È da molto tempo che sui giornali o in campagne di informazione e sensibilizzazione vengono utilizzare percentuali, quote e incidenze per attribuire la responsabilità ad un settore o ad un altro del cambiamento climatico provocato dalle emissioni in atmosfera che gli sono attribuite. Ognuno aggrega e mette in relazione numeri un po’ a piacimento e tira fuori la statistica a supporto della propria tesi ideologica.
In questo gioco, la zootecnia ha sempre un posto di primo piano, infatti è costantemente messa sotto accusa perché nell’immaginario collettivo rappresenta un misto tra indicibili sofferenze per gli animali e fonte di inquinamento e causa primaria del cambiamento climatico (recentemente anche di diffusione di epidemie).
Le fonti ufficiali
Quanto di questa affermazione corrisponde a verità? In questa gara di caccia alle streghe solo i numeri possono venire in aiuto. Purtroppo, però, anche utilizzando i numeri, in una visione ideologica del problema, si cerca sempre di adottare la statistica a supporto della tesi che si vuole dimostrare, screditando invece quelle che non la rafforzano, cadendo nel tranello del bias di conferma, noto in psicologia come quel fenomeno cognitivo umano per il quale le persone tendono a muoversi entro un ambito delimitato dalle loro convinzioni acquisite, limitando di conseguenza il confronto e la possibilità di cambiare posizione rispetto ad un argomento, rafforzando invece le proprie convinzioni anche se basate su ipotesi errate o dimostrate false.
Nella diffusione dei numeri sulle emissioni una cosa sembra ormai finalmente acquisita, ossia che esistono fonti ufficiali di misurazione e stima delle emissioni in atmosfera che sono Ispra e Arpa, che utilizzano metodi standard di misurazione e calcolo e forniscono un dato attendibile e confrontabile negli anni e tra le diverse zone del Paese e dell’Europa. Questo è stato un lungo processo che portava in passato a esporre percentuali di emissione attribuite alla zootecnia di ordine di grandezza talmente diverso che un lettore faceva fatica a comprendere.
Da molti anni Ispra pubblica l’annuario delle emissioni in atmosfera, l’ultimo pubblicato in aprile, che contiene tantissime informazioni riguardanti il settore agricolo e zootecnico che sono il frutto dell’enorme lavoro di raccolta e validazione di informazioni provenienti da fonti diverse che vengono poi elaborate e inserite nei modelli di stima. Anche i modelli di stima utilizzati sono riferiti a standard internazionali ed è possibile rintracciare le fonti e i metodi direttamente nella pubblicazione. Quindi massima trasparenza sulle fonti e sui metodi di stima.
Ispra, per il settore agricolo, fornisce due informazioni separate, le emissioni in atmosfera espresse in CO2 equivalente e l’ammoniaca come inquinante che contribuisce a diversi problemi ambientali, quali l’acidificazione dei suoli, l’alterazione della biodiversità, l’eutrofizzazione delle acque e come componente che interviene nella formazione del particolato.
Di tutta la corposa pubblicazione, sicuramente quello che si va a cercare è la sintesi espressa dai numeri finali che rappresentano la quantità di CO2 equivalente emessa da ciascun settore e quanta ammoniaca viene loro attribuita.
La CO2 equivalente
Negli anni passati, sui giornali ma anche nelle trasmissioni televisive largamente seguìte come il “Tg satirico” della nota rete commerciale privata, veniva comunicato con grande leggerezza che il 75% delle emissioni in atmosfera in Italia erano causate dagli allevamenti, citando l’Ispra come fonte del dato. Questo numero derivava dall’errata lettura dei dati ufficiali, gettando in confusione i lettori o spettatori più attenti: da qualche parte all’intera agricoltura veniva attribuito il 7% delle emissioni totali e da qualche altra parte il 75% era causato dagli allevamenti. In un momento di grande confusione, ignorando che il settore allevamento è incluso nell’agricoltura, si sarebbero potute anche sommare le due percentuali, arrivando a dire che l’eliminazione dell’agricoltura e degli allevamenti, da soli, avrebbero risolto tutti i problemi abbattendo in un attimo le emissioni dell’82%.
La confusione era, e a volte ancora è, generata da una cattiva lettura dei numeri. Dai dati Ispra si legge che il contributo alle emissioni dovuto all’agricoltura, in cui è inclusa la componente dovuta all’allevamento, è stabilmente intorno ai 35-30 mila Mt/a e che resta praticamente stabile negli ultimi decenni, con una lieve tendenza alla riduzione (figura 1, dall’Annuario Ispra). Quindi quando parliamo di emissioni dovute agli allevamenti stiamo parlando di una quota delle emissioni agricole, ossia una parte dei quadratini verdi del grafico.
In altre parole, fatto 100 le emissioni totali in atmosfera, l’agricoltura ne rappresenta 7 parti e dentro questo confine l’allevamento gioca un ruolo importante, ossia il 79%. La figura 2 rappresenta meglio il concetto.
Il settore agricolo è uno di quei settori considerato incomprimibile in quanto fornisce il cibo per tutta la popolazione e comunque la sua responsabilità è limitata al 7% delle emissioni totali. Anche le previsioni, sempre fornite da Ispra nella pubblicazione, mostrano una tendenza ad una riduzione generale delle emissioni (in particolare di quelle dovute alla produzione di energia) e una stabilità invece di quelle dovute all’agricoltura: vedi figura 3.
Ovviamente, se lo stesso dato lo si vede in termini percentuali (e questa è un’altra grande operazione di confusione che viene spesso offerta ai lettori) le quote di incidenza del settore agricolo tendono ad aumentare, ma questo non è dovuto ad un aumento vero e proprio delle emissioni agricole, ma piuttosto alla diminuzione delle emissioni degli altri settori. Gli stessi dati del grafico precedente, se rappresentati in quote percentuali si presentano come mostrano la tabella 1 e la figura 4, con un aumento di almeno un punto percentuale della quota dovuta all’agricoltura se si confronta il 1990 con la previsione per il 2030.
Questo è dovuto essenzialmente alla consistente diminuzione delle emissioni del settore della produzione di energia. Paradossalmente, se riuscissimo a eliminare totalmente tutte le sorgenti di emissione dovute ai trasporti, all’industria, alla gestione dei rifiuti e alla produzione di energia attraverso l’innovazione tecnologica, il comparto zootecnico raggiungerebbe una quota vicina al 100% delle emissioni pur mantenendo un contributo in termini assoluti vicino ai 35-30 mila Mt/a che effettivamente produce.
Quindi è bene porre molta attenzione a come i dati vengono rappresentati. Alla luce di quanto detto, ancora più confusione potrebbe esser fatta se lo stesso grafico si rappresenta con delle linee, a sottolineare un trend di aumento delle emissioni dovute all’agricoltura, come si vede nel grafico in figura 5.
Stesso dato di prima a cui però si vuole dare un significato diverso. La percentuale va letta infatti entro anno perché rappresenta la composizione annua per settore di emissione e non attraverso gli anni perché non è una tendenza all’aumento o alla diminuzione della quantità di emissioni.
L’ammoniaca
Le emissioni di ammoniaca rientrano tra le stime che fornisce Ispra nell’ambito degli inquinanti atmosferici, quindi non fanno parte delle stime delle emissioni di gas serra, anche se la fonte emissiva per quanto riguarda la zootecnia è la stessa, ossia l’azoto contenuto nelle deiezioni.
Gli addetti del settore conoscono e hanno studiato i meccanismi che determinano le emissioni di ammoniaca in atmosfera e hanno anche individuato le soluzioni a tale problema. Il 94% delle emissioni di ammoniaca sono dovute all’agricoltura, e dal 1990 a 2018 c’è stata una riduzione del 23% dovuta alla diminuzione dei capi a fronte di un aumento della produzione (ad esempio il latte ha registrato un +20% rispetto agli anni ’90; elaborazione dati da Il mercato del Latte. Rapporto 2018 - Ismea). Una buona parte di queste emissioni è dovuta agli allevamenti.
È stato dimostrato che l’ammoniaca ha un ruolo importante nella formazione delle polveri sottili in atmosfera, ma per quanto concorrono le deiezioni e in particolare la loro gestione alla formazione del particolato? Tra i tanti studi disponibili, citiamo un articolo a cura dell’Arpa Emilia Romagna (M. Stortini, G. Bonafè, Quali sono le origini del particolato? – Ecoscienza Numero 1, anno 2017), in quanto rappresenta una realtà della zootecnia italiana importante. In questo articolo, partendo dai risultati dei numerosi studi scientifici pubblicati sull’argomento, si propone uno schema grafico molto chiaro (che si può trovare al link: www.arpae.it/cms3/documenti/_cerca_doc/ecoscienza/ecoscienza2017_1/stortini_bonafe_es2017_01.pdf) sulle fonti di emissione che concorrono alla formazione del PM10 nel caso particolare dell’Emilia Romagna: l’agricoltura e gli allevamenti concorrono in maniera importante nella formazione dell’aerosol secondario e molto poco alla creazione dell’aerosol primario. L’ammoniaca di origine agricola concorre per una parte della formazione dell’aerosol secondario ma non è la causa principale.
Senza entrare nel dettaglio dei numeri, il trend sia per quanto riguarda il PM10 che il PM2,5 è in netto calo dagli anni ’90 (fonte inventario Ispra) e anche se la formazione del particolato ha una dinamica complessa che interessa numerose componenti che derivano da settori diversi, l’ammoniaca gioca sicuramente un ruolo importante, e proprio per questo motivo il settore zootecnico deve impegnarsi a ridurre il suo apporto.
Il tema delle polveri sottili e delle emissioni di ammoniaca è diventato un altro argomento di attacco alla zootecnia. Su molti comunicati, articoli di giornale e molto ancora, si evidenzia che l’agricoltura, e in particolare gli allevamenti, emettono ammoniaca e contribuiscono in modo consistente alla formazione di particolato grazie all’effetto dell’aerosol indiretto delle emissioni. Partendo da un presupposto reale che è quello che la zootecnia è il maggior produttore di ammoniaca, si arriva però ad una attribuzione di quasi totale responsabilità nella produzione delle polveri sottili, che, come abbiamo visto, non corrisponde a verità.
Il Covid-19
Il passo verso la colpevolizzazione della zootecnia per la diffusione del Covid-19 è stato altrettanto breve. Con un sillogismo semplicissimo, dopo aver attribuito alla zootecnia la responsabilità maggiore per quanto riguarda la formazione di polveri sottili, osservando che il numero maggiore di contagi si è verificato nelle regioni ad alta vocazione zootecnica, associato alla presunta veicolazione del Covid-19 attraverso il particolato atmosferico, è stato facile concludere che la pandemia è stata favorita dagli allevamenti intensivi.
In conclusione, il tema delle emissioni in atmosfera e dell’inquinamento è molto importante e merita una grande attenzione da parte della ricerca scientifica, così come il tema della diffusione dei virus attraverso gli agenti inquinanti.
È doveroso quindi dare risposte certe ai cittadini che non si devono sentire minacciati dalla zootecnia e quasi sentirsi in colpa di mangiare alimenti di origine animale per non favorire il cambiamento climatico, l’inquinamento e la diffusione dei virus. A tal proposito lo Stato italiano si è immediatamente attivato attraverso il progetto di ricerca Pulvirus (Enea-Iss-Snpa) per accertare l’effettiva relazione tra la concentrazione di polveri e la diffusione dei virus.
Aspettiamo quindi risposte validate scientificamente invece di accreditare ricerche poco rigorose e stimolate più dall’ideologia che dalla ricerca della realtà. Il settore zootecnico continuerà a fare tutto il possibile per migliorare le tecniche di gestione degli allevamenti al fine di contenere le emissioni di ammoniaca e di tutti gli altri inquinanti, non si tirerà certo indietro per dare il suo contributo per vincere questa importantissima sfida, malgrado sia considerato un comparto incomprimibile essendo quello che produce cibo per tutti.