All’ultima assemblea annuale di Assocarni era stato presentato uno studio Ismea che evidenziava la necessità di “mettere in sicurezza” la produzione nazionale di carne bovina: “Il tasso di autoapprovvigionamento italiano è calato drammaticamente al 40%, rispetto
al 58% del 2010”.

E Serafino Cremonini, presidente di Assocarni, sempre all’assemblea dell’associazione, aveva commentato: “Il crollo del livello di autoapprovvigionamento al 40% è un dato allarmante per la sovranità alimentare del nostro Paese. Dobbiamo agire subito per preservare questo settore fondamentale per la sicurezza alimentare nazionale, che è anche un formidabile presidio ambientale in quanto bovini e ovini sono presenti lungo tutto l’arco appenninico dal Piemonte alla Sicilia”.
Per affrontare il problema il presidente, in assemblea, aveva chiesto ufficialmente alla controparte politica di “prevedere risorse: 1) a favore della linea vacca-vitello, affinché ci si affranchi, almeno parzialmente, dalle importazioni di animali vivi dalla Francia migliorando il deficit commerciale; 2) per favorire il ricambio generazionale e l’ingresso dei giovani in agricoltura”.
Ora, in questa intervista rilasciata all’Informatore Zootecnico, Serafino Cremonini sviluppa questi concetti, insistendo in particolare sulla necessità di un rilancio, nella zootecnia italiana, appunto della linea vacca-vitello.
Presidente Cremonini, come mai aveva usato l’aggettivo “allarmante” per definire il dato sul crollo dell’autoapprovvigionamento di carne bovina?
Il problema riguarda il tasso di autoproduzione che c’è in Italia. Ossia il fatto che la quantità di carne prodotta dai nostri allevatori, prodotta per soddisfare il consumo degli italiani, negli ultimi anni è calata enormemente. Ciò vuol dire che noi importiamo carne dagli altri paesi e alleviamo meno animali che producono carne per soddisfare i nostri consumatori. Quindi due cose: importiamo carne e alleviamo meno. Alleviamo meno: è il trend che c’è stato negli ultimi 10-20 anni.
Coniuga i verbi al passato.
Sì, perché ormai siamo arrivati a una situazione, in Italia, che vede fortunatamente la produzione essere abbastanza stabile. Anche il consumo è stabile. Quindi questa emorragia si è fermata. Però si può anche invertire rotta. Anzi, bisogna invertire la rotta.
Perché bisogna invertire la rotta?
Perché il più grande esportatore in Italia di animali vivi, che è la Francia, negli ultimi 15 anni ha manifestato un calo drammatico del numero degli animali presenti nel patrimonio zootecnico francese: da 21 milioni di capi a 17 milioni. Di conseguenza per gli allevatori italiani c’è meno disponibilità in Francia di capi bovini da acquistare per poi ingrassarli.
Esperienze all’interno di questa problematica?
Noi di Inalca siamo i leader in Francia come esportatori verso l’Italia. Abbiamouna società che si chiama Parma France che è leader in Francia per la raccolta di broutard da esportare poi agli allevatori italiani. Bene, nel giro degli ultimi dieci anni, da 100 camion di capi bovini che ogni settimana trasportavamo in Italia, siamo arrivati a fare 50 camion.
Un altro esempio?
Altro esempio: a un convegno alla fiera di Verona abbiamo incontrato i responsabili di Groupe Bigard, che è il maggior operatore francese, forse il maggiore macellatore europeo. E Bigard a Verona ci ha detto che loro erano sempre stati abituati a macellare scottone e vacche, mentre i vitelloni erano più destinati al mercato italiano. Ma adesso, vista la carenza di capi bovini in Francia, visto questo calo del patrimonio zootecnico francese, gli stessi francesi si sono messi a ingrassare i loro broutard.
E perché c’è stata questa svolta nella zootecnia francese?
Loro lo fanno perché gli è diminuita la presenza di vacche, di scottone, quindi devono trovare qualche altra fonte di carne per soddisfare il consumo francese. Fonte che non era mai stata rappresentata del vitellone, un animale che era destinato più che altro al mercato italiano.
Fra l’altro la Francia è il più grande produttore europeo di bovini da carne.
Sì, il patrimonio zootecnico francese è il più consistente in assoluto in Europa. Il patrimonio zootecnico di altri paesi europei, l’Italia, la Germania, la Spagna, la Polonia, è importante ma ben inferiore. Per dare un’idea del divario, la Francia alleva 17-18 milioni di capi, l’Italia 6 milioni.
Di fronte a questa situazione come potrebbe reagire la zootecnia da carne italiana?
Bisogna puntare sull’autoproduzione e una delle cose più importanti, a mio avviso, è implementare con la linea della vacca e del vitello.
Implementare il patrimonio zootecnico italiano con la linea vacca-vitello è un’idea che anche l’Informatore Zootecnico ha sempre propugnato. E come vede invece la pratica del beef on dairy?
Ci sono dei rischi. Mettere il Blue Belga sulla vacca da latte a mio avviso è come un cane che si morde la coda, perché andiamo a togliere baliotti alla filiera del vitello a carne bianca. Anche in quella filiera abbiamo scarsità di baliotti e se tu punti sul beef on dairy sosterrai sì la filiera della carne rossa ma non farai però carne bianca. Dunque io punterei di più sulla linea della vacca e del vitello, vista anche la morfologia del territorio italiano.
Cioè la linea vacca vitello si potrebbe effettuare con successo anche nelle zone svantaggiate del nostro Paese.
Non ovviamente nella Pianura Padana, dove la terra costa una fortuna, ma sulle nostre colline, anche nel nord, o in Sardegna, in Sicilia, in Calabria, nelle zone più vocate al pascolo. E il lavoro che stiamo portando avanti anche con il nostro ministero, con Francesco Lollobrigida e gli altri interlocutori, è di veicolare i premi dell’Unione europea su questo tipo di allevamento. Perché se ci sono più allevamenti piccoli, ovvero, come li chiamiamo, “pastori di vacche”, riusciamo ad aumentare la nostra offerta di animali nati in Italia. Con altri vantaggi collaterali come il presidio del territorio e delle aree marginali.
Presidio e tutela del territorio.
Sì, perché se c’è l’agricoltore in campagna a lavorare, a curare gli animali, cura anche i fossi, protegge dalle frane, perché tiene curato il territorio, se no prevale il bosco incustodito in modo selvaggio.
Lollobrigida ha risposto a questa vostra istanza?
Con Lollobrigida siamo sempre in contatto perché anche lui ci crede. Comunque è una linea da perseguire anche insieme con Coldiretti, Confagricoltura e Cia. Si tratta di una proposta di Assocarni che è seguita anche dalle organizzazioni professionali agricole. Perché è interesse comune, anche delle organizzazioni sindacali, implementare quello che è il patrimonio zootecnico italiano.
E per implementarlo, secondo la linea di Assocarni, bisogna fare nascere dei vitelli in Italia. E per fare nascere dei vitelli bisogna tenere gli operatori nei territori insieme alle vacche, e quindi è un percorso che viene fatto insieme. Questo allo scopo di essere meno dipendenti dalla Francia, quindi di avvantaggiarsi anche sulla bilancia commerciale stessa.
E il consumatore italiano influenza questa linea?
Certo. Vorrei sottolineare che il consumatore italiano, quando va a scegliere la carne, se vede che la carne viene da un bovino nato in Italia è più contento. Non solo se è ingrassato in Italia, ma se è nato in Italia. All’assemblea Assocarni abbiamo mostrato un’indagine Nielsen sugli acquisti domestici di carne nel nostro paese che ha evidenziato che il 92% dei consumatori italiani acquista regolarmente carne bovina con un’attenzione particolare per la carne prodotta nel nostro paese.
Dunque Assocarni propone un aumento degli aiuti a questo tipo di filiera zootecnica.
Sì, siamo tutti allineati, dalle organizzazioni sindacali al ministero. Sarebbe stupido non sostenere un movimento economico che fa presidio del territorio, che crea indipendenza commerciale dall’estero, e che, terza cosa, va incontro alla sensibilità del consumatore. Ci sono tutte le condizioni per riuscire.

Tenuta Flea, in Umbria: bovine gravide al pascolo (francesi)
Nello sforzo per rilanciare l’allevamento bovino in Italia si segnalano esperienze interessanti, Una di queste è quella di Tenuta Flea, un realtà agricola dell’Umbria condotta da un industriale, Matteo Minelli, attivo in altri settori come il birrificio e il fotovoltaico.
Qui abbiamo 1.200 ettari di terra che si estendono tra i comuni di Gualdo Tadino, Casacastalda e Valfabbrica, sui quali si coltiva l’orzo distico protagonista delle birre artigianali prodotte dalla proprietà, ma nelle cui colline vengono anche messe al pascolo bovine gravide di razza limousine, importate dalla Francia. Le vediamo nelle due foto.
Ultimamente sono state acquistate dalla Francia 150 vacche limousine gravide, che si sono aggiunte alle 200 già presenti in azienda.
Quello di Tenuta Flea, spiega Cremonini, non è soltanto un esempio vincente di linea vacca-vitello. “Si tratta anche di un modo per portare in Italia la genetica francese nel campo dei bovini da carne, e quella francese è la genetica più avanzata. Noi italiani siamo maestri nel dairy, i francesi sono maestri nella carne”.
Azienda Corticella, Modena: “I più grandi allevatori italiani”
Una seconda esperienza produttiva significativa è quella dell’azienda “Corticella”, con sede a Castelvetro di Modena, interamente controllata da Inalca. La quale spicca per le
proprie dimensioni: la capacità produttiva, in termini di capi propri allevati, è di circa 180mila bovini, condotti in modo diretto e in soccida.
La Corticella, di cui Serafino Cremonini è amministratore delegato, controlla in Italia dieci aziende agricole con allevamento bovino, distribuite fra Lombardia Veneto ed Emilia Romagna. “Con questi numeri - spiega Cremonini - noi come Corticella e come Inalca risultiamo i più grandi allevatori italiani di bovini da carne. Siamo i maggiori allevatori di vitelli, vitelloni e scottone in Italia. Le vacche invece le macelliamo soltanto, non produciamo latte”.
“Facciamo anche vitelli a carne bianca, tramite un’altra società del gruppo, la Cremovit. Dunque otteniamo sia carne rossa sia carne bianca. Compriamo anche vitelli Blue Belga, che arrivano dalla filiera della vacca da latte; però preferiamo che venga implementata la filiera della carne rossa, perché spingendo troppo sul beef on dairy può ridursi la disponibilità di animali per la filiera carne bianca”.
Ismea: vacca-vitello come chiave per l'accesso ai fondi Pac
Ecco alcuni flash relativi all’intervento svolto da Ismea all’ultima assemblea di Assocarni.
PREZZI:
- Nel quinquennio 2020/24, i prezzi al dettaglio della carne bovina hanno subito rincari dell’ordine del 20%.
- La fase più critica è stata quella del prezzo dell’ingrasso (+30%).
- L’ingrosso ha sostanzialmente mantenuto tale incremento.
- La fase distributiva finale ha funzionato da cassa di compensazione attenuando l’impatto sul consumo finale e spostando il recupero sul medio periodo.
PRODUZIONE:
- Nonostante il peso relativamente basso del bovino da carne nell’ambito della produzione agricola nazionale, e il forte ricorso all’approvvigionamento estero, l’Italia è comunque il terzo produttore di carne bovina a livello comunitario.
- L’approvvigionamento di bovini all’estero da parte dell’Italia non è privo di criticità se, almeno per quanto riguarda gli animali da ingrasso, dipende per l’85% da un solo paese.
- Il problema della filiera della carne bovina, in prospettiva, non dovrebbe essere la domanda, che ha mostrato una certa stabilità degli acquisti nonostante l’incremento della spesa del 20%
- L’incremento dell’offerta nazionale e la riduzione della dipendenza dall’estero attraverso lo sviluppo della linea vacca-vitello è già, e sarà sempre più, una chiave per l’accesso ai fondi della Pac (oltre che ai fondi nazionali). Ma la diffusione di tale sistema richiederebbe una riorganizzazione strutturale/logistica dell’intera filiera (macellazione, sezionamento
e distribuzione).
- Si pone con forza il tema della distintività del prodotto italiano. Attualmente nel settore carne esistono cinque Igp e cinque Sqnz, fattori di fondamentale importanza. Ma per avere appeal sul consumatore c’è bisogno di comunicazione, oltre che un cambio di passo dell’immagine dei e nei punti vendita.