La produzione del latte in Italia registra un costo maggiore del 10% rispetto alla media degli altri paesi europei. Ciò non significa tuttavia che essa non sia competitiva. Al contrario, è sostenuta da una forte valorizzazione dovuta alla produzione di beni ad alto valore aggiunto (formaggi dop o prodotti freschi innovativi) in grado di compensare gli alti costi di produzione.
La situazione del costo del latte in Italia a confronto con quella degli altri paesi l’ha ampiamente descritta Kees De Roest, del Centro ricerche produzioni animali (Crpa) di Reggio Emilia, al convegno organizzato dall’Informatore Zootecnico all’ultima edizione della Fiera di Montichiari.
Titolo del convegno: “Costi, ricavi e redditività della produzione del latte”. Sponsor: Nutreco. Presentazioni: consultabili sul sito internet www.informatorezootecnico.it, sezione Documenti.
Questo 10% in più nel costo di produzione del latte italiano è dovuto, secondo quanto riportato da De Roest, a quattro fattori: «Il primo elemento è da ricercare nell’uso elevato di concentrati per vacca (circa 10 kg/bovina al giorno), dovuto alla scarsità di pascoli (a differenza dei paesi del Nord) e alla conseguente necessità di tenere gli animali in stalla. Il secondo motivo consiste nell’alto prezzo che l’allevatore italiano deve pagare per il mangime. Alla base esiste un problema infrastrutturale tale per cui ai nostri porti non possono attraccare navi di grandi dimensioni con i carichi di soia, mais e altre materie prime. Al contrario, dobbiamo “accontentarci” di un numero maggiore di navi di più piccole dimensioni. Anche una volta che i carichi arrivano nei porti, poi, si pone il problema di come questi possono raggiungere i mangimifici. Mentre nei paesi del nord vengono sfruttati i fiumi, noi dobbiamo ricorrere al trasporto via gomma o via rotaia».
Il terzo e il quarto fattore attribuibili al costo più elevato del latte italiano, continua De Roest, sono da riferirsi alle spese dell’irrigazione e della manodopera. «Qui da noi, a esempio in Pianura Padana – specifica il tecnico –, piove poco e in modo meno distribuito sull’anno rispetto ai paesi del nord Europa (in primis Danimarca, Olanda, Germania, Irlanda), perciò gli allevatori necessitano di ricorrere più frequentemente all’irrigazione artificiale. Quanto ai costi di manodopera, questi sono maggiori proprio perché le bovine in stalla richiedono più cura rispetto a quelle al pascolo».
Tutto ciò non significa tuttavia che la produzione del latte non sia competitiva. Al contrario, come aggiunge De Roest, «il costo di produzione viene compensato grazie alla capacità di valorizzazione del latte tramite prodotti a elevato valore aggiunto. Ci riferiamo anzitutto alla produzione di formaggi che nel complesso utilizza quasi l’80% del latte italiano. Di questo, circa la metà viene trasformato in formaggi dop, che ovviamente vantano prezzi più elevati. Tradotto in altri termini, ciò significa che, a fronte di un costo di produzione del latte alla stalla tra i più elevati d’Europa, in Italia conviene produrre prodotti ad alto valore aggiunto».
Il consumo di latte fresco diminuirà
Quanto alle prospettive del mercato europeo entro il 2026, basandosi sui dati forniti dalla Commissione europea, De Roest prevede un ulteriore calo di consumo di latte fresco sia in Italia che in Europa. «Questo – spiega l’esperto – è motivato dal fatto che sta aumentando l’interesse del consumatore ad acquistare sempre più prodotti alternativi al latte. Il trend calante del consumo di latte fresco è stimato in -5 kg procapite nei prossimi 10 anni. Al contrario, il consumo di burro e formaggio aumenterà sia in Europa che nel resto del mondo. Si stima che nel decennio a venire la crescita del consumo di prodotti lattiero caseari crescerà con un trend dell’1,8%/anno».
L’export dei lattiero caseari aumenterà
A livello mondiale la previsione dell’andamento del commercio di prodotti lattiero caseari identifica un incremento del 2% nei prossimi 10 anni, corrispondente a un incremento di 1,3 milioni di tonnellate di latte equivalente. «Questo accadrà – sottolinea De Roest – perché alcuni paesi non riusciranno ancora a soddisfare la domanda interna. Tra questi spiccano l’India e la Cina. Proprio per questo l’Unione europea è candidata a diventare il primo esportatore nel 2026 superando così la Nuova Zelanda che da sempre detiene questo primato. Le stime della Commissione europea parlano di una quota export di prodotti lattiero caseari della Ue che nel 2026 saranno pari al 26% del commercio mondiale. Poco dietro dovrebbe restare la Nuova Zelanda con il 25%. Gli Stati Uniti resteranno all’11% perché la domanda interna si prevede che aumenterà molto».
La produzione di latte aumenterà
Secondo le stime, nell’Unione europea la produzione di latte crescerà con 1,3 milioni di t all’anno fino a 177 milioni di t nel 2026. De Roest aggiunge: «Circa il 75% dell’incremento della produzione Ue (+14 milioni di t) verrà realizzato in cinque stati membri quali Germania, Irlanda, Regno Unito, Francia e Olanda. La produzione di latte per vacca crescerà ulteriormente e compenserà la diminuzione del numero di vacche (tranne in Irlanda). Questo sarà un bene anche per l’ambiente, dal momento che una bovina più produttiva emette meno gas serra per kg latte rispetto a una meno produttiva».
Il prezzo latte aumenterà lievemente
Se invece parliamo del prezzo del latte in Ue, si stima che questo recupererà lievemente. Aggiunge De Roest: «Se inizialmente lo stock pubblico di polvere di latte magro frenerà la crescita, tuttavia i prezzi cresceranno a seguito di un incremento della domanda. Si attendono però negli anni a venire una spiccata volatilità del prezzo del latte per via della forte correlazione tra il prezzo del latte Ue e il prezzo mondiale. I prezzi per i mangimi si manterranno bassi, per cui la redditività sarà discreta e stabile».
Leggi l’articolo completo di box e grafici pubblicato su Informatore Zootecnico n. 7/2017
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