Secondo anno da incorniciare per la produzione mangimistica italiana. Nonostante il persistere delle difficoltà legate alla pandemia, nel 2021 il settore mangimistico ha toccato, per il secondo anno consecutivo, un picco storico di produzione: superati i 15 milioni e mezzo di tonnellate. A renderlo noto è Assalzoo (Associazione nazionale tra i produttori di alimenti zootecnici), in occasione dell’assemblea annuale.
Nel 2021 (vedi tabella) è continuata la tendenza al rialzo dei livelli produttivi rilevata negli anni precedenti. Dagli stabilimenti sono usciti 15 milioni e 625 mila tonnellate di alimenti per animali, con un incremento del 3,8% rispetto al 2020, anno che aveva già fatto segnare un altro importante aumento del 2,7%.
Ha fatto notare Michele Liverini, presidente reggente di Assalzoo: «Nonostante i gravissimi effetti prodotti della crisi pandemica, a cui si è aggiunto il conflitto tra Ucraina e Russia, l’industria mangimistica italiana è stata in grado di aumentare i volumi prodotti e di consentire alla zootecnia nazionale di continuare a garantire le sue produzioni e a soddisfare il fabbisogno alimentare del Paese».
Anche il fatturato, ha precisato Assalzoo, ha fatto registrare un considerevole rialzo. Il giro di affari del comparto in Italia sfiora adesso i 9,7 miliardi di euro (+21%) di cui 6,5 miliardi per i mangimi, 1,1 miliardi per le premiscele e 2 miliardi per il pet-food, tutti valori in crescita rispetto al 2020.
A spingere in alto il fatturato è stato anche l’aumento dei prezzi alla produzione, la cui variazione media tra il 2020 e il 2021 è stata di ben il 42%. Quest’impennata si spiega se si considera l’incremento delle quotazioni delle materie prime utilizzate per i mangimi, un fenomeno che persiste nel 2022 e che continua a preoccupare tutta la filiera agro-zootecnica.
Assalzoo fa sapere inoltre che nonostante l’atto di responsabilità del settore mangimistico nei confronti della filiera zootecnica in generale e degli allevatori in particolare, si tratta di una situazione che perdura ormai da troppo tempo e che non può più essere sopportata dalle aziende mangimistiche, ormai giunte nella condizione di non poter più compensare i sempre maggiori costi di produzione.
Presto il settore sarà costretto a riversarli a valle per non mettere in pericolo la propria sopravvivenza.
Come accaduto nel 2020, infine, le imprese dell’industria mangimistica hanno contenuto gli acquisti in capitale. Il livello degli investimenti fissi lordi si è ridotto ancora passando da 100 milioni a 90 milioni di euro (era di 110 milioni nel 2019). Stabile il numero di occupati nel settore: 8.300 unità come nell’anno precedente.