È cosa riconosciuta come la nascita di un vitello maschio in una stalla da latte sia un evento sfavorevole. Il baliotto non è ovviamente utile alla produzione di latte, per questo è considerato un costo del quale liberarsi il prima possibile. Nel contempo c’è l’esigenza economica di valorizzare questo capo di bestiame che già alla nascita è costato molto all’azienda: la spesa per la fecondazione artificiale e gli oneri di nove mesi di gestazione.
Ma non è semplice. Innanzitutto la legge impone di mantenere il vitello almeno 14 giorni in stalla. Inoltre, sempre le normative in campo zootecnico prescrivono che trascorsi 42 giorni dalla nascita il baliotto, per essere ceduto, debba essere sottoposto a diverse prove di prevenzione sanitaria: altri costi da cercare di evitare.
Il limite dei 42 kg
A questo punto bisogna introdurre un altro fattore: il mercato dei vitelli. Iniziando col dire che la destinazione dei maschi è all’ingrasso; a vitellone o, molto più spesso, a vitello a carne bianca. L’azienda da ingrasso, per curare a sua volta l’economicità dell’operazione, tende a considerare il vitello a partire dai 42 kg di peso vivo.
Da quel livello in su l’ingrassatore è in genere disposto a pagare alla stalla il prezzo a chilo corrente in quel momento sul mercato. Al di sotto della soglia dei 42 kg, l’animale viene invece ritirato malvolentieri e pagato ben poco, talvolta quasi simbolicamente. Fanno eccezione i mesi estivi, quando la scarsità dei vitelli da ingrasso, conseguente al calo stagionale dei parti, porta di frequente gli ingrassatori a offerte più consistenti, per accaparrarsi comunque dei capi da allevare.
Il problema del baliotto si muove dunque all’interno di una serie di vincoli: cedere il vitello prima dei 42 giorni ma sopra i 42 kg di peso senza compromettere i costi aziendali. Combinazione anche questa non facile. Nella stalla da latte, sempre nella logica obbligata di contenere i costi, la cura manageriale del vitello maschio non può essere la stessa di quella offerta alla femmina che, destinata alla rimonta interna, rappresenta il futuro dell’azienda. Ciò significa che non di rado è difficile far raggiungere al baliotto i 42 kg di peso vivo entro, diciamo, 38-40 giorni.
La cooperativa Aprozoo
Come uscire da questo rebus? Ricette precostituite non ce ne sono. Aprozoo, una cooperativa cremonese che si occupa proprio della valorizzazione di baliotti e vacche da latte a fine carriera, da tempo approfondisce criticità e opportunità delle diverse soluzioni.
«Non è facile – ci spiega Agostino Bellotti, direttore della cooperativa. Perché si tratta di comporre interessi contrapposti. Tra allevatori e ingrassatori, certo; ma anche all’interno della stessa stalla da latte. Per esempio definire chiaramente la scelta imprenditoriale: un’opzione può far prevalere la riduzione massima dei costi e non badare alla remunerazione dei vitelli maschi; un’altra può puntare alla valorizzazione del “prodotto” baliotto».
«C’è anche una terza via – aggiunge Enrico Pasquali, presidente di Aprozoo – : cercare la mediazione gestionale per avvicinarsi il più possibile a un peso alla vendita del vitello che alletti l’ingrassatore, senza compromettere l’economicità dell’allevamento. È una via stretta che, come insegna la nostra esperienza in Aprozoo, passa dal buon senso e da forme di collaborazione tra allevatori e ingrassatori».
Una collaborazione non sempre facile, ci dice ancora Pasquali, perché spesso l’ingrassatore decide unilateralmente di non pagare il vitello maschio, senza considerare ragionamenti di filiera. Ma se non si riuscirà a trovare soluzioni condivise, Aprozoo sta lavorando a un’alternativa: «Un progetto concreto che offriremo ai nostri soci e porrà il baliotto come un’opportunità e non più come un problema». Di più, al momento, Pasquali non vuole rivelarci.
Gli allevatori
La gestione corretta del baliotto pone problemi particolarmente sentiti nelle aree a intensa produzione lattiera. Tra queste primeggia la Lombardia, che da sola produce il 40% di tutto il latte italiano. Per questo abbiamo sentito la voce diretta di due allevatori lombardi, della zona del cremonese.
«Per quanto riguarda la mia esperienza di allevatore, ma anche di veterinario – ci spiega Franco Villa, allevatore a Sesto e Uniti – quando nasce un baliotto è immediata la delusione per aver atteso invano per nove mesi la nascita di una femmina. Inoltre, in alcuni periodi dell’anno, generalmente quelli più umidi e freddi, diventa problematico portare il vitello ad un peso accettato dal mercato; fargli cioè passare la soglia dei 42/45 kg. Bisogna allevarlo sperando che non si ammali; ed è impresa assai ardua perché basta un banale attacco influenzale, con conseguente somministrazione di un ciclo di trattamento antibiotico, per far aumentare la spesa che non sarà certamente coperta dal ricavo della vendita. Oltretutto se il vitello è ammalato – ci spiega ancora Villa – si allungano i tempi per raggiungere un peso ottimale; e si fa più pressante il problema che, passati 42 giorni dalla nascita, debba essere sottoposto a esami del sangue di legge, con ulteriore aggravio dei costi».
Anche per Enrico Agazzi, conduttore di un’azienda lattiera a Formigara, la questione centrale sono i costi di gestione. «Focalizzando il ragionamento sui numeri, il fatto che mi trovi un vitello maschio che non serve alla stalla, crea un problema economico. Ho fatto la media di quanto la cooperativa della quale sono socio mi ha liquidato gli animali dall’inizio dell’anno ad oggi, ed il risultato parla di 73 euro per vitello. Se tolgo il costo delle fiale per ingravidare la vacca (la media in provincia di Cremona è di 2,7 interventi) i costi fissi, quelli veterinari, quelli dell’alimentazione, di un eventuale cura, ci rimetto. I nostri capi vengono ceduti a un ingrassatore di vitelli a carne bianca che comprensibilmente ritira animali omogenei, sani e con delle conformazioni ben determinate; se i baliotti non hanno queste caratteristiche semplicemente non li paga!».
E si arriva così al paradosso che un prodotto aziendale, il baliotto, sottrae reddito all’azienda.