Prosegue l’approfondimento voluto da Informatore Zootecnico relativamente all’allevamento della nutrice da carne e alla produzione interna di vitelli nazionali da dedicare all’ingrasso nei centri specializzati. Difatti, come già sviscerato nel precedente articolo uscito in IZ 14, la necessità di sviluppare una produzione interna di giovani animali è sempre più stringente, viste le logiche di mercato attuali, e anche le sempre più frequenti, e critiche, problematiche sanitarie, che stanno rendendo sempre più difficile, se non per certi versi impossibile, il reperimento stesso di animali, a fronte per altro di prezzi eccessivi, e non sempre corrispondenti a una qualità ottimale, sanitaria e genetica, della partita all’acquisto.
Questo senza considerare, per altro, che il consumatore attuale ricerca, nel prodotto carne, caratteristiche qualitative nutrizionali “particolari” ma anche extra-sensoriali quali la territorialità, l’etica di allevamento, e il rispetto del benessere animale e dell’ambiente, che possono ulteriormente sposarsi con una filiera produttiva maggiormente nazionale, valorizzandola ulteriormente, soprattutto se accompagnata da campagne di informazione puntuali e rappresentative.
I presupposti quindi per rimarcare ulteriormente la necessità di sviluppare e ottimizzare l’allevamento delle nostre nutrici italiane, sia autoctone che non, sono chiari, così come lo dovrebbe essere la sua potenziale redditività economica.
I numeri, come ad esempio il patrimonio di vacche nutrici ad oggi presente sul territorio (si parla di una presenza media annua di circa 481.000 vacche nutrici, tra autoctone e non, sul suolo italiano n.d.r.) e la percentuale di vitelli italiani da carne ingrassati sul totale della produzione (mediamente 30% dei macellati totali, ed includendo per altro anche gli incroci a carne rossa derivati dagli allevamenti da latte) raccontano tuttavia, a eccezione della Piemontese, di una realtà fortemente di nicchia, limitata per altro ad alcune precise zone geografiche, spesso definibili come aree marginali, dove si parla principalmente di allevamenti bradi, quasi di sussistenza, piuttosto che di realtà a elevata efficienza.
In questo senso, infatti, sussistono ancora diversi limiti dovuti sia alla scarsità degli incentivi istituzionali attualmente presenti per tale comparto, ma anche alle criticità e problematiche intrinseche nel sistema, nelle pratiche e nelle tecniche di allevamento, e alla scarsa azione di miglioramento e avanzamento tecnico e conoscitivo dedicata a questo settore su larga scala.

Tradizionalmente, infatti, si associa all’allevamento linea vacca-vitello il concetto di “rusticità estrema”, quasi come se fosse un allevamento da dedicare principalmente alla sussistenza, che, se da una parte è anche vero se si considerano le capacità adattative, cozza con la necessità di rendere questo comparto il più efficiente, redditizio e anche gratificante possibile per l’allevatore, avvicinando potenzialmente nuovi attori e ampliando quindi le consistenze numeriche presenti.
Al fine, pertanto, di elevare questo sistema produttivo, per rispondere sempre di più alle richieste di vitelli IT e di elevata qualità, si prospetta la necessità di riflettere su alcune tematiche legate al management dell’allevamento linea vacca-vitello.
La centralità della gestione nutrizionale
A riguardo, oltre ovviamente ad aspetti legati alle strutture e al benessere animale, l’alimentazione fa la parte del leone, come già ben riconosciuto sia nella bovina da latte che nelle altre specie di interesse zootecnico, per l’importante ruolo che svolge sulla riproduzione e sulla salute del giovane animale.
Troppo spesso viene riposta infatti scarsa attenzione in particolare alla gestione nutrizionale sia della vacca nutrice ma anche del vitello, che rappresenta un altro punto fondamentale. A causa della supposta “rusticità” della nutrice, si ritiene sufficiente il pascolo, o una dieta esclusivamente a base di foraggi o materie prime povere, ipotizzando che “non serva altro” per soddisfare i fabbisogni della nutrice e, di riflesso, anche del vitello da lei allevato.
Un’adeguata gestione nutrizionale risulta invece, anche in questo comparto, il punto cruciale, il costo di attuazione non deve spaventare gli allevatori, per i numerosi rivolti positivi in termini di fertilità e produttività per la nutrice e di salute e crescita del vitello.
Il primo step nella definizione degli obiettivi
Fermo restando l’aver capito che la sola alimentazione a pascolo o con diete povere non rappresenta più il maggior vantaggio, anche dal punto di vista economico, ma anzi una criticità, il primo step chiave è quello di definire gli obiettivi produttivi. Ovvero quello che ci si aspetta dalla nutrice e dal vitello per capire come con l’alimentazione si può agire in miglioramento.
Partendo dalla vacca nutrice, ecco quelli che dovrebbero essere i punti cardini da considerare:
- che si ingravidi precocemente e mantenga la gravidanza;
- che dia alla luce un vitello ben conformato;
- che sia in grado di ottimizzare la sua salute tramite un colostro di qualità;
- che lo nutra con latte di qualità senza “consumarsi eccessivamente”;
- che, da manza, l’età al primo parto si mantenga entro range accettabili, a immagine di una corretta crescita e sviluppo corporeo, oltre che del mantenimento di uno stato di salute ottimale, durante il periodo di crescita.
Similmente, anche per il vitello ci si dovrebbero porre degli importanti obiettivi produttivi che spaziano da:
- la riduzione della mortalità e morbidità;
- la massimizzazione della crescita e del peso corporeo allo svezzamento;
- la massimizzazione della capacità di assumere ed efficientemente digerire alimento solido.
Tutti questi sono aspetti fondamentali per garantire la massimizzazione delle performance produttive dell’allevamento linea vacca-vitello, con importanti risvolti economici per l’allevatore, ma anche con importanti effetti sulle performance poi dei vitelli una volta all’ingrasso.
Alla luce di questi obiettivi, emerge chiaramente come l’alimentazione copra un ruolo fondamentale, sia in fatto di rispetto dei fabbisogni di base che in fatto di apporto di specifici micronutrienti con proprietà bioattive, che possono supportare specifiche funzioni metaboliche fondamentali in un’ottica di salute e redditività.
Per altro, molto spesso si presentano, come per la vacca da latte, interessanti interconnessioni tra l’alimentazione materna e lo sviluppo, la crescita e la salute della progenie, che nella linea vacca vitello non vengono osservate con la corretta attenzione. E in tal senso, anche per la vacca nutrice andrebbero applicati diversi regimi nutrizionali specifici a seconda della fase produttiva e riproduttiva, in quanto variano in maniera importante i fabbisogni, evitando quindi di usare una sola dieta per l’intera lattazione e asciutta o di non integrare correttamente il pascolo in specifici momenti produttivi.
Alimentazione della nutrice nel post parto: tra ripresa della fertilità e sviluppo del feto
Il primo punto che sicuramente salta all’occhio quando si parla di efficienza e redditività in relazione alla vacca nutrice è sicuramente l’aspetto legato alla fertilità. Interparto lungo, difficoltà a tornare in calore e a mantenere la gravidanza sono infatti argomenti, e lamentele, comuni nell’allevamento linea vacca-vitello. Non è infatti infrequente trovare allevamenti con più di 400 giorni di interparto. E questa “difficoltà” in fatto di fertilità si ribalta sul numero di vitelli nati e poi svezzati per anno, il cui tasso (rapporto vitelli/vacca), come già sottolineato nel precedente “Vacca nutrice: oplà” si attesta su un bassissimo 0.5-0.6 in media per le realtà italiane, indicando pertanto interparti lunghi e, complessivamente, difficoltà a ingravidarsi serenamente per la maggior parte delle vacche in età riproduttiva.
Se in questo senso la genetica ha comunque un ruolo importante, è interessante notare come anche nel caso della limousine e della piemontese, per cui la selezione genetica è più avanzata, il dato si attesta comunque su uno 0.5-0.6, a indicare che quindi il ruolo della gestione alimentare e delle caratteristiche dell’alimento somministrato sono estremamente rilevati.
Esattamente come per la vacca da latte, la nutrice prima di tutto è una riproduttrice, con i medesimi e complessi meccanismi fisiologici, oltre che la gerarchia tra gli stessi e la relazione con i fabbisogni nutrizionali. Ad esempio, nel caso di una nutrice allattante, la produzione di latte per il vitello è l’aspetto sicuramente più importante da soddisfare in primo luogo, al netto dei fabbisogni di mantenimento minimi. La ripresa della fertilità, al contrario, non rappresenta fisiologicamente una criticità, e gli vengono dedicati nutrienti solo in condizione di totale soddisfacimento dei requisiti per la produzione lattea.
La disponibilità reale quindi di nutrienti e il perfetto soddisfacimento dei fabbisogni specifici per la riproduzione, è quindi la chiave.
In una condizione di privazione energetica, o di non corretto soddisfacimento dei fabbisogni proteici, anche non estremi ma comunque sensibili, come può avvenire in caso di dieta unica o di solo pascolo, il primo meccanismo fisiologico ad essere messo in standby è la ripresa della ciclicità ovarica e della fertilità. E tutto questo per una carenza di nutrienti!
E non, come si sente spesso nella pratica, per l’effetto della suzione del vitello sulla produzione ormonale materna. Questo supposto ruolo della suzione sull’assetto ormonale e riproduttivo è stato completamente smentito, sottolineando invece ulteriormente il ruolo delle carenze nutrizionali anche in questo senso, sull’espressione e produzione di numerosi ormoni e fattori di crescita dalla riconosciuta attività stimolante lo sviluppo follicolare. Ne risente quindi anche la frequenza pulsatile dell’ormone luteinizzante, che peggiora ulteriormente la condizione di anestro.
Anche la componente proteica, non solo in termini quantitativi ma anche qualitativi e di contenuto di amminoacidi essenziali come la metionina e la lisina sta specificatamente assumendo un ruolo sempre più interessante, con evidenze nella vacca da latte che un miglioramento nel soddisfacimento amminoacidico può sia limitare gli effetti negativi del bilancio energetico negativo nel post parto ma anche migliorare le caratteristiche e la composizione degli embrioni, in termini soprattutto di contenuto lipidico e di tipologia di acidi grassi, tutti fattori correlati a una migliore qualità dell’embrione, che si traduce in un calo potenziale dei riassorbimenti embrionali e delle perdite di gravidanza (Toledo et al. 2017).
Per altro, il soddisfacimento dei fabbisogni proteici anche nella prima fase di gravidanza, è fondamentale per garantire lo sviluppo uterino del feto, e soprattutto delle fibre muscolari, il cui numero si stabilisce in questo stadio di sviluppo e non può poi essere modificato dopo la nascita.
Le potenzialità produttive della progenie si stabiliscono pertanto in questa fase e sono strettamente correlate con la nutrizione proteica della nutrice. È la proteina, infatti, a portare alla produzione dei principali fattori di crescita che portano allo sviluppo e alla duplicazione delle fibre muscolari del feto. Le evidenze del ruolo della supplementazione materna in fatto di proteina sulle performance della progenie sono evidenti (tabella 1), sia sull’ingrasso che sulla produzione della rimonta, riducendo l’età alla pubertà e migliorando il pregnancy rate nella progenie femminile, come risultato di un migliore sviluppo intrauterino.
Tabella 1 - Effetto dell’uso di un supplemento proteico durante la gestazione sulle performance produttive della progenie all’ingrasso. | ||||||
Studio 1 1 | Studio 22 | Studio 33 | ||||
No supplemento | Si supplemento | No supplemento | Si supplemento | No supplemento | Si supplemento | |
Peso svezzamento, kg | 210a | 222b | 210a | 216b | 233a | 240b |
Assunzione, kg | 11.15a | 12.05b | 8.48 | 8.53 | 8.98a | 9.19b |
IPMG4, kg/d | 1.60x | 1.60b | 1.57 | 1.56 | 1.66 | 1.70 |
1Studio 1: Stalker et al., 2007; 2Studio 2: Stalker et al. (2006); 3Studio 3: Larson et al., 2009; 4IPMG: incremento di peso medio giornaliero |
Consigli pratici per la gestione nutrizionale della vacca nutrice
Risulta evidente che la presunta rusticità della vacca nutrice, a cui teoricamente potrebbe bastare un pascolo o una dieta mediocre a basso costo, è solo una strategia adattativa messa in atto dall’animale che però non gli consente di esplicare al meglio il suo potenziale produttivo, specialmente in presenza di genetica di qualità, con importanti perdite economiche non solo sulla vacca ma anche sul vitello, per via delle minori rese durante l’ingrasso.
È quindi fondamentale anche per la vacca nutrice prevedere un piano nutrizionale quanto più preciso possibile e che comprenda variazioni negli apporti proteici ed energetici a seconda della fase produttiva.
In questo senso la suddivisione degli animali in almeno due gruppi alimentari (tabella 2), sulla base dello stadio produttivo, con diete e gestioni specifiche è assolutamente fondamentale. A riguardo, in tabella 2, si riportano i valori nutrizionali ritenuti corretti per nutrici Limousine dal parto ai primi 7 mesi, momento più critico sia per la fertilità che per lo sviluppo uterino del nuovo embrione, e per animali dall’ 7° mese post-parto. Tali valori possono essere applicati alla maggior parte delle razze da carne ma non alla Chianina e alla Charolaise i cui fabbisogni devono essere aumentati dal 20 al 30 % per un corretto soddisfacimento dei loro fabbisogni.
Tabella 2 - Esempio di gestione nutrizionale per nutrici Limousine dal parto a 7 mesi post parto e a partire dal 7 mese post parto. | ||
Dal parto a 7 mesi | >7 mesi | |
Assunzione, s.s.1, kg | 11-13 (Vacche) | 08-ott |
UFC2, capo/giorno | 08-ott | 05-lug |
Proteina grezza, g/capo/giorno | 1000-1300 | 600-800 |
Amido, g/capo/giorno | 800-1200 | <800 |
Lipidi, g/capo/giorno | 250-350 | <250 |
Ca3, g/capo/giorno | >70 | >40 |
P4, g/capo/giorno | >30 | >20 |
1s.s.: sostanza secca; 2UFC: unità foraggere carne; 3Ca: calcio;4P: fosforo |
Nello specifico, la dieta post-parto deve essere caratterizzata da un livello nutritivo maggiore, al fine di soddisfare adeguatamente le richieste relative alla corretta produzione di latte, alla ripresa dell’attività ovarica e allo sviluppo della gravidanza. È fondamentale quindi curare il contenuto energetico usando fonti amidacee come mais, orzo, frumento, co-prodotti derivanti dall’industria alimentare (mais dolce, biscotti, pane, ecc), in abbinamento alle tradizionali fonti di fibra. Anche il contenuto proteico e soprattutto il valore delle fonti usate in fatto di amminoacidi risulta determinante.
E questo al netto di potenziali discussioni su supplementi a integrazioni ancora più specifiche, come l’uso di fonti di acidi grassi omega-tre o di prodotti naturali volti magari a limitare lo stato proinfiammatorio nel post-parto con riflessi interessanti anche sulla fertilità e la salute ovarica e uterina, che possono sicuramente rappresentare soluzioni ulteriormente migliorative.
Il potenziale aumento di costo non deve spaventare l’allevatore, visto il grande ritorno economico dovuto all’aumento dei vitelli nati e svezzati, e della loro qualità, in abbinamento anche alla riduzione dei giorni improduttivi per vacca, come spiegato anche nel precedente articolo “Vacca nutrice: oplà”.
A partire dal settimo mese post-parto, momento in cui il vitello è pronto per lo svezzamento, e la nuova gravidanza è oramai già avanzata, i fabbisogni e la tipologia di alimenti utilizzati possono essere rimodulati, con l’obiettivo sia di contenere i costi ma anche di evitare un ingrassamento eccessivo dell’animale, che può portare a problemi al parto e a un peggioramento della salute del futuro vitello in abbinamento a un rischio di peggior bilancio energetico negativo dopo il parto.
Alimentazione materna, il ruolo sul colostro
Se è vero che i fabbisogni della vacca nella seconda parte di gestazione sono meno stringenti e pressanti, non deve però passare il messaggio che quanto fatto in questa fase non abbia un effetto significativo. Infatti, fermo restando che casi eccessivi di sovra o sottoalimentazione in questa fase portano all’aumento di rischio di criticità al momento del parto, con maggiore produzione di cortisolo materno e più alto rischio di acidosi respiratoria nel vitello, che conseguentemente sarà disvitale, l’alimentazione materna nell’ultimo periodo di gravidanza ha un ruolo fondamentale su un aspetto chiave per assicurare e massimizzare la salute e la protezione del vitello neonato: il colostro.
Il vitello infatti alla nascita, a causa della costituzione specifica della placenta materna, è completamente privo di difese immunitarie e per altro la funzionalità del suo sistema immunitario è precaria, rendendolo potenzialmente scoperto per oltre 5-6 settimane di vita, momento in cui gli anticorpi autoprodotti iniziano a essere rilevanti, per arrivare a un’immunocompetenza completa solo a 10 settimane.
In questo periodo iniziale, che è in assoluto il più critico perché è quello in cui si concentrano sia la mortalità che l’incidenza delle principali problematiche sanitarie, entra in gioco la componente materna tramite il colostro. Il colostro ha infatti il ruolo di fornire, nel più breve tempo possibile, al vitello l’immunità derivante dalla madre, costituita principalmente da immunoglobuline (principalmente IgG), ma anche da cellule immunitarie materne.
Le immunoglobuline che poi verranno trasferite nel colostro iniziano già a formarsi a partire dalle ultime 5-6 settimane di gravidanza e al fine di massimizzarne e ottimizzarne la loro produzione è possibile mettere in pratica specifiche strategie nutrizionali.

A riguardo la componente proteica e soprattutto amminoacidica, e una specifica integrazione, possono svolgere un ruolo particolarmente rilevante. L’utilizzo specifico di fonti proteiche di alta qualità e di elevato valore biologico o di amminoacidi rumino-protetti essenziali, come lisina e metionina (figura 1), elevano le caratteristiche del colostro prodotto, in particolare in termini di Brix (unità di misura del contenuto di immunoglobuline), con risvolti positivi sul contenuto di immunoglobuline sieriche nei vitelli, a immagine sia di un più alto contenuto delle stesse nel colostro che di un migliore assorbimento intestinale (Wang et al., 2021).
Per altro, anche i parametri relativi alle performance risultano significativamente e positivamente influenzati dal miglioramento della qualità del colostro, come risultato quindi di un vitello maggiormente resiliente e pronto a iniziare al meglio la sua vita produttiva (figura 2).

La chiave del vitello sano
Anche un’integrazione mirata può svolgere un ruolo interessante nella nutrice. Nello specifico, vitamine come la E e minerali come il selenio, che hanno un ruolo di rilievo sia nella produzione e nell’assorbimento intestinale delle immunoglobuline, che nel mantenimento e miglioramento dello status antiossidante del siero, hanno dimostrato di avere un effetto di stimolo sulla nutrice con risvolti positivi su salute e performance delle progenie all’ingrasso, come conseguenza di un miglioramento dello stato sanitario.
Agendo quindi su questi nutrienti “fini” in abbinamento al soddisfacimento dei fabbisogni “standard” dei macronutrienti anche nella fase finale della gestazione si possono ottenere risultati di tutto rilievo in termini economici e di performance. Il miglioramento dell’immunità nelle prime ore di vita è infatti collegato strettamente a una migliore resistenza alle patologie tipiche del periodo neonatale, che rappresentano un’importante causa sia di mortalità che di perdita economica (trattamenti antibiotici+perdita di crescita). Il vitello ben colostrato “parte” quindi meglio.
Attenzione però che la riuscita di una buona colostratura non dipende soltanto dalla qualità del colostro ma anche da alcuni aspetti “gestionali”.
Le tempistiche di assunzione sono in primo luogo essenziali sia per garantire da subito la protezione contro gli agenti patogeni che l’animale può incontrare alla nascita (soprattutto rilevante se, come in molti casi per la vacca nutrice il parto avviene in condizioni stabulative non ottimali!) ma anche in relazione al velocissimo calo sia della permeabilità intestinale (già più che dimezzata dopo meno di 6 ore dalla nascita) e anche del contenuto stesso di IgG nel colostro nella mammella, che cala rapidamente nell’arco delle prime ore.
Anche la contaminazione microbica sia della mammella, che conseguentemente del vitello, possono concorrere a peggiorare la condizione di rischio. E questi aspetti nell’allevamento della vacca nutrice possono rappresentare una criticità, non sempre adeguatamente gestita, ma anzi spesso lasciata alla “naturalità” (anche eccessiva). Non è infatti infrequente che gli animali partoriscano al pascolo, all’aperto, senza quindi controllo e possibilità di monitorare l’effettivo consumo di colostro e tanto meno le tempistiche. Ma anche quando gli animali sono stabulati, non è infrequente che le condizioni di stabulazione non siano ottimali per numerosità e pulizia, esponendo l’animale neonato a un rischio superiore.
Sarebbe quindi estremamente migliorativo porre maggiore attenzione a questa fase, sia dal punto di vista strutturale, che nutrizionale e manageriale, prestando attenzione a tutti questi aspetti che sono determinanti per una corretta riuscita della colostratura e predisponendo anche periodiche valutazioni sia della qualità del colostro che del risultato della colostratura, valutabili con un semplice prelievo ematico dei vitelli neonati e la titolazione delle IgG e delle proteine totali.
A riguardo, si riportano le nuove linee guida indicatrici di qualità della colostratura proposte da Lombard et al. (2020), che hanno rivoluzionato i parametri normalmente considerati come funzionali e che ulteriormente sottolineano il ruolo chiave della gestione del colostro e del vitello neonato per garantire allo stesso le migliori potenzialità sanitarie e produttive (tabella 3).
Tabella 3 - Nuove linee guida per la valutazione della colostratura nel vitello | ||||
Categorie valutazione trasferimento immunità | IgG sieriche, g/L | Equivalente proteine totali sieriche, g/dL | Equivalente Brix, % | % di soggetti |
Eccellente | ≥25.0 | ≥6.2 | ≥9.4 | >40 |
Buona | 18.0-24.9 | 5.8-6.1 | 8.9-9.3 | ~30 |
Sufficiente | 10.0-17.9 | 5.1-5.7 | 8.1-8.8 | ~20 |
Insufficiente | <10.0 | <5.1 | <8.1 | <10 |
Lombard et all. (2020) |
Nello specifico si è passati dall’utilizzo del tradizionale cut off di 10g/L di IgG e di 5.2 g/L di proteine totali nel siero a un minimo di 18 g/L di IgG e di 5,8 g/L di proteine totali, e a un sistema di valutazione di “mandria”, dove l’obiettivo è quello di massimizzare frequenza dei vitelli nelle classi più alte (> 18 g/L di IgG e >5.8 g proteine totali nel siero). Questa categorizzazione e attenzione ha portato nella realtà americana a un sostanziale miglioramento della salute nella vitellaia, che vista la basilare importanza economica che assume nella linea vacca vitello, rappresenta un punto di cruciale importanza e interesse nell’allevamento della nutrice, dove il vitello rappresenta l’unico ritorno economico.
È centrale lo sviluppo del rumine nel vitello
Passata la fase colostrale, il latte materno copre assolutamente i fabbisogni nutrizionali del giovane vitello, questo dando per assodato che la nutrice sia correttamente alimentata in questa fase senza condizioni di critiche carenze. Essendo infatti un “monogastrico funzionale” per il primo periodo di vita, il latte, che viene digerito a livello abomasale, e che presenta il profilo proteico e acidico migliore e più efficiente dal punto di vista di capacità digestiva, rappresenta il miglior alimento possibile.
Tuttavia, fare solo affidamento sul latte materno, anche se eventualmente accompagnato dal pascolo o dall’assunzione di quota, parte della dieta materna, per il sostentamento del giovane animale, non è una scelta vincente se gli obiettivi sono massimizzare la crescita durante il periodo di svezzamento ma anche “preparare” al meglio il vitello affinché sia pronto ad affrontare la transizione verso l’ingrasso con successo garantendo performance ottimali e assenza di problematiche digestive.
In questo senso lo sviluppo del rumine, sia anatomico che di microbiota, dovrebbe essere messo al centro dell’attenzione: per questo serve avvicinare il prima possibile il vitello all’assunzione di alimento solido e per altro con caratteristiche peculiari per aiutarlo in questo processo. A riguardo, la fibra da sola, anche se da pascolo o insilati, non è sufficiente per ottenere i risultati migliori. Inizialmente risulta infatti indigeribile dal giovane rumine e sebbene stimoli la ruminazione non porta alla corretta produzione di acidi grassi volatili, tra cui il butirrato, che sono fondamentali precursori per lo sviluppo dell’epitelio ruminale, in quanto “nutrono” le cellule che costituiscono la parete ruminale, stimolando lo sviluppo e la moltiplicazione delle papille ruminali. Tali acidi grassi sono principalmente prodotti da materie prime “fermentescibili” come i cereali, ricche in amidi e zuccheri, per altro caratterizzate da un’elevata appetibilità.
In questo senso quindi la somministrazione di un mangime starter, in mangiatoie separate precisamente formulato per essere appetibile e ricco di precursori della produzione di acidi grassi volatili nel rumine, ha un testimoniato ruolo chiave sullo sviluppo del rumine, che poi si traduce in un miglioramento dell’incremento e del peso allo svezzamento (interessante ritorno economico per l’allevatore), e un calo dei costi sanitari e riflessi addirittura visibili nel successivo periodo di ingrasso (tabella 4).
Tuttavia, proprio alla luce del percorso evolutivo che deve intraprendere il rumine del giovane vitello, particolare attenzione va riposta da un lato nell’evitare eccessi di fermentescibilità e dall’altro nel garantire un’adeguata struttura al mangime somministrato. La struttura del mangime risulta infatti determinante per fornire il corretto stimolo fisico sulle pareti del rumine, volto ad attivare la parte muscolare che è centrale nello sviluppo della ruminazione.
In questo senso quindi, una forma fisica grossolana (mash, granelle intere o spezzate etc) a fronte di mangimi sfarinati finemente o pellettati, è assolutamente da preferire al fine di garantire un efficace e cruciale stimolo meccanico. L’uso di materie prime grossolane ha inoltre il vantaggio di rallentare la degradabilità a livello ruminale evitando i rischi connessi a una eccessiva fermentescibilità. Il pellet è infine sconsigliato dal momento che una volta giunto nel rumine dà origine alle particelle molto fini che lo costituiscono che oltre a essere prive di funzione meccanica e di stimolo della ruminazione sono altamente fermentescibili.
Per altro, fornire un’altra fonte nutritiva al vitello allattante permette di “scaricare” in parte la nutrice per il suo sostentamento, rendendogli disponibile una maggior quantità di nutrienti da destinare ai fabbisogni riproduttivi, ottimizzando quindi l’intervallo interparto e il bilancio economico dell’allevamento.
Conclusioni
Il principale “take home message” di questo articolo è il necessario cambiamento concettuale dell’allevamento della linea vacca-vitello: la nutrice e il giovane animale non sono più una produzione marginale, fatta per occupare territori di per sé non utilizzabili spendendo poco. Sono da considerarsi in tutto e per tutto come un allevamento altamente tecnico e specializzato, al pari della produzione di latte. Questo ovviamente se l’obiettivo è quello di muoversi da una produzione marginale a un sistema efficiente capace di massimizzare e supportare la produzione di carne italiana e al contempo l’economia dell’allevatore di vacche nutrici.