Parmigiano Reggiano, Deserti: “La redditività c’è, anche per l’allevatore”

Il direttore del consorzio di tutela propone una interpretazione di scenario del buon momento di mercato che sta vivendo il formaggio dop

 

Così come per gli allevatori della filiera Grana Padano, anche per quelli che producono latte destinato alla trasformazione in Parmigiano Reggiano la redditività è buona, grazie al buon momento di mercato. Lo sottolinea Riccardo Deserti, direttore del consorzio di tutela del formaggio dop.
D’altra parte mentre Ismea parla di costi di produzione, per l’allevatore del Parmigiano, intorno ai 60 centesimi per kg latte, informazioni off the record provenienti direttamente dalle aziende zootecniche del comprensorio parlano di ricavi unitari, alla
stalla, situati intorno ai 75-80 centesimi.

Riccardo Deserti, direttore del consorzio di tutela del
formaggio dop

Dunque, direttore Deserti, anche nel caso degli allevatori del Parmigiano Reggiano stiamo vivendo un momento soddisfacente…
Certo, si può dire che in questo periodo si è raggiunto un buon equilibrio tra costi e ricavi. Anche se devo ricordare che una buona parte dei nostri allevatori lavora in montagna, dove i costi di produzione sono maggiori. E che nel 2022, con l’inflazione d’agosto, siamo arrivati anche a toccare costi superiori ai 70-75 centesimi. Però possiamo dire che negli ultimi due anni c’è stato un riassorbimento di questi picchi dei costi, un riassorbimento non totale, perché i costi non sono tornati a quelli precedenti alla guerra Ucraina-Russia, ma sicuramente c’è stato un miglioramento.

E in prospettiva?
Magari si può dire che il livello dei costi di produzione in allevamento si potrebbe stabilizzare a quota 60-65; e quindi che il prezzo del latte alla stalla, per dare equilibrio, e per offrire agli allevatori dei giusti margini per reggere gli investimenti e permettere uno sviluppo delle aziende, in prospettiva pluriennale dovrà posizionarsi ben oltre i 70 centesimi, almeno tra i 75 e gli 80. Ma in occasione di questa intervista, più che riportare cifre come queste, che necessariamente non fotografano correttamente le varie situazioni
particolari, ritengo sia più utile offrire un quadro di scenario. Anche perché è importante vedere come la redditività che oggi c’è, anche alla stalla, possa stabilizzarsi nel tempo.

Un quadro di scenario: in che senso?
Proporrei un tema evolutivo, perché può essere interessante non tanto dire come va in questo istante il mercato del formaggio e cosa viene in tasca agli allevatori della nostra filiera, bensì mettere a fuoco cosa è successo di fatto negli ultimi tre quattro anni nel Parmigiano Reggiano e nel mondo dei duri. Dove abbiamo dovuto affrontare due fatti totalmente nuovi e imprevedibili: il covid e la guerra russo-ucraina. Sono stati due shock, a partire dai quali però si sta costruendo una nuova visione di medio lungo termine.

La guerra, in sintesi, ha fatto impennare i costi di produzione. Ma il covid?
Un messaggio che io metterei in evidenza è questo: con la pandemia abbiamo scoperto due cose nuove. Che i formaggi duri di qualità hanno un potenziale molto importante nei mercati mondiali. Questo l’abbiamo appreso dopo il 2020.

E la seconda cosa che abbiamo scoperto?
Si tratta di una situazione che negli ultimi vent’anni non si era mai verificata. Noi venivamo da vent’anni, trent’anni, in cui la ciclicità del reddito nelle nostre filiere era legata ai picchi di offerta e di domanda. Nel senso che le crisi di redditività erano legate a momenti di crollo dei prezzi dovuti a un eccesso di offerta. Mentre non c’è mai stata una crisi da costi.

Di conseguenza?
Nel 2022 abbiamo scoperto che i redditi veri degli allevatori non dipendono solo da come va il prezzo, quindi dall’eventualità che ci sia un eccesso di offerta di latte oppure no. Ma anche da scenari in cui, pure in presenza di prezzi numericamente interessanti, l’allevatore non guadagna perché i costi aumentano, esplodono. Quindi questo è l’insegnamento per il futuro: è importante avere una visione per cui bisogna essere flessibili nella gestione delle leve del mercato, proprio per riuscire a combattere anche momenti temporanei di crisi anche dal punto di vista dei costi.

Approfondiamo per un attimo l’analisi dello shock creato dal covid.
Si impose un’enorme paura a marzo del 2020: oddio cosa succede, chiudono i caseifici, non si può lavorare, nessuno esce di casa, nessuno può consumare… Hanno chiuso molti ristoranti, però abbiamo subito visto che i consumatori che pranzano e cenano in casa hanno premiato i prodotti di qualità. Inoltre il Parmigiano Reggiano è stato premiato da incremento dei consumi in Italia e all’estero che ha avuto un positivo effetto volano: ha aiutato a gestire una possibile crisi perché venivamo da un aumento dell’offerta di prodotto molto importante, aumento dovuto al fatto che la filiera del Parmigiano Reggiano è cresciuta molto negli ultimi negli ultimi anni.

In conclusione, se da una parte un certo mercato è crollato, dall’altra si è però costruito un nuovo rapporto coi consumatori
Si è azionato un interruttore che ci ha fatto capire che c’è un grande potenziale per il Parmigiano, ma anche per l’intera categoria dei formaggi duri; ne ha beneficiato anche il Grana Padano. Fra l’altro la comodità per il consumatore di poter conservare in casa i formaggi duri, riscoperta durante le restrizioni covid, ha sottolineato l’importanza della ricerca della qualità, di fatto sia per il Parmigiano che per il Grana Padano. Poi, diciamo dal 2021, quindi dopo lo shock covid, è cominciata una nuova fase della domanda, anche con una forte crescita nei mercati esteri, che sta dando una prospettiva diversa all’intero comparto.

Tutte queste dinamiche si tradurranno nel prezzo, anche quello del latte.
Il Grana Padano veniva da anni in cui comunque aveva avuto prezzi e margini inferiori a quelli del Parmigiano Reggiano, a causa di un aumento di offerta; e il Parmigiano Reggiano di fatto fino all’anno scorso, il 2023, doveva commercializzare il picco produttivo che aveva avuto nel 2021. È successo che poi per il Grana Padano le condizioni si sono stabilizzate e che nel 2023 sono migliorate anche nel Parmigiano Reggiano. Ma al momento il Grana Padano ha fatto un rally delle quotazioni molto più sostenuto, cioè l’aumento del prezzo del formaggio è stato più veloce e infatti la forbice di prezzo fra Parmigiano Reggiano e Grana Padano e si è ristretta molto. E in questi ultimi mesi, con i prezzi di oggi del Grana Padano, e con gli attuali costi di produzione del latte, gli allevatori del Padano hanno raggiunto livelli di remuneratività estremamente interessanti, con ricavi unitari oltre gli 80 euro a quintale latte. E siamo a livelli comparabili nel Parmigiano.

Ma gli allevatori del Parmigiano hanno costi di produzione superiori.
Nonostante questo, in termini di margini, si può dire che adesso siamo in un’area di positività anche nel Parmigiano, perché le quotazioni del formaggio sono cresciute: siamo a 11,5 euro/kg. Sono quotazioni tra virgolette soddisfacenti. Detto questo, per completare l’analisi del mercato, delle prospettive, bisogna anche mettere sul piatto il tema dell’educazione, anche per guardare al futuro.

Educazione dell’allevatore?
Sino alla crisi dovuta alla guerra il tema era: prima dobbiamo dire quanto mungiamo e poi cerchiamo di gestire i chili di latte. Ma con la guerra si è verificata un’imprevista esplosione dei costi di produzione del latte: prima non avevamo mai visto un’impennata dei costi con un aumento del costo di produzione del latte di quella portata, in soli sei mesi più 10 euro al quintale. Esplosione dei costi dovuta alle conseguenze della guerra: carenza del gas e quindi aumento dei costi energetici, aumento dei prezzi dei cereali e quindi del costo dei mangimi. Nel passato recente questo; oggi però dobbiamo entrare in un’ottica di flessibilità, cioè oggi bisogna essere flessibili sui chili di latte da mungere ma anche sui costi interni alla stalla. Bisogna avere una nuova attenzione al tipo di investimento da effettuare in azienda per non essere più dipendenti in modo rigido dai costi energetici o dai mangimi come avveniva prima.

Però per il Parmigiano Reggiano la flessibilità viene attenuata da un importante fattore di rigidità: il costo dell’alimentazione delle bovine è meno flessibile rispetto alle altre filiere lattiero casearie a causa dei vincoli imposti dal disciplinare sull’impiego dei foraggi.
È chiaro, la quota rilevante di alimentazione da erba medica riduce un po’ questa flessibilità. Comunque, negli ultimi anni abbiamo affrontato una fase molto complicata. Negli anni dal 2017-18 fino al 2021 c’era stata una forte crescita produttiva. Poi abbiamo due anni di stagionatura e quindi fino all’anno scorso era da governare la gestione della crescita del mercato, per digerire questo aumento di offerta. Oramai questo obiettivo è stato raggiunto. Ed è doveroso dire che l’obiettivo è stato facilitato anche dal fatto che nell’ultimo anno è cresciuto molto il prezzo del Grana Padano. Nel senso che la forbice di prezzo fra Padano e Parmigiano Reggiano si è ridotta e questo ha indotto la gdo in Italia a spostare le promozioni delle vendite sul Parmigiano Reggiano; la cosa ha contribuito a trovare un equilibrio, oggi, per il Parmigiano Reggiano.

Previsioni per i prossimi anni?
Probabilmente verso il 2025 lo scenario delle quotazioni sarà di un ulteriore riequilibrio anche per il Parmigiano Reggiano proprio perché adesso godiamo dell’eredità di un buon andamento della produzione negli anni scorsi: da fine 2022 in calo e poi stabile nel 2023 e anche nel 2024. Ma proprio a proposito di evoluzione della produzione devo ricordare l’appuntamento più importante del consorzio per quest’anno: si sta disegnando il nuovo Piano di regolazione offerta.

Qualche anticipazione sui principi che caratterizzeranno il Piano?
Il Piano di regolazione offerta durerà sei anni, sfruttando al massimo la novità introdotta col regolamento Ue sulle indicazioni geografiche che permette di allungare la durata dei piani di regolazione offerta fino a questo limite. Il Piano nuovo sarà portato nell’assemblea di fine dicembre. Ne parliamo adesso perché un tema così importante non deve essere discusso velocemente, abbiamo davanti due mesi pieni per la discussione.

Fra i suoi obiettivi?
Visto che siamo in condizioni sostanzialmente di un buon equilibrio, un obiettivo sarà quello di tutelare e conservare questa condizione. Dove le parole chiave saranno evitare il rischio di avere crescite produttive fuori controllo per consentire al settore del Parmigiano Reggiano una crescita comunque costante nel corso degli anni seguenti, però senza avere delle crisi di prezzo. Questa è la sfida che riteniamo possibile.

E come sta andando sui mercati mondiali?
Il trend dei consumi mondiali disegna un’opportunità enorme per i formaggi duri, non solo per il Parmigiano Reggiano. E tutto sommato la prospettiva è che il Parmigiano Reggiano possa riequilibrare la forbice di prezzo col Padano, non perché il Padano tornerebbe indietro ma perché il Parmigiano salirebbe ancora un po’. La prospettiva è che a livello globale ci sia spazio di crescita sia per il Parmigiano Reggiano che per il Grana Padano.

Convivenza…
Penso a una prospettiva in cui ci siano ruoli complementari e non in sovrapposizione fra Parmigiano Reggiano e Grana Padano come posizionamenti nel mercato. Ci può essere uno spazio interessante come remunerazione del latte per entrambi i bacini. Questa non è una sfida ma è un’opportunità. E va vista in quest’ottica anche dal punto di vista degli allevatori. Se questo avverrà tutelando i livelli di prezzo remunerativi raggiunti oggi sarà una grande opportunità per il sistema latte Italia.

Parmigiano Reggiano, Deserti: “La redditività c’è, anche per l’allevatore” - Ultima modifica: 2024-10-18T11:03:12+02:00 da Giorgio Setti

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