Sono tanti gli spunti interessanti che si colgono chiacchierando con Paolo Sassi (nella foto), veterinario buiatra e anche allevatore, che si divide tra la libera professione, tutta in stalle da latte del comprensorio del Parmigiano Reggiano, e la sua stalla, con una settantina di vacche in mungitura, di razza Reggiana. Già quest’ultimo dettaglio dice qualcosa sulla sua propensione a guardare un po’ oltre schemi e modelli che per tanto tempo hanno definito le coordinate operative dell’allevamento da latte, ma che ora, alla luce di situazioni ed esigenze radicalmente cambiate rispetto al passato, richiedono forse un approccio più critico.
Sassi, partiamo da una fotografia del settore. Come vedi la situazione delle stalle nell’area del Parmigiano Reggiano?
Vedo una certa sofferenza finanziaria nelle stalle, che si nota con chiarezza da un paio d’anni. Vedendola dall’esterno è un po’ una situazione di paradosso: il prodotto, infatti, è ancora ben quotato, ma le spese sono aumentate tantissimo, e questo vale sia per le stalle che per i caseifici. Tutto ciò schiaccia drammaticamente i margini di guadagno, che ora si stanno assottigliando pericolosamente. Non va dimenticato che noi del Parmigiano Reggiano – e mi ci metto anch’io come allevatore - siamo sempre stati un'isola felice rispetto ad aziende in altre aree produttive dove da tempo c'era la necessità di fare un'analisi strettissima dei costi, anche giornaliera, perché sempre sul filo del rasoio quanto a marginalità. Le nostre aziende a Parmigiano Reggiano non sono abituate, parlando in generale, a questo tipo di approccio analitico riguardo alla parte finanziaria e in particolare al controllo dei costi. Gli strumenti informatici per farlo ci sono e sono molti, ma direi che è soprattutto una questione di mentalità, di mancanza di abitudine.
Tutto ciò però diventa un problema allorché si tratta di decidere degli investimenti in azienda…
Esatto. Come si può valutare la redditività di un investimento o, ancora meglio, scegliere tra due differenti investimenti volti a migliorare la redditività della stalla rispetto alla situazione di partenza, senza un sistematico approccio di bilancio e di ragionamento sui costi? Se non fai un business plan, se non hai una visione precisa dei tuoi costi, del loro andamento nel medio periodo, delle aree a maggiore criticità, anche un ottimo investimento sulla carta diventa un salto nel buio. O, per spiegare meglio: c’è il rischio che non sia indirizzato nel punto dove esso potrebbe determinare l’incremento di redditività più importante.
L’obiettivo di fare qualche litro di latte in più non basta?
Certo, magari faccio qualche litro di latte in più. Ma il punto è sempre quello di capire quale è il litro di latte in più a cui conviene fermarsi, perché andare oltre sarebbe una perdita e non un guadagno. La grande questione dell'ultimo litro di latte a cui conviene fermarsi riguarda tutti quegli input inseriti per dare una spinta alla produzione. Ed è poco affrontata e quasi mai in maniera analitica. Perché per riuscirci è necessario avere una fotografia esatta e costantemente aggiornata dei costi e un approccio di bilancio. Non dico che sia facile, ma spesso manca proprio anche la volontà di cominciare a seguire questo approccio.
Per la zootecnica da latte proprio la massima produzione è però da tempo la stella polare, il punto di riferimento di tante se non tutte le scelte operative. Questo è un dato che può quindi diventare fuorviante. Pensi di andare sempre meglio, di guadagnare di più, e invece non è così…
Spesso la produzione molto spinta comporta problematiche di alimentazione, che deve essere più attenta, mirata, tecnologica, cose non sempre facile da gestire per quantità, per regolarità, per omogeneità delle razioni. Questo si traduce in dismetabolie di vario genere, crescita delle problematiche riproduttive, necessità di ricorrere a farmaci e spesso porta a una riforma anticipata delle bovine. Non dico con questo che bisognerebbe tornare indietro, alla zootecnica di una volta, non avrebbe senso: semplicemente dovremmo cominciare a muoverci anche in altre direzioni rispetto a quella fin qui percorse. In estrema sintesi: meglio una maggiore longevità che lattazioni da record che durano solo due lattazioni.
Ritieni che siano troppo poche le lattazioni medie nelle stalle italiane per garantire redditività?
Direi proprio di sì. Se avessimo la possibilità di allungare la carriera produttiva delle bovine in stalla portandola a tre lattazioni di media (quindi aggiungendo poco meno di una lattazione rispetto alla media attuale), avremmo risolto gran parte dei nostri problemi. Questo ci permetterebbe di ridurre del 40% la quota di rimonta, che è un costo pesantissimo per le aziende ancora poco percepito. Un costo in termini di alimentazione, di spandimenti, di lavoro, di spazi e strutture necessarie.
Dove si deve lavorare maggiormente per questo obiettivo?
Parlando in linea generale - perché ci sono chiaramente stalle dove tutti i settori sono condotti alla perfezione - direi che il settore della vitellaia e della rimonta in generale è quello dove ancora si registrano deficit di attenzione e dove, a mio avviso, c’è da fare un lavoro di perfezionamento nelle strutture, nei protocolli, nelle attenzioni. Si tende a concentrarsi molto, anche negli investimenti, sulle vacche in produzione, senza fare molto per il settore della rimonta
E poi?
Si potrebbe fare di più anche sul versante genetico. Io sono un sostenitore del crossbreeding. Un crossbreeding fatto con un approccio scientifico, e non improvvisato, può aiutare ad avere animali resistenti, produttivi e con una maggiore capacità di durare in stalla. Questa attenzione alla longevità degli animali la si può ottenere lavorando anche con la razza pura, intendiamoci: l’importante è avere bene in mente che è l’obiettivo principale e fare scelte selettive sempre orientate a questo obiettivo e un po’ meno agli aspetti strettamente produttivi.
A tuo avviso, frequentando per lavoro tante stalle che fanno latte da Parmigiano Reggiano, c'è la percezione che produrre all'interno di questa filiera di eccellenza richieda degli obblighi in più rispetto a una “semplice” produzione di latte? Che si debba essere un po’ meglio degli altri perché il consumatore si aspetta di più da chi fa latte per un formaggio che è anche un brand internazionale?
Direi un po’ sì e un po’ no. Si sa che facciamo un prodotto eccezionale. Un po’ meno diffusa è la mentalità che anche il segmento dell'allevamento debba essere il “primo della classe” e in questa posizione si debba mantenere continuamente, aggiornando i propri protocolli produttivi alle richieste del consumatore e delle filiere. Dopotutto sono loro che decretano, col loro acquisto e con i prezzi che sono disposti a pagare, l'eccellenza del prodotto finale. La filiera del Parmigiano Reggiano è una filiera mediaticamente estremamente esposta e quindi tutto quello che può fare un danno ha un impatto molto superiore rispetto ad altre filiere. Sulla consapevolezza di questo c’è ancora da lavorare.
Francesco Verna - spp@parmigianoreggiano.it
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