«Con 215mila forme esportate e una crescita del 10,53% rispetto al 2023, gli Stati Uniti hanno rappresentato, nel 2024, il terzo mercato per il Grana Padano e i nuovi dazi – ha spiegato Stefano Berni, direttore generale del Consorzio del Grana Padano – mettono a rischio le prospettive future dell’export negli Usa. Finora, su ogni forma di Grana Padano esportata negli Stati Uniti era applicato un dazio del 15% sul valore fatturato pari a circa 2,40€ al kg».

«Con l’aumento del 20% il prelievo salirà – ha sottolineato Berni – a quasi 6 euro al kg al consumo che si amplificheranno ulteriormente, con inevitabili conseguenze sui prezzi americani. Il 39% esibito ieri sera sulle tabelle di Trump non è vero per quanto riguarda il caseario, perché il dazio all’ingresso in Ue di formaggi americani è di circa 1,8€ al kg, quindi, inferiore a quanto noi da sempre paghiamo e con i nuovi dazi diventerebbe appena 1/3 di quanto noi dovremo pagare da oggi in poi.
«Quindi, almeno per noi, è un’inesattezza colossale – ha fatto notare Berni – che il dazio aggiuntivo sia la metà del dazio addebitato ai formaggi Usa perché, ripeto, a noi oggi costa il triplo per entrare nel mercato statunitense rispetto a quello che i formaggi Usa pagano per entrare da noi».
Appello alla politica per contrastare i dazi Usa
Berni sottolinea l’urgenza di un intervento politico e diplomatico: «Le istituzioni italiane ed europee devono attivarsi immediatamente per contrastare questo contraccolpo, adottando tutte le misure necessarie a tutelare le esportazioni dei prodotti colpiti da questi dazi ingiustificati e per noi assai penalizzanti. Siamo sconcertati perché ogni qualvolta c’è tensione internazionale i formaggi di qualità vengono colpiti oltre misura. È successo nel 2014 con l’embargo russo post invasione in Crimea e da allora non esportiamo più un solo kg in Russia. È successo dall’ottobre 2019 al febbraio 2021, nell’ultimo tratto del Governo Trump, potrebbe succedere in Cina tra poco ed è successo di nuovo in USA oggi».
Secondo gli esperti del settore, questa misura favorirà soprattutto la diffusione negli Usa di prodotti “Italian sounding”, che sfruttano nomi e suggestioni della tradizione italiana senza offrire le stesse garanzie di qualità e autenticità.
Necessità di fare squadra per i formaggi italiani
Antonio Auricchio, presidente del Consorzio del Gorgonzola, ha fatto notare che «questa percentuale si aggiunge a quella già esistente che arriva fino al 15% per alcuni formaggi, tra cui il Gorgonzola Dop che, considerando un prezzo medio al chilo di 10,00 €, arriverà a costare ai consumatori americani un terzo in più del prezzo odierno. A fine giugno saremo al Fancy Food di New York, una fiera importantissima, e bisogna fare assolutamente squadra intorno ai grandi formaggi Dop italiani così assurdamente e ingiustamente colpiti. Chiediamo un’azione tempestiva e concreta, sia da parte del nostro Governo sia a livello comunitario, per impedire che questi ulteriori costi si ripercuotano sui consumatori americani che amano il Gorgonzola Dop e soprattutto sulle nostre imprese già duramente provate dal prezzo del latte e da costi energetici altissimi».
L’export di Gorgonzola Dop mondo (esclusa quindi l’Ue) copre il 14% del totale esportato e l’11% di tale percentuale vola verso gli Usa che rappresentano, quindi, un mercato di tutto rilievo con oltre 387tons in termini assoluti pari a oltre 3 milioni di euro a valore.