Nell’alimentazione della vacca da latte un corretto bilanciamento tra foraggi e concentrati consente di soddisfare i fabbisogni giornalieri nel rispetto delle funzionalità ruminali e digestiva. Ma quale è il giusto rapporto foraggi/concentrati (F:C)?
Questo rapporto varia in funzione di differenti caratteristiche delle bovine (stadio di lattazione, razze allevate), dei foraggi (qualità dei foraggi, materie prime impiegate) e dei sistemi di allevamento (ambiente d’allevamento, sistema di allevamento intensivo/estensivo).
Anche la destinazione di trasformazione del latte influisce sul rapporto F:C, in quanto i differenti disciplinari produttivi, dop e non, forniscono indicazioni molto chiare. Nel disciplinare del Grana Padano dop e Trentingrana dop, ad esempio, non meno del 50% della sostanza secca deve essere apportata da foraggi, quindi con un rapporto foraggi-concentrati non inferiore a 50:50, di cui almeno il 75% di produzione aziendale.
Tali parametri di riferimento vengono riportati anche nel disciplinare del Parmigiano Reggiano dop, con l’esclusione dell’utilizzo di foraggi insilati. Nell’alimentazione delle vacche in regime biologico, la quota di foraggi in razione deve rappresentare non meno del 60% sulla sostanza secca ingerita. Nella stg (Specialità territoriale garantita) Latte e Fieno, l’utilizzo dei foraggi si fa ancora più regolamentato, in quanto questi devono rappresentare non meno del 75% della sostanza secca ingerita. In questo caso, il rapporto F:C non potrà essere inferiore a 3:1.
Per quanto riguarda le produzioni al di fuori dei disciplinari dop, stg o biologici, non vi sono obblighi restrittivi sul rapporto F:C in razione.
Nella pratica, si considerano tre situazioni tipiche: rapporto bilanciato (F:C = 50:50), maggior concentrazione di foraggio a discapito dei concentrati o la situazione inversa, con una prevalenza di mangimi concentrati.
Se più foraggi meno Ecm latte
Diverse ricerche hanno confrontato razioni a bassa ed alta inclusione di foraggio e verificato gli effetti che il cambiamento di tale rapporto ha sulla produzione e qualità del latte, sull’efficienza alimentare e sulla digeribilità delle diete.
Uno degli effetti che si manifesta all’aumentare della quota dei foraggi in razione a discapito dei concentrati, a parità di fase di lattazione e merito genetico, è la riduzione della produzione di latte espressa come kg di latte oppure di Ecm (Energy Corrected Milk) (Lil et al 2020, Yang et al 2001).
Il calo degli Ecm prodotti è dovuto al contemporaneo calo produttivo di latte e della percentuale di proteina e lattosio (Yang et al 2001, Aguerre et al 2011). Il calo produttivo è spesso giustificato da una minor concentrazione energetica della dieta somministrata, con una diminuzione della quantità di concentrato ingerito giornalmente.
Il valore di Fcm (latte corretto al 4% di grasso), invece, non subisce significative variazioni, in quanto con l’aumentare della percentuale di inclusione dei foraggi nella dieta vi è un aumento della percentuale di grasso nel latte (Neve et al. 2013, Yang et al 2001), dovuto ad uno spostamento delle fermentazioni ruminali verso la produzione di acetato, il principale precursore del grasso presente nel latte.
Sostanza secca, efficienza, digeribilità
L’ingestione di sostanza secca giornaliera tende a diminuire all’aumentare del rapporto F:C a causa di un maggior ingestione di NDF da foraggio che genera un maggior effetto ingombro a livello rumino-reticolare della dieta, limitando così la capacità d’ingestione dell’animale (fill effect) (Ferraretto et al. 2013).
Per quanto riguarda l’efficienza alimentare, abbiamo valori tendenzialmente più elevati quando le razioni presentano una maggior quota di concentrati rispetto ai foraggi, considerando sia il latte tal quale che valutato come Ecm o Fcm.
Anche la digeribilità dei singoli nutrienti si modifica con il variare del rapporto F:C sia nel valore totale (Total tract digestibility), sia nei singoli comparti del tratto gastro-intestinale dei ruminanti (rumine ed intestino). Al contrario, alcune prove (Lil et al 2020) mostrano come la digeribilità ruminale della sostanza organica non si modifichi tra diete ad alto e basso rapporto F:C (35:65 vs 60:40).
In razioni ad alto rapporto F:C la digeribilità ruminale dell’NDF tende a migliorare, al contrario di quanto accade per l’amido (Ueda et al 2003). Tale modificazione è probabilmente da imputare ad un ambiente ruminale con valori di pH più elevati e quindi favorevole all’attività di degradazione della fibra ad opera dei batteri cellulosolitici.
Nel rumine: azoto, pH, metano
Anche l’efficienza dell’utilizzo di azoto nel rumine si modifica col variare del rapporto F:C. Diversi studi (Lil et al 2020, Khorasani et al., 2001; Yang and Beauchemin, 2007) riportano che al crescere dell’inclusione di foraggi in razione si riduce la quantità di azoto che arriva al duodeno e l’efficienza di utilizzo dell’azoto microbico da parte della vacca.
L’ambiente ruminale inoltre si modifica anche per il livello di pH. Infatti, il pH si innalza per effetto della maggior ingestione di NDF da foraggio (Lil et al 2020). Tuttavia, altri studi non evidenziano una modificazione del pH ruminale in funzione del rapporto F:C (Yang et al 2001). Per quanta riguarda la produzione di metano a livello ruminale, alcuni studi (Aguerre et al 2011) mostrano che all’aumentare della quota di foraggio aumenta la produzione di metano espressa in grammi/vacca/giorno, ma la quota di metano emessa per kg di NDF ingerita si mantiene costante indipendentemente dal rapporto F:C.
Una sperimentazione della Cattolica
All’interno delle recenti prove svolte presso il Dipartimento di Scienze Animali, della Nutrizione e degli Alimenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza presso la stalla sperimentale Cerzoo srl, sono state impiegate per esigenze sperimentali due diete (Tabella 1) molto diverse per formulazione e inclusione degli ingredienti: una dieta sperimentale a maggiore contenuto di insilati e minore energia (silomais+silomedica che rappresentavano il 70% della sostanza secca ingerita) ed una dieta standard (silomais, che rappresentava il 45% della sostanza secca ingerita).
Gli stessi animali hanno ricevuto dapprima la razione standard (Periodo 1), poi tale razione e quella a maggior inclusione di insilati e minore energia in momenti successivi (Periodo 2), e sono poi tornati a ricevere la dieta standard (Periodo 3).
E’ interessante notare che, nel medio periodo, più foraggi insilati non hanno ridotto l’ingestione (Figura 2), ma non hanno migliorato la produzione di latte (Figura 1), peggiorando quindi l’efficienza. Tuttavia tornando alla razione con meno foraggi insilati le variazioni indicano un aumento produttivo, con un lieve calo dell’ingestione, per cui l’efficienza è aumentata in modo importante.
Al di là degli aspetti legati al contenuto energetico della razione, alla sua capacità di ingombro nonché allo stato metabolico-nutrizionale degli animali (in bilancio energetico positivo e in una fase di lattazione avanzata), la ricerca ha evidenziato che gli animali con la migliore conversione degli alimenti nella prima fase sono stati quelli che mostrato una migliore efficienza alimentare nei periodi successivi, in modo particolare nel periodo 2, quando veniva loro somministrata una dieta ad alta inclusione di insilati (figura 3).
Più incisive genetica e microflora ruminale
Questi dati suggeriscono dunque che l’efficienza di conversione alimentare dipende non solo da fattori di carattere nutrizionale oppure dal rapporto F:C, cambiato, seppur di poco, passando dalla dieta standard a quella sperimentale (50:50 ve. 55:45).
Più che il cambio di dieta, fattori legati all’animale (ad es. fattori genetici e probabilmente caratteristiche della microflora ruminale) sembrano maggiormente responsabili della diversa efficienza nella conversione degli alimenti. Infatti gli animali sono stati allevati in una stalla sperimentale a stabulazione fissa, dove tutte le condizioni ambientali erano controllate e standardizzate, e le caratteristiche fisiologiche principali erano le stesse (stato di ingrassamento, fase di lattazione, n° di lattazioni).
Da questa osservazione nascono alcune considerazioni legate al fatto che il miglioramento genetico dovrebbe essere sempre più indirizzato alla selezione di animali in grado di convertire in modo opportuno gli alimenti in latte.
Un aspetto ancora poco studiato è anche la relazione fra microflora ruminale ed organismo ospite, sia dal punto di vista genetico che riguardo alla potenzialità di questi microrganismi di sfruttare meglio gli alimenti disponibili, a prescindere dall’ambiente nel quale si trovano.
Concludendo, modificare la tipologia di razione, l’apporto di energia con i concentrati oppure il rapporto foraggi concentrati ad un gruppo di bovine in lattazione porta a diversi effetti anche inattesi.
Tra questi vi è una modificazione delle dinamiche di fermentazione e digestione nel sistema gastro-intestinale, sia a livello ruminale che intestinale.
Anche le performance si modificano come produzione di latte tal quale, ma soprattutto cambia l’efficienza alimentare per la conversione della sostanza secca ingerita in latte.
Una dieta bilanciata tra foraggi e concentrati, senza eccessi di uno o dell’altro, permette di mantenere un buono stato di salute dell’animale, una buona digeribilità degli alimenti somministrati e redditività in termini di produzione ed efficienza alimentare, riducendo la quota di energia utilizzata per il mantenimento e di conseguenza anche lo spreco di nutrienti.