Il corto circuito fra ambiente, agricoltura e allevamento è abbastanza diffuso e rappresenta una sorta di evoluzione relativamente recente (e ampiamente preoccupante) nella vita dell’Unione europea. Nel Trattato di Roma del 1957, che dà vita alla Comunità economica europea e prevede l’istituzione di una Politica agricola comune, il termine “ambiente” di fatto non compare, in quanto si riteneva che le politiche per ridurre l’impatto ambientale e la “cura” dell’ambiente fossero affidate agli agricoltori.
Agricoltura e ambiente, di fatto, procedevano di pari passo e l’agricoltura aveva il compito di produrre cibo sicuro per quantità, qualità e accessibile ai cittadini europei in termini di prezzo. Per cui, era sufficiente parlare di agricoltura e superfluo dare peso all’ambiente. C’erano già gli agricoltori a fare da guardiani e curatori del territorio e dell’ambiente.
Oggi, invece, sembra essersi inaugurata una stagione di caccia alle streghe, dove ad essere colpiti sono gli allevatori.
Paesi Bassi
Le politiche ambientali olandesi scuotono il Paese al punto che il premier Mark Rutte, soprannominato “Teflon” Mark per l’abilità di resistere a tutto, anche alle situazioni più incandescenti, ha rassegnato le dimissioni nelle mani del Re Guglielmo Alessandro. E la questione, che in verità sta tenendo banco in Olanda da diversi mesi, riguarda una nuova “onda verde” cavalcata dal governo, che vorrebbe ridimensionare l’agricoltura e la zootecnia nei Paesi Bassi.
E questo nonostante in più occasioni gli studi dell’Università di Wageningen, ateneo olandese che in materia di agricoltura è fra i più importanti su scala planetaria, abbiano posto al centro dell’economia circolare la zootecnia come elemento insostituibile.
Oggi comunque l’Olanda si ritrova a fronteggiare una campagna elettorale che vede partecipare con buone probabilità di successo il Movimento civico-contadino, fondato da Caroline van der Plas (già giornalista agricola) e noto con l’acronimo olandese di BBB (BoerBurgerBeweging).
Il partito è nato sull’onda delle proteste degli agricoltori contro il tentativo di addossare agli allevamenti la responsabilità in via esclusiva dell’inquinamento e delle emissioni, contrastata addirittura con una proposta rivoluzionaria avanzata dal governo: acquistare le aziende agricole a prezzo di mercato, così da poterle chiudere e dirottare gli allevatori verso un’altra attività lavorativa.
Una proposta respinta al mittente dal sistema agricolo, che ha appunto dato vita a un movimento politico che per ora – grazie anche ad un linguaggio molto semplice e a proposte concrete – la scorsa primavera ha raccolto un consenso diffuso alle elezioni provinciali e ha ridato forma al Senato olandese.
Irlanda
Non c’è solamente l’Olanda che punta alla dismissione o all’alleggerimento del carico zootecnico.
Anche in Irlanda, recentemente, si è accesso il dibattito e Dublino ha messo sul piatto l’obiettivo di ridurre di 200mila capi bovini la mandria nazionale, adducendo le solite questioni ambientali. L’Irlanda è uno dei Paesi che vanta un tasso di autoapprovvigionamento in tema di latte e carne bovina fra i più alti in Ue.
I dati Teseo.Clal.it evidenziano che l’Irlanda ha i numeri più alti nel rapporto fra produzione interna e fabbisogno di carne bovina: 566%, contro una media dell’Unione europea del 111%. L’Italia, per fare un paragone, ha una percentuale di autosufficienza pari a 42,1 (dato 2022).
Quanto alla produzione di latte, il tasso di autoapprovvigionamento è superiore al 150%, con una marcata vocazione all’export, quando l’Ue-27 esibisce un’autosufficienza che nel 2022 è scesa al 114,7 per cento, contro il 117,4% dell’anno precedente.
Logico che l’opinione pubblica irlandese e la politica invitino a promuovere un’agricoltura più sostenibile sforbiciando il numero di animali. Via 200.000 capi. Non sapendo di commettere l’errore grossolano che la sostenibilità è favorita mantenendo la zootecnia e non eliminandola. E poco importa, a sentire il ministero dell’Agricoltura irlandese, se una fascia di allevatori saranno costretti alla pensione anticipata.
Germania
Altro scenario. La Germania ha da poco chiuso la procedura d’infrazione che Bruxelles aveva aperto per la gestione dei nitrati, invocando una maggiore rigidità nella gestione dei reflui zootecnici, onde contenere i parametri di eutrofizzazione delle acque nel Mare del Nord.
Un braccio di ferro durato anni, con l’agricoltura e la zootecnia nel mirino, bersagliate in contemporanea non solo dalle autorità nazionali ed europee, ma anche da inchieste finalizzate a mettere alla berlina il sistema produttivo in Germania anche sul piano del benessere animale, con particolare riferimento alla suinicoltura.
Danimarca
La Danimarca punta a scoraggiare gli allevatori a suon di tasse. Praticamente l’esatto contrario di quanto previsto dai padri fondatori dell’Europa unita, che avevano previsto regimi di sostegno agevolati all’agricoltura con lo scopo di garantire la produzione alimentare in un continente.
L’obiettivo di Copenaghen è di natura climatica, si vuole ridurre entro il 2030 le emissioni di CO2 del 70% rispetto ai livelli del 1990, contro un limite che l’Ue ha fissato al 55% con la strategia “Fit for 55”. Da qui la proposta del Consiglio danese per il clima, organo consultivo ufficiale del governo, propone di applicare una Carbon tax di 750 corone (101 euro) per tonnellata di latte e di carne bovina, così da scoraggiare l’allevamento bovino e, magari, sostenere la produzione suinicola, ritenuta meno impattante sul piano climatico, accanto alle coltivazioni.
Al di fuori dell’Europa la Nuova Zelanda, uno dei maggiori esportatori mondiali di derivati del latte, carne bovina e ovina, ha previsto dal 2025 una tassazione dei gas serra di derivazione agricola.
Francia
In Francia, invece, si punta sull’agricoltura rigenerativa per attrarre le nuove generazioni, più sensibili all’ambiente, a lavorare nelle stalle e garantire un futuro solido al settore. Sul tema si è espressa in più occasioni anche la Fao, secondo la quale l’allevamento da latte deve ridurre le emissioni di gas climalteranti (Ghg) e impegnarsi per un futuro a neutralità carbonica.
E le multinazionali cercano di adeguarsi. Secondo Clal.it, “Danone a gennaio ha dichiarato che intende arrivare entro il 2030 a tagliare del 30% le emissioni di metano generate dalla produzione di latte”. Mentre Arla Foods, la cooperativa danese-svedese, “ha lanciato il progetto sostenibilità per indurre gli allevatori a ridurre l’impronta di carbonio pagandoli con credenziali verdi basate su indicatori quali uso di fertilizzanti, biodiversità, energie rinnovabili, mangimi green”.
In uno scenario che la Ue punta a rinnovare dal profondo, raccomandando pratiche autenticamente verdi e mettendo in guardia dal greenwashing, finte docce verdi volte solamente a costruirsi un’immagine di verginità ambientale, il rischio che si affermi una sorta di “agri-populismo” è abbastanza forte. E dimenticare che l’agricoltura, nel suo insieme, “pesa” per circa il 7% di tutte le emissioni di gas serra, può diventare pericoloso per il futuro dell’allevamento.
L’ammonimento di Wageningen
L’Università di Wageningen è stato il primo centro scientifico – seguì poi anche l’Università Cattolica di Piacenza – a studiare l’impatto reale che le politiche green ipotizzate dalla Commissione europea a trazione von der Leyen avrebbero avuto sulla produzione in campo.
Perché un conto è auspicare un taglio nell’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi, un altro è avere ben chiara la situazione che una simile restrizione potrebbe avere sulle rese in campo, sui livelli di autoapprovvigionamento e sulla necessità di importare beni alimentari da fuori Europa, con aumento delle emissioni ambientali legate a logistica, trasporti industria, che messe insieme pesano molto di più dell’agricoltura.
E sul punto il verdetto degli studiosi di Wageningen erano stati inappellabili: il Green Deal, con l’ambizioso scopo di tagliare pesticidi, fitofarmaci ed emissioni, avrebbe falcidiato le produzioni agricole, facendole arretrare pericolosamente per un continente come l’Europa, non sempre autosufficiente dal punto di vista alimentare.