«Viviamo momenti molto difficili. Lo avevamo previsto e lo avevamo detto, perché le avvisaglie c’erano tutte». Così Giuseppe Ambrosi, presidente di Assolatte, ha definito la situazione congiunturale delle imprese del settore lattiero caseario nella lettera inviata agli associati durante l’assemblea annuale dello scorso 15 giugno. La crisi di settore, con i dati abbastanza negativi diffusi dall’associazione di Confindustria sul 2015, è una “malattia” di cui non sono state cercate le cause, ma di cui sono stati segnalati solo i sintomi, ossia “il progressivo passaggio delle quotazioni del latte a valori più vicini al mercato”.
«Il costo del latte - fa notare Ambrosi - è troppo elevato in Italia rispetto al resto dell’Ue. Questo è un punto focale per i rapporti di filiera. In tutto il mondo il prezzo del latte diminuisce drasticamente? Veniamo immediatamente chiamati affinché l’industria si comporti in modo responsabile. Che poi vuol dire che dobbiamo pagare i nostri fornitori più di quanto il mercato consente, anche se facendolo metteremmo a rischio le nostre aziende».
Sul rinnovo del prezzo del latte era stata ingaggiata nei mesi scorsi una vera e propria battaglia dai toni piuttosto aspri che ha contrapposto allevatori e trasformatori con blocchi degli stabilimenti di lavorazione della materia prima e momenti di mancato ritiro della stessa da parte dell’industria.
«Noi non siamo antagonisti del mondo agricolo, anzi! Sarebbe ora – scrive ancora Ambrosi - di capire che, continuando su questa strada, si mette a rischio la sopravvivenza di un sistema produttivo che è ben diverso da quello che viene presentato, che porta redditi a tutta la filiera».
Come è andato il 2015?
In un passaggio della lettera agli associati durante l’assemblea annuale Ambrosi sottolinea la fine del sistema delle quote latte. «Per affrontare la liberalizzazione, la sola strada possibile si chiama competitività. È inaccettabile che si continui a sostenere che noi non possiamo puntare sulla capacità concorrenziale perché dobbiamo specializzarci solo sulla qualità dei nostri prodotti, come se qualità e quantità non fossero coniugabili».
Secondo i dati indicati da Assolatte, l’industria ha archiviato il 2015 con un fatturato di 15,4 miliardi di euro che mette sempre il settore al primo posto dell’agroalimentare italiano, anche se con bilancio dell’annata non soddisfacente: «la spesa per il latte alimentare in Italia cala ed è questo il prodotto più danneggiato - sottolinea ancora Ambrosi - visto che conferma l’andamento negativo già osservato negli anni precedenti, con il latte fresco in forte flessione (-8%), seguito dall’Uht (-5%). Negli ultimi 3 anni il consumo di latte alimentare si è ridotto di 220 milioni di litri a fronte di una crescita a doppia cifra elle bevande vegetali».
Restano stabili i consumi domestici dei prodotti freschi come mozzarelle, yogurt e latti fermentati (2,2%). Entrando nel dettaglio di quest’ultima categoria, si nota un apprezzamento del mercato per prodotti bio, yogurt alla greca e latti fermentati senza lattosio.
Nel segmento dei formaggi i duri soffrono di più (-2,3%). L’anno scorso dagli stabilimenti dell’industria italiana – che dà lavoro a 100 mila persone, indotto compreso – sono usciti 2,5 miliardi di litri di latte, 1,1 miliardi di kg di formaggi, 1,3 miliardi di vasetti di yogurt e latti fermentati, e 150 milioni di kg di burro.
Molto bene, come da tradizione per l’agroalimentare italiano, è andato invece l’export: l’industria di trasformazione ha chiuso il 2015 con un aumento record del 10% che ha permesso di raggiungere le 366 mila tonnellate spedite oltre confine per un controvalore di 2,3 miliardi di euro. Francia e Germania sono i mercati leader con oltre un terzo delle vendite e valgono circa 800 milioni di euro.
Al di fuori dei confini Ue emergono gli Usa e sono in crescita le esportazioni in Corea del Sud, Cina ed Emirati Arabi. I formaggi più richiesti sono mozzarella e altri freschi con il 42%, in seconda battuta vengono Grana Padano e Parmigiano Reggiano con il 24%. È addirittura raddoppiato, rispetto al 2014, il saldo della bilancia commerciale.
Nonostante le critiche alla parte agricola, la lettera di Ambrosi fa riferimento a un desiderio: “lavorare tutti assieme” in un’ottica di filiera. In questo senso il tavolo del latte convocato a Roma più volte rappresenta un passo avanti con il protocollo di intenti siglato presso il ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali che “dovrebbe servire ad aprire una riflessione sulle ragioni della scarsa competitività della filiera e sul fardello normativo che pesa sulle imprese che producono e trasformano latte”.
L’articolo completo è pubblicato su Informatore Zootecnico n. 12/2016
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