Allevamenti veneti sotto attacco. Sul banco degli imputati i cambiamenti climatici, con le temperature sempre più elevate, la difficoltà nel ricambio generazionale, nel reperimento della manodopera e con l’aumento del costo del denaro. Temi, questi, al centro del convegno “Stress da caldo nella vacca da latte: genetica, benessere, razionamento, tecnologie per una zootecnia resiliente”, individuato dall’Arav (Associazione regionale allevatori del Veneto), per l’incontro tecnico a invito di chiusura dell’edizione 2024 del Festival dell’Agricoltura di Bressanvido (Vi), che si è svolto alla Fattoria Fratelli Pagiusco il 12 ottobre scorso.
Ad aprire i lavori è stato il direttore dell’Arav, Walter Luchetta, dopo il saluto del presidente dell’Arav, Floriano De Franceschi: «A 80 anni dalla nascita dell’Aia, ci riuniamo ancora per affrontare una sfida cruciale: lo stress da caldo nella vacca da latte. Accentuato dai cambiamenti climatici, oggi è sempre una minaccia per il benessere animale, la produttività e la sostenibilità economica delle nostre aziende».
Secondo Paolo Tarolli, del dipartimento Territorio e sistemi agro-forestali dell’Università di Padova « le ondate di calore sui pascoli producono stress della pianta, con una crescita e produttività ridotte, scarsità idrica e degrado del suolo. La siccità, di conseguenza, porta a una diminuzione della vegetazione, al declino delle popolazioni di animali e a una maggior esposizione agli incendi. I numeri parlano chiaro: in Veneto, da giugno a luglio 2022 siamo passati dal 17 al 38% di superficie agricola interessata da siccità estrema. Mentre per le alluvioni delle contromisure esistono già, per la siccità dobbiamo ancora lavorare molto. Credo sia indispensabile iniziare dalla progettazione di micro-invasi in alta montagna per favorire una mitigazione dell'impatto di prolungata siccità e garantire servizi ecosistemici (ristoro, habitat, uccelli)».
Il miglioramento genetico e gli eventi climatici estremi
La Regione Veneto sta duramente lavorando sul versante della resilienza nella zootecnica, come evidenziato da Alberto Zannol, responsabile della direzione Agroalimentare della Regione Veneto: «La resilienza, ossia la capacità di adattarsi alle minacce esterne senza compromettere l’investimento e la continuità della produzione è condizionata da fattori economici e ambientali che influiscono sul reddito d’impresa. Per questo abbiamo messo in pista più azioni, in particolare orientate all’erogazione di servizi di consulenza, di formazione degli imprenditori agricoli».
Gioca un ruolo fondamentale sullo stress da caldo la ricerca universitaria e, di conseguenza, la genetica, come evidenziato da Massimo De Marchi, del dipartimento Agronomia, animali, alimenti, risorse naturali e ambiente dell’Università di Padova, che ha illustrato i risultati del progetto CoolCow: indicatori per il miglioramento genetico allo stress da caldo nella vacca da latte: «Lo stress da caldo comporta una diminuzione del sistema immunitario, un calo di produzione e influenza la qualità del latte. Il nostro lavoro ha coinvolto 26 allevamenti e 1.787 vacche campionate in 74 giornate, e ha permesso di esaminare le caratteristiche delle urine e la qualità del latte, individuando i fenotipi, ossia le caratteristiche morfologiche e funzionali su cui lavorare per rendere la bovina da latte resiliente ai cambiamenti climatici in atto».
Il razionamento e la qualità degli alimenti somministrati hanno un ruolo fondamentale nella vita della bovina da latte, in particolare nei periodi più caldi dell’anno, come ha evidenziato Andrea Formigoni, del dipartimento Scienze mediche veterinarie dell’Università di Bologna: «Bisogna prepararsi per tempo per produrre e conservare i migliori foraggi che andranno utilizzati nei momenti più critici, soprattutto per le vacche in transizione e nel primo periodo della lattazione. Va ricordato che le vacche più produttive sono quelle che soffrono di più i picchi di calore. Attenzione va riposta alla corretta conservazione degli insilati ed alla gestione delle greppie». Su questi temi si focalizzata anche Flaviana Gottardo, del dipartimento Medicina animale, produzioni e salute dell’Università di Padova: «Lo stress da caldo si verifica soprattutto da aprile ad ottobre e comporta modificazioni comportamentali come i tempi di decubito, la diminuzione dell’ingestione, la maggiore selezione alimentare, l’aumento del consumo di acqua e la risposta produttiva e riproduttiva. Per questo è fondamentale distribuire la razione di cibo subito dopo la mungitura e aumentarla nel tardo pomeriggio quando è meno caldo. L’ideale è poter dotare la stalla di sistemi di distribuzione automatizzata del cibo, per aumentare sia la frequenza di preparazione che di distribuzione».
Il consigliere regionale Marco Andreoli, presidente della Commissione Agricoltura della Regione Veneto, è intervenuto sul problema della diffusione del lupo in Veneto e sulla riclassificazione da parte dell’Unione europea della specie lupo "da rigorosamente protetto" a "protetto": «un primo fondamentale passo, ma siamo ancora lontani dalla soluzione di un problema che richiederà almeno un paio d’anni di lavoro ai più diversi livelli».
Necessaria una transizione green graduale
La tecnologia viene in aiuto agli allevatori, che possono sapere in anticipo quali saranno le giornate più calde ed adottare le dovute contromisure, come ha evidenziato Lorenzo Pascarella dell’Ufficio Studi dell’Aia, responsabile anche del servizio Scm (Servizio controllo mungitura): «Attraverso Si@llEvA, il gestionale in uso dagli allevatori, ciascuno può monitorare lo stress da caldo della mandria e adottare accorgimenti, per esempio attivando i sistemi di ventilazione, le doccette e, naturalmente, una maggior somministrazione di acqua».
Dopo il saluto del direttore generale dell’Aia, Mauro Donda, che ha esortato il Veneto a proseguire nell’ottimo lavoro svolto, ha concluso la giornata Luca De Carlo, presidente della Commissione Agricoltura del Senato: «La rivoluzione green a cui stiamo assistendo non funziona, com’è dimostrato da molte azioni intraprese. Serve un processo graduale di cambiamento, che rispetti ciò che di buono esiste. Gli agricoltori, nello specifico, coltivano e salvaguardano il territorio. Gli allevatori, invece, non sono dei grandi inquinatori, ma si prendono cura degli animali e mantengono pulite zone dove nessuno si avventura e che, in loro assenza, sarebbero in stato di abbandono».