Il forte deficit di vacche nutrici del nostro paese prende origine negli anni ’60, quando la visione di un’Italia industriale non solo toglieva l’interesse verso tale tipologia di allevamento, ma addirittura stimolava l’abbandono delle zone ad esso vocate, per mobilizzare la forza lavoro verso le città e i centri industriali ad esse vicini.
Le zone della bassa montagna e della collina erano persino tempestate da cartelli riportanti “area marginale” o “zona depressa”, che inducevano una sensazione quasi di inutilità, o persino di vergogna, in coloro che le abitavano, quando invece rappresentavano aree cruciali e vitali, non solo per l’economia, ma anche per la salute ambientale del paese.
La Francia invece sviluppava nello stesso periodo un percorso esattamente opposto, sostenendo e supportando il settore della linea vacca vitello con attività di specializzazione, professionalizzazione, cooperativismo e anche valorizzazione. Nel non poi così tanto lontano 1980, l’Italia contava oltre 12 milioni di bovini, e il tracollo agli attuali 5,3 milioni non ha certamente riguardato solo la vacca da latte, ma indiscutibilmente e violentemente anche quella da carne, sia a singola che a duplice attitudine.
Una visione miope, senza senso e senza logica quella italiana, a cui oggi si vorrebbe porre rimedio con facilità e semplicità affermando, a voce alta in riunioni istituzionali, “servono le vacche nutrici”, “ripopoliamo i pascoli”, non pensando che competenze e professionalità si perdono rapidamente ed è complesso, e lungo, ricrearle, che servono cultura e motivazione (e non solo economica), che i pascoli sono da recuperare e spesso presidiati da selvatici intoccabili, e infine, ma certamente non da ultimo, che è un lavoro faticoso ed estremamente impegnativo, che andava mantenuto e protetto all’epoca, perché oggi di italiani, o presunti tali, che hanno la voglia e la tempra di “camminare in salita” ce ne sono oramai ben pochi.
Beef from dairy soluzione semplicistica
Ma anche la semplicistica soluzione, anch’essa da molti divulgata come il rimedio dei rimedi, semplice e rapido, di ottenere incroci da carne dall’allevamento da latte, il famoso “beef from dairy”, rappresenta un’ulteriore visione miope e non basata su concretezza di numeri e di fattibilità.
Una concretezza che ad oggi risulta invece cruciale per il futuro del settore in Italia e per un’autonomia, anche se parziale, di approvvigionamento di vitelli, che risulta indispensabile non solo sotto gli aspetti economici ma anche per quelli di sostenibilità, benessere, consumo di antimicrobici, nonché per le richieste del mercato e le aspettative del consumatore.
Eh già, perché se si fa un semplice conto di quanti vitelli nascono in Italia all’anno da vacche da latte di ogni razza e si tolgono i decessi e i vitelli già assorbiti dal comparto carne bianca (comparto che già ne acquista oltre 130 mila all’anno dall’estero per insufficienza nazionale), ci si rende conto che anche utilizzando seme sessato, e a partire da domani come se fosse semplice, e lasciando un 33% di rimonta necessaria per il settore latte (Banca Dati Nazionale Zootecnica 2024), forse riusciremmo ad ottenere 100-150 mila vitelli da ingrassare sugli oltre 1.250.000 acquistati all’anno dall’estero.
Emerge pertanto che il ricorso alla produzione di un incrocio da carne non dovrebbe essere altro che una scelta gestionale dell’allevatore da latte, volta esclusivamente a una maggiore valorizzazione economica del baliotto alla vendita nelle attuali condizioni di mercato; e che promuovere su larga scala il progetto “beef on dairy” non sarebbe la scelta istituzionalmente corretta per risolvere il problema di approvvigionamento di ristalli per la produzione di carne rossa.
Vacca nutrice, serve un progetto nazionale
Conseguentemente, risulta indispensabile e irrinunciabile intervenire con risolutezza, e prepotentemente, nel promuovere e dare nuovo sviluppo al settore della vacca nutrice, con un progetto di rilevanza nazionale, e voluto dal governo, che preveda sostegni finanziari senza precedenti, e che contempli a 360 gradi anche gli aspetti legati al territorio, alla società, all’ambiente fino alla filiera. Il momento è infatti cruciale.
La mancanza di vitelli da carne ma in particolar modo di allevatori di nutrici è un problema europeo (e la Francia ne è un esempio eclatante - tabella 1), conseguenza di un allontanamento dalle zone rurali sempre più importante, della mancanza del ricambio generazionale, della fatica che il lavoro comporta, dell’immagine e reputazione ingiustamente attribuita agli allevatori e dei risicati margini di guadagno che hanno caratterizzato il passato.
Tab. 1 - Trend relativo al numero di vacche nutrici in Francia, per razza (.000 capi) | |||
Razza | 2013 | 2023 | Variazione 2013-2023 |
Charolaise | 1530 | 1236 | -19% |
Limousine | 1029 | 1035 | 1% |
Montbeliarde | 638 | 566 | -11% |
Blonde d'Aquitaine | 487 | 406 | -17% |
Normande | 373 | 260 | -30% |
Aubrac | 165 | 239 | 45% |
Salers | 202 | 203 | 1% |
Incroci | 588 | 582 | -1% |
Altre razze | 285 | 315 | 11% |
Fonte dei dati: Istitut de l'Elevage. |
A questo si abbina un’esponenziale richiesta da parte di paesi emergenti di giovani vitelli da ingrassare, che non solo non si fermerà ma diventerà sempre più importante e pressante. L’aumento drammatico (che sia ben chiaro, drammatico solo per la difficoltà di riuscire a soddisfarlo) della richiesta di carne a livello globale, che vede un aumento del consumo dagli attuali 340 milioni di tonnellate a quasi 700 milioni di tonnellate nel 2050, include infatti anche la carne bovina, seppur in misura proporzionalmente inferiore rispetto alle carni avicole e suine.
Fino a pochi mesi fa la carne al supermercato era concepita come un mero servizio al consumatore, rispetto al suo valore appariva perfino sminuita, maltrattata e indiscutibilmente non valorizzata. Anonima, senza arte né parte, senza ruoli, senza storia e senza “stile”.
Ma c’è una netta inversione di tendenza
Sembra impossibile che stia accadendo tutto così in fretta, il valore del vitello e del vitellone raddoppiati in pochi mesi, lo spettro della mancanza di merce. Ci si chiede: ma come è possibile che i grandi stakeholders del settore non sapessero, non guardassero i numeri, non analizzassero e studiassero i trend, gli andamenti sociali e gli andamenti dei consumi. E invece è proprio così, oplà!
Questo è uno tsunami che non avrà un ritorno alle condizioni del passato, uno tsunami che a 24 anni di distanza ha finalmente portato il giusto cambio delle lire in euro, che ha riguardato tutti i beni ad eccezione della carne bovina e fino a poco tempo fa anche del latte, anche al settore dell’allevamento e della carne bovina. Questo è il primo passo per ridare il giusto valore a un alimento alla base della salute e dell’evoluzione dell’uomo.
A questo si associa un’evidente netta inversione di tendenza nelle informazioni riguardanti la carne bovina e la sua relazione con la salute del consumatore e del pianeta, che grazie ad un arduo lavoro iniziato da Carni Sostenibili e da alcuni scienziati, medici ed opinionisti, si sta diffondendo a macchia d’olio e rapidamente tra i comuni cittadini, sempre più interessati a una dieta sana e sostenibile. Insomma sembra che stia iniziando una nuova era per il comparto del bovino da carne dove verranno ridefiniti i giusti ruoli e i giusti valori. Sta di fatto però che le vacche nutrici mancano, quindi mancano i vitelli e quindi la carne che da essi deriva.
Il problema è una impropria gestione nutrizionale
Il binomio vacca nutrice e vitello non è però e purtroppo matematico, e lo dimostra il conteggio presentato alla fiera Agriumbria, di Bastia Umbra (Pg), relativo al numero di vitelli da carne nati per vacca nutrice presente in Italia nel corso del 2024 (tabella 2).
Tab. 2 - Numero di vitelli da carne nati per vacca nutrice nel 2024 in Italia (Bdn) | |
Razza | Rapporto vacca/vitello |
Chianina | 0,5 |
Limousine | 0,51 |
Marchigiana | 0,42 |
Piemontese | 0,65 |
Romagnola | 0,45 |
Rapporto calcolato su base annua: numero di vitelli 0-6 mesi x 2 / numero femmine > 24 mesi | |
Fonte dei dati: Banca dati nazionale. |
Conteggio dal quale emerge l’importanza di un supporto tecnico e informativo al fine di evitare inefficienze in un settore numericamente già deficitario.
I dati riportati in tabella potrebbero in realtà essere leggermente migliori se si considera che nella realtà italiana non è frequente un’età al primo parto vicina ai 24 mesi, ma normalmente più prossima ai 30 mesi. Un parto tra i 24 mesi e i 25 mesi dovrebbe però rappresentare un obiettivo anche nel settore della vacca nutrice per ottimizzare produttività ed efficienza avvalorando pertanto la veridicità di quanto indicato in tabella.
L’interparto è comunque il parametro che condiziona il rapporto vitelli/vacca per anno e il non raggiungimento del risultato auspicabile (dovrebbe rappresentare la normalità nella realtà italiana linea vacca-vitello avere un vitello ogni anno per vacca presente) è principalmente dovuto a una impropria gestione nutrizionale.
Troppo spesso, infatti, non si ripone la dovuta importanza alla gestione dei gruppi produttivi, e in particolare al soddisfacimento dei fabbisogni della vacca nutrice che sta allattando. A causa della sua supposta “rusticità”, la maggior parte degli allevatori ritengono sufficiente un’alimentazione esclusivamente basata su foraggi o sul pascolo, supponendo che sia adeguata a coprire le necessità nutrizionali. Una dieta di questo genere, invece, può al massimo soddisfare il fabbisogno minimo di mantenimento, ma non è certamente adeguata a massimizzare le performance riproduttive, la salute e crescita del vitello e un bilancio economico redditizio.
La somministrazione di diete povere, non bilanciate e fabbricate utilizzando foraggi di scarsa qualità e alimenti di scarso valore nutritivo con l’intento di contenere i costi di produzione, si rivela infatti controproducente, dal momento che un razionamento inadeguato si riflette sempre in una compromissione della fertilità, in associazione a forti ripercussioni sulla salute e sullo sviluppo dei vitelli. I principali e macroscopici punti critici della gestione nutrizionale dell’allevamento linea vacca-vitello, sia esso al pascolo o confinato, riguardano il livello energetico e proteico delle diete.
Energia e proteina, fattori chiave sia per la nutrice che per il vitello
L’energia. Lo squilibrio tra input e output energetico che avviene con l’inizio della lattazione, non è una prerogativa della bovina da latte ma lo è di tutti i mammiferi. Anche la bufala, animale talmente rustico da dipendere ai fini riproduttivi dal fotoperiodo, va in bilancio energetico negativo nel post-parto.
Vero è che l’entità di questo deficit energetico è proporzionale alla quantità di latte prodotto, ma pur essendo la vacca nutrice molto meno produttiva della frisona, il deficit che deve affrontare è comunque in grado di ritardare il concepimento allungando l’intervallo interparto con riflessi drammatici sulla produttività dell’allevamento (figura 1).

Va inoltre precisato che i livelli di prolattina e di corticosteroidi prodotti dalla nutrice a seguito della suzione del vitello hanno un effetto minimo di inibizione dell’asse ipotalamo-ipofisi-ovaio rispetto a quelli indotto da un deficit nutrizionale (Yavas and Walton, 2000). La credenza che la vacca non si ingravidi perché ha “sotto” il vitello è pertanto una credenza, e una corretta gestione nutrizionale consente di ingravidare la nutrice già a partire dal secondo calore dopo il parto. Vacche da carne non in bilancio energetico negativo (quindi che non stanno perdendo peso), e che allattano il vitello, hanno uno sviluppo follicolare corretto e un’ovulazione all’inizio del secondo mese post parto adeguata per il concepimento, garantendo l’importante obiettivo di produrre un vitello all’anno (Martin et al., 2010).
All’inizio della lattazione i fabbisogni sono ovviamente più elevati dal momento che devono soddisfare sia la produzione lattea in progressivo aumento che i nutrienti necessari per la ripresa della ciclicità riproduttiva. Sottoalimentare la nutrice in questa fase penalizza non solo la fertilità ma anche la produzione lattea in termini sia quantitativi che qualitativi, con ripercussioni negative sulla crescita e salute del vitello (figura 2). I livelli nutritivi della nutrice nel post parto e durante l’allattamento sono pertanto chiaramente superiori a quelli forniti dai soli foraggi, e richiedono una specifica integrazione con alimenti energetici in primis, ma anche proteici.

A riguardo, il fabbisogno energetico può essere soddisfatto attraverso insilati di cereali o dalle classiche fonti amidacee come mais, orzo e frumento, ma anche da coprodotti derivanti dall’industria alimentare (mais dolce, biscotti, pane, ecc). L’apporto energetico della nutrice nei primi 4-5 mesi post parto va chiaramente modulato in relazione al sistema di allevamento e del tipo genetico.
La proteina. Il secondo punto critico alla base di una corretta gestione nutrizionale della nutrice è rappresentato dall’apporto proteico. Una limitazione proteica durante la gestazione si traduce infatti in una riduzione dei livelli di ormoni e fattori di crescita essenziali per il corretto sviluppo dell’embrione (Sinclair et al., 2016). Tale condizione è ancora più penalizzante per la manza gravida che si trova in una situazione di competizione con il feto per i nutrienti, in quanto non ha ancora completato il suo sviluppo corporeo (Hernan- dez-Medrano et al., 2015).
I medesimi ormoni e fattori di crescita che vengono penalizzati da una carenza energetica, risultano anche meno espressi in condizioni di insufficiente apporto proteico, con evidenti ripercussioni sul feto. La leptina e le IGF-1 strettamente dipendenti dall’apporto proteico, regolano rispettivamente l’appetito, il metabolismo e lo sviluppo muscolare (Sinclair et al., 2016). Per tali ragioni, anche nella nutrice risulta determinante non solo soddisfare correttamente l’apporto proteico ma differenziarlo anche vacca nelle sue diverse fasi produttive e manza gravida.
Infine, un corretto apporto proteico nella nutrice svolge un ruolo talmente importante sullo sviluppo del feto, sul suo assetto immunitario e sulla sua capacità di risposta alle patologie in generale, da essere addirittura significativamente correlata alla riduzione delle patologie respiratorie del vitello durante la successiva fase di ingrasso (Larson et al., 2009).
Integrazione alimentare
Anche la salute e le performance di crescita del vitello, in quanto unico prodotto nell’allevamento della nutrice, devono essere ottimizzate e massimizzate attraverso una specifica integrazione alimentare da rendere disponibile in abbinamento al latte materno.
Il corretto soddisfacimento dei fabbisogni nutrizionali del vitello viene infatti spesso disatteso in quanto, con il progredire della lattazione, diminuisce la produzione di latte della nutrice e tale aspetto, anche in presenza di un pascolo eccellente, non consente al giovane animale di manifestare il suo potenziale di crescita.
L’integrazione con un mangime adeguatamente formulato si traduce inoltre in un ulteriore ed eclatante miglioramento della fertilità della nutrice che, limitando la mobilizzazione delle riserve corporee per produrre latte grazie al contributo del mangime nel soddisfacimento dei fabbisogni del vitello, ha a disposizione una maggiore quota energetica per la sfera riproduttiva.
Conclusioni
Nell’allevamento linea vacca vitello, sia esso confinato o al pascolo, il benessere, l’ambiente e il management rivestono un ruolo determinante ai fini delle performance riproduttive e produttive. Un’adeguata gestione nutrizionale della nutrice risulta però il punto cruciale e non deve spaventare gli allevatori in quanto pur aumentando apparente il costo di produzione, si traduce invece in un guadagno almeno pari al doppio dell’investimento grazie ai vantaggi che ne derivano in termini di fertilità, salute e crescita del vitello. Considerando che la disponibilità di ristalli rappresenta il punto critico del processo produttivo a livello globale e il punto di partenza per soddisfare l’enorme richiesta di carne che caratterizzerà gli anni a venire, il miglioramento delle tecniche di allevamento in tale settore risulta fondamentale e imprescindibile.