Parmigiano Reggiano, via libera al piano di regolazione dell’offerta

Firmato da parte del Mipaaft il decreto che dà l’ok al Piano di Regolazione dell’offerta del Parmigiano Reggiano per il triennio 2020/2022. Ora, afferma Nicola Bertinelli, il Consorzio si sente pronto ad affrontare la minaccia di applicazione di pesanti dazi da parte degli Stati Uniti

 

Il consorzio di tutela del Parmigiano Reggiano accoglie con favore il via libera del ministero delle Politiche agricole al “Piano di regolazione dell’offerta del Parmigiano Reggiano per il triennio 2020/2022”. Via libera sancito dal decreto n.8868 firmato dal ministro Gian Marco Centinaio il 13 agosto 2019.
Con il nuovo Piano di regolazione dell’offerta 2020-2022 vengono confermati i pilastri precedenti di questa politica del consorzio: quote di produzione assegnate agli allevatori e contribuzione aggiuntiva versata da chi supera i livelli soggettivi. “Un piano innovativo, semplice ed efficace – dicono i dirigenti del consorzio - che permetterà alle aziende di crescere in modo razionale e con flessibilità, così da potere reagire prontamente ai cambiamenti del mercato”.
Per adattare l'efficacia dello strumento alle condizioni produttive, infatti, è possibile intervenire di anno in anno sul punto di riferimento, sul livello di contribuzione, e con sconti per politiche mirate legate alla qualità o per categorie specifiche di produttori. Già entro il 15 ottobre 2019 il consiglio di amministrazione e l'assemblea del consorzio saranno chiamati a formulare importanti proposte in tal senso.

In un momento felice

La firma di Centinaio, sottolineano ancora i dirigenti del consorzio, arriva in un periodo particolarmente felice per il Parmigiano Reggiano. I 3,7 milioni di forme (circa 148 mila tonnellate) prodotti nel 2018 rappresentano il livello più elevato nella storia di questo formaggio.
Inoltre il Parmigiano Reggiano rappresenta non solo il primo marchio dop al mondo per influenza secondo la classifica “The Most Influential Brands 2018” curata da Ipsos, ma anche il primo prodotto food dop/igp per valore alla produzione (rapporto Qualivita-Ismea). Un giro d’affari al consumo pari a 2,4 miliardi di euro per un prodotto che si proietta sempre più verso l’estero (l’export è pari al 40%): una valvola di sfogo per una produzione in continua espansione che ha bisogno di nuovi spazi di mercato.
Lo sviluppo produttivo nell’ultimo triennio (+12%) è stato accompagnato da un consolidamento dei redditi sostenuto da quotazioni del formaggio stabili e remunerative per l'intera filiera. Nel 2019 la quotazione del prodotto alla produzione ha sfondato i il tetto storico degli 11 euro al chilo (stagionatura 12 mesi).
"Un contributo importante a questi risultati - afferma il presidente del consorzio Nicola Bertinelli (nella foto) - è venuto proprio dal Piano produttivo, che negli ultimi anni ha dato certezze alla programmazione delle imprese e ha accompagnato una crescita regolare e risorse aggiuntive per un grande rilancio della marca Parmigiano Reggiano".
“Grazie a questo risultato - continua Bertinelli - ora potremo concentrarci al 100% sulla minaccia dei dazi Usa che proprio in questa calda estate rischia di gettare al vento il lavoro di anni. Ma siamo convinti di poter far comprendere all'amministrazione statunitense che i dazi sul Parmigiano Reggiano sarebbero prima di tutto un boomerang per i consumatori americani e per le tante imprese Usa che vivono con il nostro prodotto".

La minaccia dei dazi Usa

Donald Trump, dice il consorzio, minaccia di applicare un dazio pari al valore del prodotto importato. Ciò significa che il dazio passerebbe da 2,15 dollari a 15 dollari al kg. Considerando i vari passaggi che subisce il formaggio da quando arriva all’importatore a quando raggiunge lo scaffale del supermercato, si può stimare che il costo del Parmigiano Reggiano passerebbe da 40 dollari a 60 dollari al kg.
A un aumento del prezzo corrisponderà inevitabilmente un crollo dei consumi. Nelle ultime settimane il consorzio si è relazionato con gli operatori americani che trasformano il prodotto: questi hanno prospettato uno scenario inquietante, vale a dire una riduzione dei consumi pari all’80-90%.
A beneficiarne sarebbe senza dubbio il Parmesan prodotto negli Stati Uniti, che, pur non avendo nulla da spartire con il Parmigiano Reggiano, può essere grattugiato sulla pasta a un costo decisamente più contenuto.
E non bisogna dimenticare che il Parmigiano Reggiano genera ricchezza anche per i trasformatori degli Stati Uniti. Solo un 25% del prodotto finisce negli store in forme intere senza subire lavorazioni. Le aziende americane porzionano le forme, producono diversi formati, grattugiano il prodotto, lo utilizzano per differenti preparazioni.
Questo business vale circa 200 milioni di dollari e vanno tutti nelle tasche degli Stati Uniti. Nel caso in cui aumentassero i dazi e la quota export si riducesse drasticamente, questo indotto andrebbe a scomparire.
Un discorso simile vale anche per il gettito generato dai dazi. Se Trump applicasse veramente un dazio pari al valore del prodotto importato, le vendite si ridurrebbero al punto da produrre un gettito inevitabilmente inferiore a quello attuale, che è pari a 22 milioni di dollari.

In aumento l’export in America

Il mercato americano è, dopo la Francia, il secondo mercato estero per il Parmigiano Reggiano. Ogni anno le aziende esportano oltre 10mila tonnellate e i volumi sono destinati ad aumentare.
Il consumatore americano è un consumatore evoluto, attento alla sostenibilità, alla tracciabilità, alla naturalità del prodotto e ai valori che rendono il Parmigiano Reggiano un’icona del Made in Italy. Per questo, il Consorzio ha grandi progetti negli Stati Uniti e pensa che in tempi brevi possano diventare il primo mercato estero, fino a raddoppiare le quote da qui al 2025.

Made in Wisconsin

Il Parmigiano Reggiano è una dop e ha un legame indissolubile con il territorio d’origine del quale è espressione. Ma il consumatore che acquista il Parmesan è spesso convinto di acquistare un prodotto italiano: il consorzio ha mostrato a un campione significativo di consumatori americani un Parmesan che riportava in etichetta l’indicazione esplicita “Made in Winsconsin” e due terzi dei consumatori intervistati hanno dichiarato di ritenere il prodotto di provenienza italiana.
Per questo motivo, dicono i dirigenti del consorzio del Parmigiano Reggiano, “il consorzio si batte affinché, anche fuori dall’Unione europea, il nome Parmesan possa essere utilizzato solo per l’autentico prodotto Parmigiano Reggiano. Altrimenti non sono solo le aziende italiane a subire un danno, ma tutti i consumatori americani vengono ingannati perché acquistano un fake nella consapevolezza di acquistare il vero Parmigiano Reggiano”.

 

Parmigiano Reggiano, via libera al piano di regolazione dell’offerta - Ultima modifica: 2019-08-25T17:40:15+02:00 da Giorgio Setti

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