Parma, 25 novembre 2015: l’assemblea dei caseifici del Parmigiano Reggiano decide di adottare norme più restrittive a carico del lavoro degli allevatori. Con relative modifiche al disciplinare di produzione. Il vincolo forse più stringente, e che fin da qualche settimana prima aveva fatto molto discutere, è questo: d’ora in poi verrà ammesso alla trasformazione solo il latte di bovine nate e allevate nel comprensorio.
In altre parole il disciplinare di questo formaggio dop, che già impone agli allevatori vincoli non di poco conto, come l’uso prevalente di foraggi locali nell’alimentazione delle bovine, o come il divieto di impiego degli insilati, ora prevede anche che il latte destinato alla trasformazione non possa venire prodotto da vacche nate e allevate fuori dei confini del comprensorio di produzione. Quest’ultimo, ricordiamo, coincide con le province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna sinistra Reno, Mantova destra Po.
Stop dunque a vacche provenienti da fuori comprensorio, o ancora peggio dall’estero, nonché da altre filiere produttive come quelle del latte alimentare o di altri formaggi. Per queste bovine comunque era previsto un periodo di “quarantena” di quattro mesi prima che il loro latte potesse essere utilizzato per produrre Parmigiano; quattro mesi durante i quali dovevano essere alimentate secondo le norme del disciplinare.
La motivazione del giro di vite del 25 novembre è intuibile: per questo formaggio l’idea di tutela della qualità è sempre stata collegata all’idea di legame con il territorio.
Foraggi prodotti fuori comprensorio, bovine allevate fuori comprensorio, infatti, non darebbero le stesse garanzie qualitative, non potrebbero venire controllati come si deve, eccetera. Fra l’altro si tratta di un orientamento produttivo così consolidato che nessuno ormai lo mette più in discussione. E a scanso di equivoci questo collegamento tra qualità e territorio viene definito con precisione da un rigido e dettagliato disciplinare di produzione.
E c’è da dire che nonostante possa essere visto come una ulteriore restrizione alla libertà d’allevamento, il nuovo vincolo sulla provenienza delle bovine sembra abbia fatto storcere il naso soltanto a una piccola minoranza di allevatori. Almeno questo è quanto suggerisce l’esito della votazione in assemblea: approvata, per conto degli allevatori conferenti, da ben 335 caseifici, contro 73 contrari e 10 astenuti.
L’obiettivo di questa modifica al disciplinare, rafforzare ulteriormente il legame del Parmigiano con il territorio, in nome della qualità del latte, sembra dunque ben condiviso dai produttori.
Interessata anche la quantità
Il consorzio inoltre sottolinea che l’obiettivo qualità non è l’unico obiettivo della nuova norma sull’origine delle vacche. La modifica al disciplinare, infatti, “genererà contemporaneamente un effetto indotto anche sulle quantità prodotte”. Dunque si cerca di agire non solo sulla qualità del latte, ma anche sulla quantità.
Spiega il consorzio: con il nuovo vincolo “si eviteranno quei repentini e troppo consistenti aumenti produttivi che si erano verificati in passato nei periodi in cui un buon andamento dei prezzi apriva la via all’ingresso di bovine provenienti da altre filiere”. Queste nuove bovine, scontata la quarantena, provocavano un aumento delle quantità totali di latte e quindi di parmigiano, con i conseguenti squilibri di mercato.
Questo va e vieni di nuove bovine e quindi di imprevisti quantitativi di latte, ha sottolineato il presidente del consorzio Giuseppe Alai, è già stato riscontrato più volte in passato. Opponendosi a questo fenomeno con il voto dell’assemblea “i caseifici hanno fatto una precisa scelta a favore di quei produttori che legano gli investimenti e i redditi all’andamento del Parmigiano Reggiano con costanza, senza ricorrere a forme di business occasionale che producono trend depressivi sulle quotazioni e, conseguentemente, danni proprio sui redditi”.
Le altre tre principali decisioni
Questo nuovo vincolo sulla provenienza delle bovine, quindi, intende incidere sia sulla qualità che sulla quantità del latte. Ma non è l’unica decisione presa dall’assemblea dei caseifici del Parmigiano Reggiano del 25 novembre. Questa infatti ha approvato altre tre grandi modifiche al disciplinare:
- Rafforzata la lotta alle contraffazioni. Grazie all’introduzione di nuovi parametri di controllo (riguardanti isotopi, aminoacidi liberi e acido ciclopropanico), sarà possibile identificare con precisione il prodotto non originale, sia per quanto riguarda la provenienza del latte che per l’eventuale uso di prodotti vietati dal disciplinare nell’alimentazione delle bovine (insilati, ad esempio). Sarà possibile anche svelare e contrastare possibili dichiarazioni ingannevoli sulla stagionatura del prodotto.
- Stop al grasso nel latte. Nuova restrizione sul rapporto grasso / caseina al momento della produzione. Obiettivo: assicurare il mantenimento della qualità evitando possibili cedimenti sulla percentuale di lipidi nel latte, cedimenti che andrebbero a vantaggio della resa in peso.
- Sul porzionato. Apposizione, sul formaggio porzionato, dell’età di stagionatura come ulteriore atto di trasparenza nei confronti dei consumatori.
Quattro importanti decisioni, in conclusione. Che sono state presentate dal consorzio come una svolta a favore della qualità, qualità del latte e del formaggio. Il pomeriggio stesso del giorno dell’assemblea, infatti, un comunicato ufficiale del consorzio dava notizia di queste quattro novità con una frase inequivocabile: “Il Parmigiano Reggiano alza il tiro sulla qualità”.
E dal momento che il latte per il Parmigiano rappresenta una percentuale elevatissima della quantità totale di latte prodotta in Italia, più del 16%, il dossier di questo numero 21 di IZ, dedicato appunto alla qualità del latte, non poteva non aprirsi con questa notizia.
Il comunicato del consorzio spiegava: “Il Parmigiano Reggiano continua a investire sulla qualità come leva primaria per consolidare la crescita dei consumi interni (+2,3% da gennaio a fine ottobre), il buon andamento dell’export (crescita del 7,2% per il prodotto in forme o porzionato e del 14,7% per il grattugiato nei primi otto mesi del 2015) e i primi segnali di ripresa che si stanno manifestando sul fronte delle quotazioni dopo due anni di crisi. Dall’assemblea del consorzio del Parmigiano Reggiano, cui fanno capo 363 caseifici, è venuto un segnale inequivocabile in tal senso, con l’approvazione di alcune modifiche al disciplinare di produzione che incidono proprio sulla tutela della qualità e sul legame con il territorio”.
Tutela della qualità e legame con il territorio, ha sottolineato Giuseppe Alai, presidente del consorzio, “sono i primi elementi distintivi del nostro prodotto e, insieme all’assoluta naturalità, i fattori decisivi nella scelta dei consumatori. Ad essi dobbiamo ancora associare gli esiti di una più ordinata ed efficace gestione dei flussi impostata con i Piani produttivi, ma è indubbio che sul versante della qualità si va alla riaffermazione di un primato che ha consentito di fare del Parmigiano Reggiano uno dei prodotti più conosciuti ed apprezzati nel mondo”.
Novità anche per la mungitura
Fin qui ciò che è successo il 25 novembre, in grandi linee. Ecco però ora i dettagli.
La modifica al disciplinare sul legame delle vacche al territorio si inserirà nel primo capitolo del disciplinare di produzione del Parmigiano Reggiano, capitolo intitolato “Standard di produzione del formaggio”. Le precise parole di questa modifica le riportiamo nel primo box di questo articolo.
Sempre a proposito di dettagli, andando a spulciare le altre modifiche al capitolo “Standard di produzione del formaggio” troviamo non più un vincolo ma un’apertura. Un’apertura relativa alla tempistica delle operazioni di mungitura, che qualcuno ha interpretato come una storica svolta possibilista a favore dei robot di mungitura.
Intendiamoci, nel disciplinare di produzione, neppure nella sua versione pre-assemblea, non viene vietato esplicitamente l’uso di questi robot. Vengono soltanto imposte agli allevatori condizioni che ne rendono molto difficile l’impiego: permesse solo 2 mungiture al giorno, tempo di mungitura massimo per ciascuna munta 4 ore, conservazione del latte munto a più di 18 °C…
Ora però è insorta una timida possibilità anche per i robot. Lo vediamo confrontando il testo del disciplinare prima e dopo l’assemblea:
Prima dell’assemblea del 25 novembre 2015: (…) Per l’intero allevamento il tempo di mungitura di ciascuna delle due munte giornaliere consentite deve essere contenuto entro le 4 ore. Il latte della mungitura della sera e quello della mungitura del mattino sono consegnati integri al caseificio entro 2 ore dalla fine di ciascuna mungitura. Il latte non può essere sottoposto a processi di centrifugazione. Il latte può essere raffreddato immediatamente dopo la mungitura e conservato ad una temperatura non inferiore a 18 °C. (…)
Dopo l’assemblea del 25 novembre 2015: (…) Per l’intero allevamento il tempo di mungitura del latte destinato alla DOP di ciascuna delle due munte giornaliere consentite, comprensivo del relativo trasporto in caseificio, deve essere contenuto entro le 7 ore. Il latte della mungitura della sera e quello della mungitura del mattino sono consegnati integri al caseificio entro 2 ore dalla fine di ciascuna mungitura. Il latte in stalla per il tempo di mungitura e durante la conservazione può essere raffreddato ad una temperatura non inferiore a 18 °C. (…)
Insomma, le 4 ore sono diventate 7, anche se ora comprendono il trasporto. Non si dice altro, non si propone l’uso dei robot di mungitura, non si trovano divieti scritti nei confronti dei robot di mungitura.
Il regolamento di alimentazione delle bovine
Sempre continuando ad addentrarci nei dettagli delle modifiche, troviamo altre novità, piccole ma non trascurabili, in un altro grande capitolo del disciplinare, quello che si intitola “Regolamento di alimentazione delle bovine”.
Vediamo che resta invariato il messaggio principale del regolamento (il razionamento delle bovine si basa sull’impiego di foraggi del territorio) e in ogni caso gran parte del testo. Ecco invece alcune delle piccole modifiche post 25 novembre.
- La quantità di carruba e la quantità di melasso che possono essere utilizzate nei mangimi complementari composti prima era del 3% per la carruba e del 3% per il melasso. Ora queste percentuali salgono al 6%.
- Mentre prima erano ammesse nei mangimi preparazioni zuccherine e/o a base di glicole propilenico e glicerolo nella dose massima complessiva di 300 grammi/capo/giorno, ora si legge questo: (…) L’uso aziendale di preparazioni zuccherine anche in forma liquida a base di melassi (di bietola e di canna da zucchero), estratti di malto, glicole propilenico e glicerolo, da somministrare individualmente agli animali o disperse nel piatto unico, per gli animali in lattazione è limitato alla dose massima di 800 g/capo/giorno. E’ vietata la somministrazione di tali preparazioni tramite l’acqua di abbeverata.
- Nell’uso dei mangimi complementari, scende da 100 a 50 grammi/capo /giorno la dose massima consentita di oli e grassi vegetali come supporto in premiscele e per la protezione di amminoacidi, vitamine, minerali e altri nutrienti.
- Ancora nell’uso dei mangimi complementari, c’è un’altra stretta sulla quantità di lipidi che può essere somministrata agli animali in lattazione: questa non può superare il 4% della s.s. totale né i 700 grammi al giorno.
- Sparisce l’intero articolo 9, che era dedicato alla cosiddetta quarantena. In effetti la precauzione della quarantena sembra superata dalla norma sull’origine delle vacche (devono essere nate e allevate all’interno del comprensorio) di cui abbiamo parlato ampiamente nella prima parte di questo nostro servizio. In ogni caso, le norme del vecchio articolo 9 ora vengono ridefinite da un nuovo articolo 9 (che vediamo ammettere centri di rimonta autonomi) e da un nuovo articolo 10, così come riportiamo nel box.
Insomma, tra la maggiore elasticità concessa ai tempi di mungitura e le piccole aperture (lipidi a parte) nell’alimentazione delle bovine che abbiamo appena descritto, si può concludere che le decisioni del 25 novembre 2015 non sono consistite soltanto in un giro di vite. Ma che alla libertà d’azione degli allevatori in stalla è stata fatta anche qualche (piccola) concessione.
L’articolo completo è pubblicato su Informatore Zootecnico n. 21/2015
L’edicola di Informatore Zootecnico