È un presente incerto quello che attraversano gli allevatori di bovini da carne, offuscato da prezzi di mercato talvolta al di sotto dei costi di produzione, mancato dialogo fra gli attori della catena di approvvigionamento e un’autosufficienza che per l’Italia è scesa pericolosamente al 42%, perdendo oltre 16 punti percentuali dal 2019 al 2022 (fonte: Teseo), come è emerso a Castel Goffredo, provincia di Mantova, nel corso dell’assemblea annuale del Consorzio Lombardo Produttori di Carne Bovina. All’assemblea ha preso parte anche l’assessore regionale all’Agricoltura, Alessandro Beduschi.
Allo stesso tempo, le proiezioni a livello mondiale – illustrate da Marika De Vincenzi del Team di Clal – evidenziano una domanda in crescita dell’1% per l’anno in corso, con un’offerta in diminuzione dello 0,3% su scala globale. Numeri che, almeno in linea teorica, potrebbero mantenere elevati i prezzi di mercato, purtroppo controbilanciati da costi di produzione in crescita.
Fatto sta che “il settore è in sofferenza e il rischio è che si scendano ancora altri gradini lungo la direzione della perdita di autosufficienza”, lancia l’allarme Primo Cortelazzi, presidente del Consorzio Lombardo Produttori di Carne Bovina, 400 allevatori iscritti e una produzione annua di circa 140mila bovini da carne.
Secondo Rigamonti
Un paradosso, in una fase in cui il consumo mondiale di carne aumenterà del 14% da qui al 2030 e la produzione di carne crescerà del 5,8%, secondo le Nazioni Unite. “L’industria ha bisogno di indicazioni utili, da parte della filiera, per poter garantire la migliore offerta possibile al consumatore – tende la mano Claudio Palladi, vice presidente e amministratore delegato di Rigamonti, una delle realtà più importanti in Italia -. Bisogna assolutamente rilanciare la produzione in Italia con un progetto condiviso e, magari, puntando su nuovi prodotti, che potrebbero restituire redditività in una fase in cui c’è interesse da parte del consumatore verso le proteine nobili”.
Vietato, dunque, in un mercato in cui la richiesta di proteine nobili è elevata, “vendere la carne come commodity”.
E il Made in Italy, anche in questo campo ritenuto uno dei punti di forza e una garanzia di sicurezza, sarà una leva da muovere.
Sul tema, peraltro, il ceo di Rigamonti è convinto che si possa avviare un dialogo costruttivo con l’industria. “L’illusione di acquistare carne all’estero a prezzi bassi non durerà – sostiene -. E l’allevamento intensivo, se ben gestito, è la soluzione per garantire produzioni di livello e redditività. Quello che servono sono accordi di filiera, fino ad oggi inesistenti, ma che personalmente ritengo possibili”.
Coop Italia, Coldiretti
Massima disponibilità per un dialogo di filiera anche da parte di Alessandro Torre, buyer di carni bovine di Coop Italia, per il quale “il 35% della mezzena del bovino va negli elaborati, dove ricerca e sviluppo viene dettata dalla grande distribuzione per cercare di valorizzare quei tagli che non riusciamo a valorizzare a banco. Oggi abbiamo bisogno di essere supportati per valorizzare tutte le referenze necessarie per il punto vendita”.
Il settore della zootecnia da carne, secondo il presidente di Coldiretti Mantova, Paolo Carra, “sta vivendo un paradosso di mercato, in quanto ha perso una parte significativa della produzione, senza tuttavia avere recuperato competitività sul mercato, come è accaduto invece per il comparto dei suini. È quindi positivo il percorso che il Consorzio Lombardo Produttori di Carne Bovina ha iniziato a percorrere, individuando progettualità e strategie per valorizzare un prodotto che ha ancora appeal sul mercato, a partire dall’italianità e dalla tracciabilità. Allo stesso tempo, è necessario poter contare sulla collaborazione delle istituzioni, per snellire una burocrazia che non solo è lenta, ma talvolta è anche pigra, come nel caso della mancata indicazione delle razze nella documentazione degli animali allevati”.
L’assessore lombardo
Assist recepiti dall’assessore lombardo all’Agricoltura e Sovranità alimentare, Alessandro Beduschi. “Non è possibile – ammette l’assessore Beduschi - che in Italia si perda autosufficienza su una produzione cruciale come la carne bovina, che rappresenta cultura, storia, tradizione produttiva e che ci vede comunque interessati, come hanno dimostrato i dati presentati da Teseo sui consumi retail di carni fresche”, dove la carne bovina rappresenta il 28% di share, davanti anche alla carne suina fresca al 26% e al prosciutto cotto al 17 per cento.
“Regione Lombardia si farà carico di convocare la filiera e discutere un percorso di rilancio, magari coinvolgendo il ministero dell’Agricoltura e Sovranità alimentare, potendo contare sulla disponibilità del ministro Lollobrigida”, rassicura Beduschi.
L’indagine Clal: nel mondo
Una domanda mondiale in crescita (+1%) nel 2023, secondo le previsioni del Dipartimento di Agricoltura degli Stati Uniti elaborati da Clal, e un’offerta in flessione (-0,3%), potrebbero forse contribuire a garantire un equilibrio dei prezzi che - date le dinamiche - potrebbe attestarsi su un terreno positivo. Stati Uniti e Unione europea, in termini di produzione di carni bovine, secondo le elaborazioni di Clal dovrebbero essere le due aree in cui si registra una flessione in volume.
“A livello mondiale - spiega Marika De Vincenzi di Clal - l’area che appare più deficitaria in termini di autosufficienza di carni bovine è l’Asia. La Corea del Sud, infatti, presenta una un tasso di autosufficienza pari al 38%, il Giappone presenta un livello di autoapprovvigionamento del 39%, la Cina si colloca al 68 per cento. Dall’altra parte dell’oceano, gli Stati Uniti appaiono in equilibrio con le produzioni, presentando un tasso di autoapprovvigionamento pari al 98 per cento. Argentina e Brasile, due Paesi fortemente orientati all’export di carne bovina, producono più del loro fabbisogno, con l’Argentina al 136% di autosufficienza e il Brasile al 139 per cento. Anche l’Unione europea si colloca su un quadrante positivo, presentando un tasso del 103 per cento”.
L’indagine Clal: la Ue
Il caso dell’Unione Europea è emblematico, perché rappresenta ovviamente una media di diversi volumi produttivi da Stato a Stato. Sebbene il tasso di autosufficienza delle carni bovine nel 2022 si sia assestato come detto al 103%, vi sono enormi differenze fra paesi. L’Irlanda presenta un tasso di autosufficienza del 549% (con un export fortemente orientato verso il Regno Unito), la Francia si colloca al 139%, la Spagna al 115%, la Germania al 105%. In sostanziale equilibrio il Belgio (99%) e i Paesi Bassi (98%). L’Italia si colloca al 42%, presentando un deficit produttivo fra i più alti dell’Unione europea, insieme alla Grecia.
“Nel corso del 2022 - specifica Marika De Vincenzi - il patrimonio bovino complessivo dell’Unione europea è diminuito di 850.000 capi. L’Italia ne ha persi 230.000 rispetto al 2021, attestandosi a 6.049.000 capi”.
I numeri dell’Ue-27 evidenziano anche una flessione dei bovini macellati: -380.000 capi. Solamente scottone e vitelloni da 12 a 24 mesi presentano un lieve aumento. Per tutte le altre voci (vacche, tori, vitelli fino a 8 mesi, vitelloni da 8 a 12 mesi), il trend di macellazione è negativo.
A livello comunitario scende anche il numero di vacche macellate, passato dal 2021 al 2022 da 6.513.000 animali abbattuti a 6.401.000. L’Italia, con riferimento agli ultimi dati disponibili (riferiti al gennaio 2023) si colloca in controtendenza. Mentre Francia e Germania aumentano le macellazioni di vacche rispettivamente del 4% del 6,3% l’Italia ha ridotto il numero di vacche macellate del 6,7 per cento.
Al contrario, in un contesto europeo che vede diminuire il numero di vitelli macellati, passati da 4.144.000 capi a 4.088.000 capi (dato 2022), l’Italia nel gennaio 2023 ha incrementato le macellazioni dell’1,70%, con la buona compagnia dell’Olanda, che ha macellato il 4,8% in più di vitelli rispetto allo stesso mese del 2022.
Anomalia italiana, di nuovo, anche per le scottone macellate. I dati dell’Unione europea segnano un incremento delle macellazioni, mentre l’Italia nel gennaio 2023 ha ridotto le macellazioni del 14,3%.
A livello di commercio internazionale, nel 2022 l’export di bovini vivi dall’Unione europea è sceso del 7,2%, proseguendo un trend negativo innescato a partire dal 2019.
Negativo anche l’export di carni bovine, che diminuisce dell’8,5% rispetto al 2021. Il Regno Unito rappresenta di gran lunga il primo Paese di destinazione, seguito da Bosnia, Filippine, Costa d’Avorio, Ghana, Svizzera e Hong Kong, destinazioni, par di capire, a basso reddito pro-capite (ad eccezione di Svizzera e Hong Kong).
L’indagine Clal: l’Italia
Da un tasso di autosufficienza del 58,7% raggiunto nel terzo trimestre 2019, il nostro Paese ha perso terreno, toccando il punto minimo di autosufficienza con il 39,4% segnato nel terzo trimestre del 2022, con una media annuale del 2022 dello scorso anno fissata come già detto nel 42 per cento.
Le prime tre regioni produttive in Italia (Piemonte, Veneto, Lombardia) da quattro anni a questa parte (periodo 2018-2022) registrano una diminuzione della consistenza degli allevamenti di bovini (intesi come orientamento latte, carne e misto). In particolare, il Veneto ha perso 6.200 allevamenti, il Piemonte 1.170, la Lombardia 2.600.
Soffermandosi, invece, sui capi bovini dei soli allevamenti da carne, guida la classifica numerica il Piemonte con 494.701 capi, seguito da Veneto (465.820 capi), Lombardia (321.125), Sicilia (248.215), Sardegna (202.616 capi).
Trend in crescita per le importazioni di bovini vivi in Italia. I numeri elaborati da Clal segnano un incremento nel 2022 del +21,7% rispetto all’anno precedente, a conferma di una tendenza positiva innescata già a partire dal 2020, e questo benché il prezzo medio delle importazioni sia passato da 2,65 €/kg per giovenche superiori ai 300 kg agli attuali 3,32 €/kg.
In diminuzione (-0,1%), invece, le importazioni di carni bovine, con Polonia, Francia e Paesi Bassi che rappresentano i primi fornitori dell’Italia.
In calo, secondo la ricerca di Clal, anche le esportazioni di carni bovine dall’Italia: -2,4% nel 2022.
In un derby ideale con i cugini francesi, che rappresentano i nostri primi fornitori assoluti di bovini vivi e i secondi fornitori di carni bovine, l’Italia esce sconfitta in termini di prezzi. C’è infatti un divario di 117 €/ton e di 103 €/ton per i prezzi delle carcasse dei vitelli, tutto a vantaggio, evidentemente, dei francesi (dati considerati: aprile 2023).
Quanto ai consumi domestici di carne bovina del periodo dicembre 2022-febbraio 2023 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, i dati di Clal pongono l’accento sul fenomeno inflattivo, confermato da una diminuzione delle quantità acquistate (-4,5%) rispetto a valori in crescita del 5,5%. Si mangia meno carne, ma si paga di più. E forse una lettura più corretta potrebbe essere “si mangia meno carne, perché si paga di più”.
La ricerca di Clal risulta particolarmente utile per gli allevatori e la filiera, in quanto propone un pay-out che permette di analizzare i costi di produzione. Dall’analisi elaborata con l’aiuto degli allevatori, emerge un costo medio giornaliero teorico per ottenere una scottona da 350 a 530 kg di 4,45 €, contro un prezzo di mercato di 3,86 €/kg (prendendo a riferimento i valori dei listini di fine marzo 2023).