In occasione del convegno “Made in Italy e sostenibilità nel settore Agrifood: megatrend e sfide per il futuro”, organizzato da Confindustria Emilia Area Centro in collaborazione con Granarolo spa, sono stati analizzati i trend globali e le strategie per affrontare la transizione verso un’agroindustria più sostenibile, in un contesto segnato da cambiamento climatico, inflazione, conflitti geopolitici e normative in costante evoluzione. Un’occasione per approfondire sfide e opportunità del settore insieme a esperti del mondo accademico e imprenditoriale.
Tra questi era presente Giovanni Sorlini, responsabile qualità, sicurezza e sviluppo sostenibile di Inalca, il quale ha espresso una riflessione sul ruolo della sostenibilità come strumento strategico per la gestione aziendale e il posizionamento competitivo.

Sorlini ha evidenziato come oggi, più che mai, la sostenibilità non debba essere vista solo come un argomento comunicativo o reputazionale, ma come un elemento chiave per l’attività d’impresa. “Quindi – ha dichiarato - è vera la complessità della CSRD (Corporate sustainability reporting directive) ma se si riesce a entrare nel linguaggio e cogliere il significato di tutte queste sigle e dati ci si rende conto che poi, alla fine, questi indicatori diventano strumenti di gestione aziendale, di canalizzazione intelligente di informazioni e numeri che altrimenti andrebbero dispersi in mille rivoli e non valorizzati ma, soprattutto, diventano un linguaggio in grado di far comprendere al management e agli stakeholder il reale posizionamento competitivo dell'azienda in termini ambientali, sociali e di governance; ci siamo resi conto in 10 anni di lavoro che parlare di decarbonizzazione, emissioni, vuol dire sostanzialmente costruire indicatori che più di altri fanno comprendere la performance dell’azienda e i possibili margini di miglioramento in termini ambientali e economici”.
La sostenibilità per misurare le performance
Giovanni Sorlini ha sottolineato che la rendicontazione prevista dalla CSRD non potrà più limitarsi alla sola perfomance economica dell’impresa, ma, tramite un cambiamento radicale nella gestione del bilancio aziendale previsto da questo pacchetto normativo, dovrà comprendere pienamente anche l'impatto ambientale e sul clima. Sorlini ha messo in evidenza che la sostenibilità implica la necessità di misurare con precisione gli impatti ambientali lungo tutta la catena del valore, non solo all’interno del perimetro dell’impresa. Secondo lui, per rispondere alle sfide globali, la sostenibilità non deve limitarsi ad una singola funzione, ma deve diventare un linguaggio comune adottato a tutti i livelli aziendali.
“Oggi siamo più consapevoli sull’incidenza degli impatti ai vari livelli della catena del valore", ha detto Sorlini. "La misurazione diretta delle fonti di emissione all’interno della propria filiera è fondamentale per orientarci verso obiettivi di decarbonizzazione concreti. Non possiamo più parlare di questo tema senza disporre di dati primari, gli unici a dirci come incidiamo effettivamente sull’ambiente e soprattutto quali siano gli margini di miglioramento”. Diversamente si rischia di prendere impegni su obiettivi di decarbonizzazione a medio lungo termine in modo avulso dall’effettiva situazione dall’azienda, con evidenti rischi di tipo reputazione e legale in caso di mancato raggiungimento degli stessi.
Un modello di business
“Per gestire le attività di decarbonizzazione è quindi necessario un sistema strutturato di raccolta dati e un ambiente digitale adeguato, sia orizzontale all’interno dell’azienda, sia verticale sulla propria filiera. In questo modo la decarbonizzazione può essere coerente al proprio modello di business. L’Inalca è un'azienda che ha fatto dell’integrazione la propria leva di sviluppo; quindi, è chiaro che per Inalca parlare di decarbonizzazione senza calarla nel proprio modello di business significherebbe non poter governare questo processo.
Il ruolo del “manure management”
“Se poi parliamo di temi concreti di decarbonizzazione nel settore bovino - ha continuato Sorlini – l’azienda si è concentrata sul tema del “manure management” (gestione del letame), che vale circa un 30% delle emissioni complessive di gas serra nell’allevamento bovino, il segmento della filiera in cui si concentra oltre il 95% degli impatti totali. In questo settore stiamo investendo, ad esempio, nella conversione dal biogas al biometano. Oltre a questo, stiamo lavorando nel miglioramento delle pratiche agronomiche che rappresentano anch’esse un altro 30% del totale delle emissioni. Si tratta di tecniche di agricoltura di precisione applicate alla fertilizzazione dei suoli che consentono un utilizzo più efficiente dell’azoto, privilegiando al contempo nutrienti di origine organica ottenuti da processi di economia circolare rispetto all’azoto chimico, oltre a pratiche di sequestro del carbonio. Si sta lavorando moltissimo su traiettorie di economia circolare per valorizzare, non solo in ambito agricolo, tutti i sottoprodotti-coprodotti connessi alla produzione di carni bovine di cui spesso ci si dimentica: basti pensare ai sottoprodotti derivanti dalla lavorazione del sangue e delle ossa che, oltre ad essere utilizzati per una fertilizzazione organo-minerale alternativa e competitiva rispetto alla fertilizzazione chimica, possono essere impiegati nel settore farmaceutico e biomedicale. Quindi avere un modello di business che ha costruito sulla circolarità la propria leva di crescita significa poter disporre di soluzioni percorribili, concrete e scalabili, per contrastare le emissioni derivanti dalle attività agricole e zootecniche”.
La sfida delle emissioni enteriche
“Il terzo elemento, per far capire che la decarbonizzazione consiste in un insieme di attività, è l'ultimo 30% legato alle emissioni enteriche dei bovini”.
Secondo Sorlini, le emissioni enteriche dipendono fortemente dai metodi di allevamento e alimentazione, quindi ogni intervento deve essere commisurato al tipo di razione alimentare e al metodo di allevamento per avere un impatto significativo.
“Un animale che pascola e mangia foraggi grezzi ha un impatto molto diverso rispetto a uno che segue diete più digeribili e ad alto contenuto calorico. Quindi misurare correttamente e intervenire in modo mirato è essenziale per ridurre le emissioni.”
Inalca sta testando alcuni additivi naturali al fine di valutarne il potenziale impiego in allevamento al fine di intervenire anche su questa fonte di emissioni.
Latte e carne, un'unica filiera sostenibile
Infine, Sorlini ha concluso sottolineando l’importanza della collaborazione tra filiere per affrontare le sfide della sostenibilità.
“Noi, che non siamo una realtà cooperativa, abbiamo scelto di utilizzare gli strumenti di aggregazione che il legislatore ha previsto per le società di capitali, come ad esempio le Organizzazioni di Produttori (OP) e i bandi di filiera. Strumenti che consentono, attraverso accordi pluriennali basati su parametri misurabili di qualità e – mi auguro presto – anche di sostenibilità, di strutturare rapporti stabili e trasparenti di fornitura con il mondo agricolo. In questo modo vogliamo facilitare ai nostri fornitori l’accesso agli strumenti di finanza agevolata e lo sviluppo di protocolli produttivi sempre più basati sui principi dello sviluppo sostenibile, con effetti positivi su tutta la catena del valore”.
“E poi - prosegue Sorlini - ci sono gli schemi di qualità nazionale: per esempio il sistema Sqnba (Sistema di qualità nazionale per il benessere animale), una certificazione ambiziosa costruita con grande trasparenza nel campo del benessere animale, che consente la misurazione oggettiva delle condizioni dell’allevamento e al contempo una comunicazione chiara verso il consumatore. È un sistema complesso, ma lo stiamo adottando.
Allo stesso modo, esistono anche schemi analoghi dedicati alla sostenibilità: i sistemi Sqnz (Sistema di qualità nazionale per la zootecnia) che consentono forme di premialità a fronte dell’adozione di criteri distintivi di produzione basati su aspetti di qualità. In questo ambito stiamo lavorando affinché le filiere del latte e della carne imparino a dialogare sempre di più, essendo fortemente interconnesse. Dal mondo del latte infatti escono sia i vitelli destinati alla carne bianca, sia le vacche a fine carriera, da cui ricaviamo carni fresche hamburger e tagli per l’industria alimentare”.
“In quest’ottica – ha concluso Sorlini - stiamo proponendo un Sqnz Latte, uno schema pensato non tanto per valorizzare criteri specifici di qualità di prodotto, ma per facilitare l’adozione progressiva e scalabile di pratiche di sostenibilità sui quali parametrare la premialità di tutti i prodotti generati dall’allevamento lattiero. Questo approccio potrebbe facilitare l’adozione massiva di buone pratiche in allevamento e generare forme di comunicazione chiare e trasparenti per clienti e consumatori sui temi della sostenibilità, oltre a favorire l’accesso da parte dell’allevatore a risorse e finanziamenti agevolati, essendo riconosciuto a livello comunitario. Mai come oggi, di fronte al calo nazionale delle produzioni bovine e i profondi cambiamenti sociali in corso, serve creare piattaforme di confronto tra i grandi player nazionali del latte e della carne, superando le visioni verticali che hanno funzionato fino a ieri, ma che non bastano più per affrontare il futuro”.
Il carbon farming come elemento mancante
“Nel puzzle pensato dal legislatore comunitario manca ancora il carbon farming, ovvero l'agricoltura rigenerativa mirata al sequestro della CO2, in grado di produrre crediti di carbonio. Inalca, oggi, è un'azienda soggetta agli obblighi di acquisto di crediti di carbonio, il cosiddetto Emission Trading Scheme (ETS), per le proprie attività industriali. Il sistema comunitario del “carbon farming” consentirebbe la generazione a livello agricolo di crediti di CO2 a compensazione di quelli acquistati a livello industriale. Purtroppo tale sistema è ancora privo delle norme applicative e al momento non ancora attuabile. Di fatto costituisce l’elemento mancante nel puzzle della normativa comunitaria in materia di riduzione delle emissioni GHG’s, il più importante per incentivare pratiche agricole sostenibili e sostenere i relativi finanziamenti aziendali".
“Un esempio: dal biogas e biometano si ottiene il digestato che è un buon ammendante. Se si trasforma ulteriormente il digestato in biochar tramite processi di pirolisi, è possibile ottenere questo prodotto più avanzato che, oltre a fertilizzare più efficacemente i terreni, consente il sequestro del carbonio e quindi la generazione dei crediti da poter immettere sul mercato. Da questa disamina di tecniche e processi di sviluppo sostenibile si capisce come non si possa confidare su un’unica soluzione o approccio, ma debba svilupparsi un ecosistema intelligente di processi, anche tra loro molto diversi, adottati in una sequenza logica e integrata per affrontare un tema così sfidante come la decarbonizzazione, troppo importante e urgente per essere limitato ad aspetti di comunicazione o promesse di riduzione troppo spesso scollegate all’effettivo contesto produttivo e solidi processi di misurazione”.
Beef on dairy
“Le forme più efficienti di allevamento bovino, oggi, si basano sul modello "beef on dairy": ovvero, tecniche di allevamento che, partendo dalla produzione di latte, consentono di destinare parte della mandria alla produzione di giovani bovini da carne tramite incroci con razze pregiate, aumentando così il valore economico complessivo anche per l’allevatore lattiero”.
Un approccio integrato tra le due filiere che può contribuire a contrastare una delle preoccupazioni più gravi di oggi: l’abbandono dei pascoli tradizionalmente vocati alla produzione di bovini da carne tramite la linea vacca-vitello. A differenza del mondo del latte, ha spiegato Sorlini, che si sviluppa in aziende tendenzialmente chiuse e autosufficienti, chi opera nell’ingrasso bovino dipende fortemente dalla fase agricola a monte, ossia dalla linea vacca-vitello. Un’attività di allevamento estensivo in forte calo, che si svolge in aree pascolative a bassa fertilità nelle quali l’allevamento di ruminanti è l’unica pratica possibile. Senza questa produzione, il sistema attuale non regge per mancanza di giovani animali.
"Per questo, strumenti come i bandi di filiera, i contratti per la riqualificazione sociale del territorio, già molto utilizzati nei paesi del Nord Europa, oltre a una collaborazione più stretta tra i vari attori della zootecnia sono fondamentali. Solo così possiamo affrontare in modo sistemico la sfida della decarbonizzazione”.