Più di 2 miliardi di danni. Partiamo da qui per comprendere l’impatto drammatico che la pandemia ha avuto su una filiera strategica per tutto l’agroalimentare italiano, come la zootecnia. La chiusura prolungata del canale della ristorazione ha messo in ginocchio centinaia di allevatori in tutto il Paese, penalizzando le produzioni di migliore qualità.
È tempo di programmare la ripartenza e il rilancio, partendo dalla priorità principale che è quella di tutelare il reddito di chi alleva i nostri animali. Da questo punto di vista dobbiamo usare tutte le leve possibili, sapendo che nei prossimi mesi si decideranno i prossimi dieci anni del Paese e dell’Europa.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza con 6,8 miliardi di euro destinati all’agroalimentare, la nuova Politica agricola comune post 2023 che vale 7 miliardi di euro all’anno per l’Italia, le auspicate riforme per il nostro Paese. Sono alcuni degli elementi che dovranno assicurare al nostro comparto zootecnico non solo di superare la fase critica, ma di trovare i giusti mezzi per programmare il futuro.
Perché un futuro senza zootecnia non è pensabile. Non lo è proprio pensando alla sostenibilità della nostra agricoltura, alla tenuta sociale, ambientale ed economica delle nostre aree interne, dove l’allevamento rappresenta una delle più importanti voci di produzione.
Serve reciprocità
Ecco allora che la sfida che abbiamo davanti è quella di promuovere il modello zootecnico italiano, farlo migliorare, accettare e vincere la competizione internazionale ad armi pari.
Siamo i primi a volere migliorare le imprese in termini di impatto ambientale, di impronta di carbonio, di benessere animale. Serve reciprocità, però, perché rifiutiamo l’idea che si consenta l’importazione di carni meno sostenibili dall’estero o magari fatte in laboratorio e si lascino chiudere le imprese di allevamento.
Alcuni passaggi della strategia “Farm to fork”, sono frutto di una mancanza di analisi di impatto e della proposta di scenari credibili. Non è un’opposizione ideologica, ma di valori e basata su dati.
Pensiamo al potenziale rischio dell’accordo con il Mercosur che consentirebbe alle carni brasiliane provenienti da aree deforestate dell’Amazzonia di arrivare più facilmente in Europa. Pensiamo ai dati della ricerca della Oxford Martin School, dell’Università di Oxford, che dimostra che sul lungo periodo la carne sintetica produce più emissioni di anidride carbonica anche dei sistemi di allevamento extraeuropei meno sostenibili.
E iniziamo a smentire le notizie false con cui si vuole demonizzare a tutti i costi un’intera filiera. Ad esempio sulle emissioni, in Italia l’Ispra ha certificato che solo il 5% delle emissioni è legato al sistema zootecnico. Un dato molto inferiore alla media mondiale, a dimostrazione che gli allevamenti italiani hanno già da molto tempo iniziato a investire su sostenibilità e benessere animale.
Bisogna proseguire su questa strada. Per questo Coldiretti e Filiera Italia stanno già lavorando su nuovi progetti di investimento per la zootecnia sostenibile che potranno contribuire al grande sforzo di ripresa del Paese attraverso le risorse europee di Next generation Eu e il Recovery Plan.
In un periodo difficile per l’economia e l’occupazione occorre intervenire con decisione per impedire le pratiche commerciali sleali, che si sostanziano nel riconoscimento agli allevatori di prezzi inferiori ai costi medi di produzione mentre la spesa per le materie prime per il foraggio degli animali invece è in crescita. Il modello dei contratti di filiera in questo senso dovrà essere sempre più valorizzato, così come vanno concretizzati gli investimenti su biogas, biometano e gestione dei reflui.
Una zootecnia ancor più sostenibile
Nella stessa direzione va il patto tra Coldiretti e le Regioni dell’area padana per ridurre l’inquinamento da polveri sottili promuovendo progetti di economia circolare da inserire nel Recovery plan e in un piano nazionale per la transizione ecologica. Così come dovremo tutti impegnarci per rendere la nuova Pac un’occasione di semplificazione e competitività.
Molto dipenderà dal Piano strategico nazionale, che a nostro avviso dovrà avere un focus dedicato alla zootecnia. È importante ad esempio tradurre gli obblighi derivanti dagli ecoschemi del primo pilastro in concrete azioni di miglioramento del benessere animale che siano riconosciute dal mercato e adeguatamente sostenute con risorse pubbliche.
Lo stesso vale per le misure dello sviluppo rurale che possono aiutare a fare quel passo in avanti tecnologico e innovativo nelle nostre stalle.
Un altro aspetto che abbiamo apprezzato della riforma è la condizionalità sociale. Si tratta di una scelta di campo e di valori. Crediamo sia giusto premiare chi rispetta fino in fondo i diritti dei lavoratori e penalizzare chi sfrutta, eliminando anche una insopportabile concorrenza sleale. I nostri allevamenti sono uno spazio di lavoro sicuro, dove l’integrazione anche culturale è una pratica quotidiana.
È tempo di accompagnare con giuste risorse questo percorso e tagliare quanta più burocrazia possibile. Una zootecnia ancora più sostenibile è possibile, noi la stiamo già realizzando. È importante che anche a Bruxelles se ne rendano conto.
Prandini, zootecnia pilastro dell’agricoltura post Covid
Nuova Pac e Recovery plan sono occasioni da non perdere per tutelare il reddito degli allevatori italiani