“Crescita e tecnologia possono far rima con sostenibilità”
Cit. Marco Magnani, economista, docente di Monetary and Financial Economics alla Luiss
In tempi di Coronavirus, in cui di mascherine si parla tutti i giorni, una startup londinese, la Zelp - Zero Emission Livestock Production, cofinanziata dalla Comunità europea, ha creato una nuova “mascherina” per bovini (foto in alto).
Ma non tanto per proteggere gli animali dal Covid. Piuttosto, per catturare il metano prodotto per eruttazione e scinderlo in anidride carbonica e acqua, risultando uno strumento potenzialmente in grado di rendere il bovino un animale a “basso impatto ambientale”.
L’evoluzione tecnologica infatti è, indubbiamente, una strada indispensabile da intraprendere per rendere ancora più green un comparto che già di per sé lo è, e che ogni giorno contribuisce in maniera sostanziale a limitare quel temuto e reale cambiamento climatico che da tutto dipende ma non certamente dal comparto agro-zootecnico.
Essere sostenibili: un richiamo continuo
Il desiderio, o meglio la necessità, di una svolta green, è ormai visibile in ogni aspetto della società moderna dove i concetti di ecologia, sostenibilità e tutela dell’ambiente non si limitano ai soli grandi temi del trasporto, dell’industria e dell’energia, ma si estendono ad ogni momento della quotidianità. Si parte dalla pulizia della casa, con l’esempio eclatante del motto “grazie mamma, per un mondo più pulito”, collegato ai detersivi della Winni’s che dell’ecologico ha fatto la sua strategia di marketing principale, fino all’allestimento dell’intera casa con lo slogan di Ikea “rendi il pianeta un posto migliore in cui vivere”.
Anche la moda, che normalmente fa tendenza, questa volta ha subito le tendenze, promuovendo tessuti alternativi, il biodegradabile, il riciclo e l’eliminazione oramai completa di pellami e dei derivati animali in genere. Persino le industrie che si occupano di bellezza e cura del corpo focalizzano l’attenzione sull’ambiente, con prodotti a marchio “cosmetico-sostenibile”, la cui produzione si basa su linee guida stilate e certificate dall’Istituto per la certificazione etica e ambientale (Icea).
L’eco della sostenibilità risuona continuamente anche se purtroppo a volte si ha la sensazione che, oltre alla giusta causa, ci sia anche uno spirito un po’ speculativo. Il cambiamento climatico è invece un argomento che deve essere affrontato sempre e costantemente con grande serietà e integrità, essendo una problematica importante ed estremamente reale, come dimostrano a livello mondiale l’aumento della frequenza e della violenza dei fenomeni meteorologici ed il continuo innalzamento della temperatura terrestre.
Anche importanti ed oggettivi indicatori di “salute” dell’ecosistema (limiti di sostenibilità inerenti a processi del sistema Terra, che, se oltrepassati, potrebbero generare cambiamenti ambientali intollerabili, in grado di mettere a repentaglio l’esistenza stessa dell’uomo sul pianeta), evidenziano come alcuni dei livelli ritenuti “soglia” siano già stati raggiunti e, in alcuni casi, persino superati.
Essere sostenibili: non solo una questione etica
Come accennato, non è però la sola responsabilità etico-sociale a spingere le più grandi multinazionali ad importanti scelte in termini di sostenibilità. Modificare la propria immagine in un’ottica green è anche una forte strategia di marketing, che aumenta la fidelizzazione del cliente nei confronti del marchio ed anche la sua soddisfazione, rendendolo disponibile addirittura ad una spesa superiore per beni ritenuti “puliti”.
Il fattore “denaro” è sempre e comunque una variabile discriminante, anche perché l’”economia” è uno dei tre pilastri della sostenibilità (economia, ambiente e società) e con essa le decisioni politiche per la definizione di obiettivi, linee guida e criteri da seguire, relative agevolazioni ma anche restrizioni e penalizzazioni che andranno a rimodulare i diversi mercati a livello mondiale. Carbon Credits e Green New Deal della comunità europea ne sono un esempio estremamente attuale.
Ideologia green mercato della carne
Tra i diversi comparti sembra comunque il food quello da cui dipende la sopravvivenza o meno del pianeta, dimenticandosi però, e troppo spesso, di come gli alimenti siano indispensabili per la sopravvivenza ma in particolare per la salute dell’uomo, se la dieta è ovviamente corretta e bilanciata.
Purtroppo però, il concetto di “green” viene frequentemente distorto in un’ottica vegan-vegetariana, con la promozione e pubblicizzazione di prodotti vegetali in alternativa a quelli animali. È innegabile lo stupore di fronte a imperi dell’industria alimentare, cresciuti su prodotti di origine animale, che promuovono campagne pubblicitarie che hanno come obiettivo prioritario quello di “aiutare i consumatori a fare scelte più sostenibili, non solo aumentando il consumo medio di vegetali e pesce, ma anche sostituendo l’eccessivo consumo di carne rossa con prodotti sostenibili, nutrienti, ma anche molto buoni”, e stimolando nel consumatore il “desiderio di ridurre il consumo di carne” con la certezza di “trovare un prodotto altrettanto buono”.
La carne di sintesi poi, viene persino propinata come priva di impatto ambientale (Fig. 3), ma ancor più di rischio biologico e microbiologico, attribuendo così alla carne vera il ruolo di alimento malsano per l’uomo, quando è invece è proprio grazie alla carne che l’uomo è oggi più sano, più forte, più longevo e più intelligente.
Tali affermazioni, oltre ad essere opinabili per quanto riguarda l’impatto ambientale, perché non contemplano né il reale impatto di una produzione di massa né gli inquinanti emessi rispetto al metano prodotto dai bovini, sono assolutamente false per quanto riguarda la sicurezza igienico sanitaria.
La carne “vera” ha un basso impatto
Il marketing proposto dalle importanti multinazionali coinvolte nella produzione di questa carne di sintesi è però una vera e propria captatio benevolentiae, in grado di screditare violentemente il prodotto carne “vera”, attirando l’attenzione del consumatore che troppo spesso si approccia in maniera superficiale alle informazioni che gli vengono propinate.
La carne vera, come scientificamente dimostrato, ha invece un basso impatto ambientale (< al 6% delle emissioni totali di gas serra) e un ruolo essenziale per la salute dell’uomo. È però oramai un dato di fatto che gli slogan ed il tam-tam mediatico hanno sul consumatore una risonanza maggiore della scienza.
Dobbiamo pertanto investire e cimentarci maggiormente non solo in una concreta difesa del settore ma anche in una efficace comunicazione di quelli che sono le reali responsabilità ambientali. A riguardo, la zootecnia in generale e da carne in particolare, investe già da tempo in tal senso, attraverso la produzione di energia pulita, il risparmio idrico, l’ottimizzazione delle pratiche agronomiche, l’aumento dell’efficienza digestiva e produttiva e ancor più lo farà e lo dovrà fare con il Green New Deal, dove una quota sempre maggiore dei premi Pac (politica agricola comune), ma anche delle sanzioni, saranno connessi al greening (Pac 2030).
Certo è che il settore agro-zootecnico, che già tanto ha fatto e sta facendo in termini di sostenibilità, sta subendo invece, in maniera inesorabile, i danni che i veri responsabili dei cambiamenti ambientali causano al pianeta, e per il quale ben poco stanno facendo se paragonati all’impegno messo nel settore primario.
Basti pensare ai drammatici risvolti che lo stress da caldo causa e potrà causare in futuro sulla zootecnia e sull’agricoltura. Dalla riduzione della produttività ed efficienza (Nardone et al., 2010), fino alla compromissione della salute e della salubrità dei prodotti.
Un semplice e piccolo esempio è rappresentato dalla relazione tra aumento della temperatura e percentuale di lignina e di componenti strutturali nella pianta e la relativa riduzione della digeribilità (Polley et al., 2013; Sanz-Saez et al., 2012), o dall’ aumento della diffusione di patologie, di tipo parassitario o mediate da mosche ed insetti in genere, connesso ad un clima più caldo (Thornton et al., 2009).
Efficienza produttiva e sostenibilità
Efficienza e sostenibilità sono intimamente connesse, sono un binomio inscindibile. Animali più efficienti sono anche meno impattanti in quando le loro emissioni sono ripartite su una maggiore quantità di carne o latte. La metanogenesi ruminale, ad esempio, comporta una perdita energetica che può arrivare ad oltre il 12% dell’energia totale della dieta (Russel et a., 1992), con valori molto variabili proprio in funzione del sistema di allevamento (Tab. 1).
A riguardo, è riconosciuto come mirate strategie nutrizionali (rapporto foraggi concentrati, digeribilità della fibra etc.) o l’utilizzo di specifici additivi (olii essenziali, lieviti, funghi, azoto a lento rilascio, etc.) riducano significativamente la produzione di metano elevando produttività ed efficienza.
Efficienza è inoltre sinonimo di benessere in quanto un animale per essere molto efficiente deve essere anche molto sano.
Tecnologia e allevamento una sinergia vincente
Se nel settore della bovina da latte esiste già una forte applicazione tecnologica che soddisfa gli obiettivi di efficienza e quindi di sostenibilità (sistemi per la rilevazione dei calori e dell’attività masticatoria, automatizzazione di mungitura e alimentazione controllate da software in grado di evidenziare variazioni produttive, qualitative, comportamentali e sanitarie, elaborazione istantanea di dati e report, ecc), nell’allevamento del bovino da carne molto ancora può essere fatto.
La citata maschera è comunque, indubbiamente, funzionale sia per bovini da latte che da carne ma anche, perché no, per gli ovicaprini, mai contemplati nelle guerre mediatiche ma anch’essi ruminanti produttori di metano e in numero più che doppio rispetto ai bovini.
La maschera proposta da Zelp sembra infatti captare in “real time”, ovvero contestualmente all’eruttazione, il metano prodotto nel rumine, e, attraverso l’uso di specifici convertitori catalitici, ossidarlo, seduta stante, in anidride carbonica e acqua, con una conseguente significativa riduzione dell’impatto ambientale grazie al minor riscaldamento globale (Gwp, Global Warming Potential) esercitato dall’anidride carbonica rispetto al metano.
I test preliminari sembrano estremamente positivi: mostrano infatti una riduzione media del 26,5% delle emissioni di metano da parte degli animali che indossano il dispositivo, con punte massime del 32%, dati che risultano persino superiori a quelli perseguibili con l’utilizzo di specifici additivi mirati alla riduzione dei microrganismi ruminali produttori di metano.
Chissà cosa succederebbe ad usare tali strategie in combinazione. La maschera, oltre a neutralizzare parte del metano, raccoglie e aggrega anche un gran numero di dati quali ruminazione, movimento, frequenza e permanenza in mangiatoia, periodo di riposo e attività, indicatori sanitari e potenziali altri indicatori di malattia, fondamentali sia in termini di mandria che per elevare l’efficienza.
La “bovi-maschera” ha inoltre già superato i principali test comportamentali necessari a valutare il suo impatto sul benessere animale mentre restano ancora da affinare alcuni aspetti quali la resistenza e durabilità, nonché i rischi di rottura. Ciò nonostante la Zelp ne ha previsto il lancio sul mercato per il 2021 al prezzo estremamente interessante di 50 $.
Un occhio nel rumine
Nel ruminante, l’efficienza produttiva passa giocoforza attraverso il rumine. Oltre il 75% dell’alimento ingerito viene infatti trasformato nel rumine tramite le fermentazioni e da tali processi dipendono sia la salute che la produttività, ma anche l’emissione di metano, tra i principali “gas serra”. Il rumine quindi, se mantenuto in “buona salute”, garantisce sostenibilità, welfare ed efficienza.
La conoscenza delle sue cinetiche rappresenta pertanto un’informazione preziosissima, acquisibile però, fino a poco tempo fa, soltanto tramite pratiche invasive e di competenza medico veterinaria, come la ruminocentesi o le sonde esofagee, che fornivano inoltre informazioni non precisamente rappresentative della realtà in quanto limitate nel tempo e nello spazio (piccoli campioni da specifiche zone ruminali).
Anche in tale settore, la tecnologia mette a disposizione soluzioni efficaci e decisamente utili come i boli prestomacali, in grado di monitorare costantemente e facilmente ciò che avviene nel rumine. Si tratta di sonde dotate di sensori che, una volta ingerite, stazionano in sede ruminale e registrano, ad intervalli di 10 min, 24 ore su 24, cruciali informazioni, quali pH, temperatura e attività motoria dell’animale.
I dati passano poi, via wireless, dal rumine al computer o al telefonino dell’allevatore, elaborando allarmi come ad esempio il rischio di acidosi, il calo o aumento improvviso del pH ruminale, il calo o aumento improvviso della temperatura e la riduzione dell’efficienza alimentare.
Tali informazioni, oltre ad essere utili nella pratica quotidiana, per salvaguardare salute e produttività degli animali, consentono anche di valutare l’efficacia di specifiche strategie gestionali e nutrizionali. La principale limitazione nella diffusione di questa tecnologia è attualmente dovuta alla scarsa durata nella rilevazione del pH ruminale (3 mesi), al costo del singolo bolo (circa 400 euro) e alla difficoltà di riutilizzo su più animali.
Analisi rapida di dieta alimenti e deiezioni
Monitorare il rumine e le sue attività non è il solo sistema per poter controllare e massimizzare l’efficienza digestiva. A riguardo, anche la conoscenza delle caratteristiche chimico-fisiche degli alimenti, delle diete e delle deiezioni, rappresenta un aspetto cruciale per ottimizzare produttività e impatto ambientale. Tale opportunità è però normalmente ostacolata dalle lunghe tempistiche relative alla raccolta, spedizione dei campioni e analisi di laboratorio, oltre alla difficolta di fare un campionamento rappresentativo, aspetti che nell’insieme rendono poco efficace ed utile il ricorso alla chimica classica.
Anche in questo caso la tecnologia consente soluzioni pratiche e funzionali, come dimostra il successo a livello mondiale del Polispec (Itphotonics), Nir portatile caratterizzato da alte prestazioni e grande versatilità di utilizzo, in grado di fornire un’accurata analisi istantanea di alimenti, unifeed e deiezioni. La tecnica si basa sulla specifica capacità di ogni composto chimico di assorbire, trasmettere e riflettere le radiazioni.
Così, il Polispec analizza la riflessione di un raggio luminoso emesso dall’ottica dello strumento e, basandosi su molteplici curve di calibrazione del software, rivela la composizione chimica del campione, sia esso materia prima, unifeed o deiezioni. Definisce inoltre le caratteristiche fisiche della dieta attraverso gli indici di omogeneità (corretta ripartizione dimensionale delle diverse particelle che costituiscono l’unifeed) e di selezione (analisi dell’unifeed residuato o selezionato in mangiatoia).
L’istantaneità dell’informazione consente, non solo di bilanciare ad hoc la razione evitando gli errori che troppo frequentemente si verificano in allevamento, ma anche di verificare l’efficienza digestiva.
Attraverso il confronto tra caratteristiche della razione e caratteristiche delle feci, rapportando i parametri alla lignina, che è in pratica un naturale “marcatore” in quanto praticamente non degradato e tantomeno sintetizzato ex novo lungo il tratto digerente, è infatti possibile ottenere i valori di digeribilità di amido, proteina ed NDF e, pertanto, informazioni effettive e reali sia sull’efficienza alimentare che sulle emissioni in ambiente attraverso le deiezioni.
Quando e quanto cresco: ora il bovino ce lo può dire quotidianamente
Il sogno di ogni allevatore di bovini da carne è sempre stato quello di riuscire a sapere quanto crescono giornalmente gli animali, cioè il loro potenziale produttivo, proprio come avviene nelle lattifere con la produzione giornaliera di latte. Ciò rappresenterebbe un’incredibile evoluzione per il comparto, in quanto consentirebbe di conoscere con precisione e tempestività i risultati della propria gestione, delle strategie nutrizionali adottate ma anche la relazione tra genetica e crescita e tra peso vivo, efficienza e convenienza economica. Informerebbe sui riflessi di un evento patologico o di un miglioramento del benessere ma anche sui risultati di una determinata razza o di un determinato fornitore.
Una vera e propria rivoluzione insomma. Ebbene, attualmente sono disponibili sistemi automatici di monitoraggio del peso, quali ad esempio il Beef Monitor dell’azienda Ritchie (Ritchie Ltd) che pesa l’individuo durante l’abbeverata.
I dati raccolti, grazie ad un tag auricolare, vengono opportunamente filtrati ed elaborati fornendo giornalmente il peso del soggetto e le sue relative variazioni.
Tale sistema non può essere certamente installato in ogni box dell’allevamento sia per aspetti economici, anche se non è costoso, ma principalmente per i comprensibili limiti strutturali connessi ad una struttura già esistente, ma potrebbe essere facilmente installato in uno o due box dell’allevamento monitorando, per trasposizione, l’andamento dell’intera mandria. In termini di sostenibilità, fornirebbe informazioni estremamente strategiche, toccando ben due dei tre pilastri della sostenibilità e cioè quello economico e quello ambientale, definendo, finalmente e indiscutibilmente, il peso ideale di macellazione per ogni tipologia di animale allevato, nell’ottica di ottimizzazione sia dell’efficienza che del costo di produzione.
È infatti riconosciuto come un prolungamento eccessivo del ciclo di allevamento si rifletta in una drammatica riduzione dell’efficienza produttiva e in un altrettanto drammatico aumento del costo di produzione.
L’ottimizzazione del periodo di ingrasso stride però con quelle che sono le attuali richieste del mercato, focalizzato su mezzene ricche di grasso e carne abbondantemente marezzata. Il grasso in genere e quello intramuscolare in particolare sono infatti gli ultimi a svilupparsi e una loro esagerata presenza, come attualmente richiesto dal mercato, comporta inevitabilmente una riduzione dell’efficienza e della sostenibilità sia economica che ambientale.
Un esempio esplicito e tremendamente attuale di quanto sia a volte difficile soddisfare il consumatore perché focalizzato su aspetti in netto contrasto tra loro.
Qualità della carcassa e della carne, sarà un’ecografia a predirla
Anche in merito alla valutazione della qualità delle carcasse, della carne e del momento ideale per la macellazione, l’innovazione tecnologica sembra in grado di sorprendere.
Attualmente infatti, attraverso la rilevazione 3D dell’immagine o dell’applicazione di tecniche ecografiche a specifici punti del corpo dell’animale, risulta possibile estrapolare, con l’ausilio di specifici algoritmi e di equazioni predittive, il peso degli animali, la loro resa alla macellazione e in carne (Miller et al., 2019), ma anche le caratteristiche delle carcasse nonché la dimensione e marezzatura dei tagli.
In conclusione, emerge da questi pochi ma esplicativi esempi come la tecnologia nel settore zootecnico sia in una continua e fervida evoluzione, principalmente mirata ai grandi temi del momento e cioè sostenibilità ed esigenze ed aspettative del consumatore.
L’approccio è inoltre e come di consueto estremamente concreto e tangibile ma risuona purtroppo sempre e solo tra gli operatori del settore non giungendo invece mai o adeguatamente al consumatore.
Speriamo pertanto che la tecnologica ci fornisca anche di qualche strumento o innovazione in grado di far giungere efficacemente ai nostri consumatori sia le informazioni ma in particolare il reale ruolo che il comparto zootecnico svolge nella tutela e salvaguardare l’ambiente e del benessere e della salute dell’umanità.