Il mondo degli allevatori condivide il valore e l'utilità del benessere animale che è da sempre è un impegno molto "sentito" e perseguito dalle stalle italiane, ma sul nuovo Sqbna (Sistema di qualità nazionale per il benessere animale vedi qui), il sistema di certificazione volontario sul benessere animale (che di recente è operativo per gli allevatori di bovini e suini), alcune voci del mondo agricolo e agroalimentare sono in profondo disaccordo.
Sarebbe troppo rigido come parametri, perchè di fatto esclude una parte della zootecnia, quella montana che svolge un ruolo di tutela del territorio. Inoltre, non deve essere imposto, altrimenti diventa una pratica sleale. C'è poi anche un problema dei costi: chi pagherà la certificazione? Su chi graveranno le spese? Andranno a carico degli allevatori, della trasformazione e, poi, anche del consumatore? L'etichetta sul prodotto sarà veramente un vantaggio?
Un sistema volontario di certificazione
«Il benessere animale è un tema strategico per il futuro della zootecnia italiana, ma va affrontato con equilibrio, gradualità e accompagnamento. Tantopiù che gli allevatori negli ultimi anni hanno già fatto investimenti enormi, spesso anticipando i tempi». È la posizione chiara di Giorgio Apostoli, responsabile nazionale della zootecnia di Coldiretti, che interviene sul nuovo sistema di certificazione volontaria del benessere animale.
«Il Sqbna nasce innanzitutto come uno strumento volontario di certificazione. Se dovesse venire imposto ai produttori di latte in modo diretto o indiretto, verrebbe snaturato perché non sarebbe più una libera adesione, ma rischia di configurarsi come una pratica commerciale sleale. Senza contare la rigidità del sistema visto che che, ad esempio, se si supera il limite delle cellule somatiche non si può più rientrare nel sistema».
«Il Sqnba è stato costruito come risposta alle esigenze di trasparenza e comunicazione verso i consumatori, ma oggi – secondo Coldiretti – rischia di trasformarsi in uno strumento di pressione commerciale, con effetti distorsivi sulla filiera».
«Quando un’industria, una centrale d’acquisto o una piattaforma commerciale impone ai fornitori l’adesione al Sqnba, il sistema perde il suo senso originario – spiega Apostoli –. Stiamo ricevendo diverse segnalazioni da produttori che si sono visti costretti ad aderire per non perdere il contratto. Questo non è accettabile, né sul piano etico né su quello normativo».
«Valuteremo azioni legali verso chi impone il Sqbna»
Coldiretti sta seguendo con attenzione questi sviluppi, al punto da valutare il ricorso a eventuali azioni legali. «Ci riserviamo di intervenire formalmente se verrà accertato che l’obbligo di adesione è stato imposto fuori dai criteri di libera concorrenza – prosegue Apostoli –. Un sistema volontario non può trasformarsi surrettiziamente in un prerequisito contrattuale».
Il tema rientra nel perimetro tracciato dalla normativa europea e nazionale sulle pratiche commerciali sleali, che vieta tra l’altro l’imposizione unilaterale di condizioni non pattuite. «Oggi il Sqnba è ancora poco conosciuto dai consumatori – aggiunge Apostoli –. Se la distribuzione chiede prodotti certificati, ben venga, ma ci sia trasparenza e una reale valorizzazione economica. Non può essere solo un costo in più scaricato sull’allevatore».
Il 30% delle stalle è fuori in partenza
«Sul benessere animale il Consorzio del Grana Padano non è contrario, anzi – spiega il suo presidente Renato Zaghini – lo abbiamo sempre sostenuto con tanto impegno indicandolo come una priorità per gli allevamenti della nostra filiera. Il sistema “ClassyFarm” che le nostre stalle seguono da anni ha già portato ottimi risultati, ossia un livello di benessere animale elevato, che tiene conto anche dell'uso responsabile degli antibiotici. Però, prima di aderire a un nuovo sistema di certificazione volontario come l’Sqnba (Sistema di qualità nazionale per il benessere animale) messo a punto dal ministero, vogliamo vederci chiaro».
Il presidente fa riferimento alla nuova versione del sistema, in particolare all’introduzione di nuovi parametri irrealistici per una buona quota di stalle e che, proprio per questo, le mettono fuori gioco ancora prima di aderire all’Sqbna. «Ad esempio – spiega – per la conta delle cellule somatiche non viene più concesso alcun periodo per rientrare nei limiti: se si supera la soglia stabilita si è automaticamente fuori. Questo non è realistico: può capitare una flessione, servono strumenti efficaci e condivisi per rientrare, non penalizzazioni definitive. Così com’è adesso, il sistema rischia di penalizzare e non favorire gli allevamenti. Anche perché la certificazione dovrebbe avere lo scopo di valorizzare l’azienda».
Il Consorzio ha già presentato al ministero proposte di miglioramento
Im questo senso il Consorzio ha già presentato proposte di miglioramento ai ministeri dell’Agricoltura e della Salute soprattutto sui tempi di rientro per il rispetto dei parametri. «Noi abbiamo dato suggerimenti, perché alcune stalle oggi si sentono escluse, non ce la fanno. E non sono nemmeno stimolate a provarci, perché sanno già che i criteri le escludono a priori - prosegue Zaghini. Il rischio è che il nuovo impianto normativo, anziché invogliare ad entrare nel percorso del benessere animale, finisca per escludere una parte importante degli allevatori».
Zone marginali a rischio
A preoccupare maggiormente è l’impatto sulle stalle in montagna e nelle zone marginali. «Parliamo del 30% delle stalle – sottolinea Zaghini – che oggi non sarebbero in grado di entrare nel nuovo sistema. E non solo in montagna: anche alcune realtà della pianura, che magari non hanno le dimensioni o le risorse delle grandi aziende, rischiano di restare fuori».
I costi della certificazione chi li paga?
Premetto che sono assolutamente favorevole – ha commentato Antonio Boselli, allevaotre attento al benessere animale e presidente di Confagricoltura Lombardia – a considerare il benessere animale come elemento fondamentale nella gestione della stalla. Mettere gli animali nelle migliori condizioni li porta a esprimersi al meglio: aumenta la produzione, l’efficienza, diminuiscono i problemi sanitari. E ne guadagna anche il benessere dell’allevatore».
Ma sulla certificazione, l’atteggiamento è più critico: «Sono però un po’ più refrattario verso le certificazioni». Secondo Boselli, molte certificazioni hanno finito per generare costi e burocrazia, senza reali vantaggi per i produttori.
«All’inizio forse portano un piccolo beneficio economico – osserva – ma nel tempo si trasformano in un innalzamento degli standard produttivi, alzando la soglia della qualità richiesta a noi allevatori. Il prodotto certificato finisce per diventare lo standard minimo, e non si viene più riconosciuti né premiati per gli sforzi fatti».
Boselli si chiede anche se l’industria o il consumatore saranno disposti a pagare il maggior costo per acquistare quel prodotto latte, che sia formaggio, latte o burro, con una etichetta Sqnba sul prodotto finito?
«Esistono certificazioni virtuose ha proseguito Boselli - che sono alla base di importanti filiere, vedi quella del Grana padano, in cui il ritorno economico sta portando concreti benefici. Comunque, al di là di queste considerazioni, come Confagricoltura Lombardia, ci stiamo impegnando sul piano tecnico sindacale per modificare diversi passaggi "difficili e problematici " per le nostre aziende che potrebbero trovarsi in grande difficoltà».