Si è aperta nei giorni scorsi, con la prima udienza presso la Corte di Giustizia dell’Unione europea, l’ultima fase della “procedura di infrazione” che la Commissione dell’Ue sta portando avanti da anni nei confronti dell’Italia. La questione riguarda il prelievo sul superamento delle quote latte nelle campagne lattiere tra la 1995/1996 e la 2008/2009. In quegli anni l’Italia ha costantemente splafonato la propria quota latte nazionale totalizzando un prelievo molto elevato, che secondo i calcoli di Bruxelles raggiunge i 2 miliardi e 305 milioni di euro.
Più precisamente la Commissione stima che, di quell’importo complessivo, circa 1,752 miliardi di euro non siano ancora stati rimborsati dai singoli allevatori; parte di questo importo sembra considerato perso o rientra in un piano a tappe di 14 anni, ma Bruxelles valuta che restino ancora da recuperare dai produttori ben 1,343 miliardi di euro.
Cifre comunque enormi che lo Stato italiano ha versato negli anni scorsi nelle casse dell’Ue ma non ha contestualmente prelevato agli allevatori che, superando in quegli anni la propria quota aziendale, hanno determinato, in concorso, la multa complessiva. E qui sta il punto che l’Ue ci contesta.
Non dunque il versamento del denaro che pure è arrivato a Bruxelles, ma il fatto lo Stato italiano ha anticipato all’Ue quel denaro prendendolo dalla fiscalità generale, senza poi recuperarlo – se non in parte – dagli allevatori che avevano causato quella multa.
Per comprendere questo passaggio è necessario considerare la ratio originaria del regime del prelievo supplementare. I regolamenti comunitari che istituivano e disciplinavano le quote latte esigevano che chi superava la produzione assegnata pagasse una multa, il cosiddetto prelievo. Questo prelievo da imputare al singolo allevatore era il cuore del sistema, perché doveva fungere da deterrente alla stalla al fine di evitare che superasse la quota latte. Solo così si otteneva l’obiettivo del contenimento della produzione lattiera complessiva e, attraverso questo, il sostegno al prezzo del latte e al reddito dell’allevatore. Una politica, tra l’altro, che anche oggi in tempi di prezzi bassi da sovrapproduzione di latte, molti vorrebbero ripristinare.
A chiarire il concetto è la stessa Corte di Giustizia dell’Unione europea che, in una nota diffusa nei giorni scorsi, scrive: “Nell’ambito delle regole sulle quote latte, se un Paese supera la propria quota annuale, un prelievo monetario sulle eccedenze deve essere versato da tutti i singoli produttori che superano la quota individuale in funzione del proprio volume di sovrapproduzione”.
Su questo punto, il contrasto tra l’Italia e le istituzioni comunitarie è iniziato nel giugno 2013, quando la Commissione europea ha inviato al nostro governo una lettera di “costituzione in mora”, il primo passo usuale nella procedura di infrazione, con la quale si chiedeva all’Italia di mettere in atto le procedure di riscossione del prelievo ai singoli produttori. Sempre la Commissione, circa un anno dopo, a luglio 2014, non riscontrando passi significativi dell’Italia nella direzione proposta, ha inviato un “parere motivato”, sostanzialmente il secondo passo della procedura. Trascorsi ancora molti mesi senza che, a parere della Commissione, l’Italia risolvesse la questione, l’Esecutivo comunitario ha compiuto il terzo e ultimo passo della procedura di infrazione, aprendo una causa contro l’Italia presso la Corte di Giustizia europea, alla quale si chiede di dirimere la faccenda. Un’ultima fase che si aperta con una prima udienza interlocutoria, e che proseguirà sino al pronunciamento finale della Corte.
Cosa rischia il nostro Paese? Che la Corte di Lussemburgo, qualora ritenesse che le ragioni della Commissione fossero fondate, intimi all’Italia di adempiere ai propri obblighi e, in caso di inottemperanza, di pagare una forte penale finanziaria all’Ue.
L’articolo è pubblicato su Informatore Zootecnico n. 16/2016
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