Costi di produzione e quotazioni hanno smesso di crescere, ma sono di gran lunga ancora al di sopra dei livelli di due anni fa. L’industria ha sempre cercato di limitare l’aumento dei listini e lo ha fatto incidendo pochissimo sulla borsa della spesa degli italiani. Ha sempre cercato, però, di mantenere i livelli produttivi. L’export ha continuato, di contro, a dare soddisfazioni. Ecco inquadrata, a grandi linee, la congiuntura del settore lattiero caseario, secondo Paolo Zanetti, presidente di Assolatte, l’associazione delle industrie di trasformazione del latte.
Come commenta l’inversione di tendenza dimostrata a gennaio nel prezzo medio del latte Ue che per la prima volta in un anno si è mostrato in lieve flessione?
Mi pare davvero prematuro parlare d’inversione di tendenza. È vero che costi di produzione, quotazioni e prezzi hanno smesso di crescere e in alcuni casi hanno mostrato una flessione, ma restano di gran lunga superiori a quelli di due anni fa. Soprattutto, continuano a manifestare una forte volatilità. Bisogna stare alla finestra per capire se sono movimenti di assestamento, pause, o cambiamenti di tendenze.
Anche il prezzo del latte spot in Italia è in frenata. Come si spiega?
Anche in questo caso siamo di fronte a una situazione difficile da interpretare, il mercato è tutto fuorché stabile. Anche lo spot resta su livelli molto più elevati del passato, quindi non me la sento di parlare d’inversione di tendenza. Un fatto, però, è certo: è difficilissimo fare impresa con questo quadro di riferimento.
Alcuni costi dei fattori di produzione, come, ad esempio, quello dell’elettricità, si stanno abbassando. Quali sono gli effetti sull’industria lattiero-casearia?
Prevalgono cautela e preoccupazioni. Ci sono stati cali in alcuni fattori produttivi, ma dopo incrementi che per oltre un anno sono stati esponenziali. È difficile parlare di “cessato pericolo” con i costi che restanosu livelli che le imprese faticano a fronteggiare. La quotazione del gas a dicembre era ancora quasi 5 volte quella di inizio 2021; il cartone manteneva un costo doppio e pallet e plastica sperimentano un rincaro di minimo il 30%.
Quali sono le strategie dell’industria per compensare l’aumento dei listini e il probabile decremento dei volumi? Possiamo fare un bilancio sull’andamento del 2022?
Ci siamo tutti sforzati di mantenere i livelli produttivi e di limitare gli aumenti dei nostri listini, con grandi difficoltà a trasferire a valle gli aumenti che abbiamo sopportato e che stiamo ancora sopportando. Le rilevazioni di fine anno e di inizio 2023 certificano un calo degli acquisti domestici e dei consumi. Credo che dipenda più dal clima generale di preoccupazioni che dal reale impatto dei nostri aumenti. Quel che abbiamo trasferito incide per pochi euro al mese. Per fortuna, l’export continua a tirare, dando una mano alla filiera che ha potuto mantenere i livelli produttivi del 2021.
Com’è oggi la domanda di latte in Italia secondo l’osservatorio di Assolatte? Sta aumentando o sta calando?
La domanda di latte italiano è stabile con un’offerta sostanzialmente costante. Anzi, le prime settimane del 2023 lanciano segnali di ripresa. Si confermano in calo, invece, le importazioni di latte, sia quello per il consumo (-3%) che quello destinato a trasformazione (-10%).
Quali gli obiettivi raggiunti in sede di accordi bilaterali dell’Ue?
Siamo attentissimi a tre priorità: la tutela delle Indicazioni geografiche e del made Italy, i dazi con i contingenti tariffari, le barriere non tariffarie. Il fatto che la Commissione europea, in qualsiasi negoziato, ponga come condizione necessaria la stipula di un protocollo di intesa su Dop e Igp, è un risultato impensabile fino a una decina di anni fa. Le nostre principali denominazioni casearie sono riconosciute e tutelate in tutti i Paesi con i quali sono stati siglati accordi: Canada, Cina, Giappone, Corea del Sud, Svizzera e Regno Unito. Il percorso cominciato è molto importante e deve essere un punto di forza anche nei confronti di quelle intese che suscitano perplessità. È il caso dell’accordo in corso di ratifica con la Nuova Zelanda, mercato troppo piccolo, ma grande competitor dell’Ue nella produzione ed export di latte e derivati.
Quali sono i progetti in corso sulla sostenibilità?
Molte imprese avviano iniziative, spesso anche certificate. Vi sono progetti sull’approvvigionamento energetico che utilizzano biogas, pannelli fotovoltaici e impianti di cogenerazione. Vengono migliorate le metodologie di misurazione delle emissioni di CO2 che impegnano le imprese in progetti di compensazione in Italia e nel mondo. Vengono razionalizzati i consumi idrici con il riutilizzo dell’acqua della concentrazione del siero. Depuratori biologici a fanghi si occupano, poi, di depurare le acque di lavorazione destinate anche come fertilizzante in agricoltura. Sostenibili sono anche i packaging a spessore ridotto, con plastica riciclata o pienamente compostabili.
La sostenibilità non deve essere solo ambientale
In tema di sostenibilità va fatta una specifica. «Non può essere solo – ha ricordato il presidente di Assolatte – ambientale. Sono essenziali anche le dimensioni di sostenibilità sociale ed economica, così come l’attenzione alla sicurezza dell’alimento e alla salute del consumatore. Qualsiasi rivoluzione verde deve sapersi conciliare con questi altri, fondamentali, aspetti. Un esempio: siamo favorevoli e operiamo costantemente ai fini di ridurre l’utilizzo della plastica, ma allo stesso tempo non ci dimentichiamo che il packaging svolge una funzione essenziale per garantire la sicurezza e la shelf-life dei nostri prodotti».
Le spedizioni all’estero ancora in crescita nel 2022
Sono appena usciti i dati sull’export di novembre. «Abbiamo, quindi, un quadro quasi completo del 2022, alla luce del quale possiamo confermare che – ha precisato il presidente di Assolatte – l’estero continua a dare soddisfazioni e a trainare lo sviluppo del settore. Il 2021 è terminato con 535mila tonnellate esportate. Nel 2022 oltrepasseremo le 550mila tonnellate, sfondando il tetto dei 4 miliardi di euro. Diversi Paesi hanno raggiunto volumi record; tra di essi spiccano la Spagna (+19%) - divenuta il nostro terzo mercato in area Ue, la Francia (+12%), l’Olanda (+14%), la Polonia (+17%) e la Svezia. In area extra-Ue, invece, osserviamo volumi da primato e tassi di incremento compresi tra il 20% e il 30% in Canada, Giappone, Cina e Arabia Saudita».
Entrando nel dettaglio delle tipologie di formaggi le statistiche diffuse da Istat fino a novembre 2022 mostrano che complessivamente, nei primi undici mesi del 2022, sono state esportate 523.446 tonnellate (+7% su gennaio-novembre 2021) per un controvalore che supera i 4 miliardi di euro (+19% sul 2021).
In particolare, le spedizioni all’estero di Grana Padano e Parmigiano Reggiano sono cresciute in volume del 4% (+8% in valore), quelle di Gorgonzola del 3% (+16% in valore) e della Mozzarella dell’8% (+30% in valore). A tutto sprint l’export di ricotta, burrata e altri prodotti freschi che mettono a segno un incremento del 10% (+32% in valore). Bene anche mascarpone con +10% (+31% in valore), e Taleggio con +3% (+13% in valore), crescenza, Robiola e gli altri formaggi molli in progresso dell’1% (+13% nel dato in valore).
Performance negative (ma limitatamente alle sole quantità esportate) si registrano ancora per Pecorino Romano -5% (+19% in valore), Asiago, Caciocavallo, Montasio e Ragusano -6% (+7% in valore) e Provolone -5% (+6% in valore). La bilancia commerciale dei formaggi da gennaio a novembre 2022 ha chiuso con un saldo positivo di 1,7 miliardi di euro.