Il veterinario Andrea Campani da tanti anni svolge la sua attività di buiatra nelle stalle del comprensorio, di pianura e di montagna, piccole e grandi, 3-4 mila vacche controllate. Nella foto Campani è il primo a destra, ripreso assieme ai colleghi Margherita Rambaldi e Simone Cigarini.
Agisce sempre a stretto contatto con gli allevatori, lavorando sui problemi del presente, ma anche cercando di anticipare tendenze e necessità, come il miglioramento del benessere animale o la riduzione del consumo di antibiotici. E proprio da qui partiamo per questa breve chiacchierata.
Il consumatore è molto attento al benessere animale e ancora di più lo sono quelle associazioni che rappresentano il consumatore e sono molto attive nel portare avanti un’idea di allevamento spesso molto distante da quella classificata come intensiva. Per una produzione di eccellenza come il Parmigiano Reggiano che guarda a tutto il mondo il benessere animale è perciò un fattore strategico. Come valuti la situazione entrando ogni giorno nelle stalle?
Sul benessere animale si possono fare più considerazioni. Cominciamo col dire che è una condizione essenziale per allevare oggi e lo sarà ancora di più domani. Su questo non ho dubbi e lo considero un passaggio importante per essere più presentabili al consumatore.
Ma direi che lavorare sul benessere animale nella propria stalla è un fatto che può portare a miglioramenti importanti anche per la redditività della stalla stessa. Penso che su questo tema ci sia stato negli anni un approccio sbagliato, avendo presentato il benessere animale come una imposizione calata dall’alto sulle stalle, che imponeva ulteriori oneri all’allevatore.
È mancata la parte educativa, nello specifico indicare agli allevatori come lavorando su aspetti importanti del benessere animale gli animali stanno meglio e, soprattutto, non si perde latte.
Quali sono i punti di resistenza maggiori?
Da almeno dieci anni faccio corsi su questo tema e noto che uno dei passaggi su cui si registrano ancora riserve e resistenze è quello della riduzione delle densità di capi in stalla. Si fa fatica a uscire dalla logica del massimo numero di capi possibile, anche se è dimostrato che spesso, riducendo i capi e quindi dando più benessere animale, il latte che si fa è lo stesso.
C’è poi la questione delle stalle legate, che nel nostro territorio sono presenti in maniera ancora significativa. Su questo c’è una chiusura totale del consumatore e bisognerà trovare soluzioni alternative in allevamento, ma convincere gli allevatori interessati non è facile. Sicuramente è una questione aperta.
È interessante la tua declinazione delle check list sul benessere animale come strumento di autovalutazione e analisi…
Esatto. Trovo utile anche questa lettura delle check list che inquadrano il benessere animale: non una mera elencazione di adeguamenti a cui sottostare, ma una traccia utile per leggere la situazione di benessere animale della propria stalla e le direttrici su cui lavorare e investire. A tutto vantaggio del benessere animale, certo, ma anche della gestione complessiva e della redditività della stalla.
E sull’inserimento di aree di pascolo o, meglio, di aree esterne alla stalla di libero movimento per le vacche, a significato funzionale più che alimentare quindi, cosa ne pensi? Quando si parla di benessere si arriva sempre dritti a questo argomento.
Noto scetticismo tra gli allevatori e la paura di molti che questo porti a una minore ingestione di alimento delle bovine. Personalmente lo apprezzo e lo ritengo un fatto positivo e auspicabile, ma concretamente vedo una sua possibilità di sviluppo immediata come area “per il pubblico”, una sorta di vetrina della stalla che ne migliori la percezione di essa verso l’esterno.
Più benessere animale significa anche meno problemi sanitari e quindi minore necessità di trattamenti, altro tema caldo. Cosa vedi la cosa dalla tua prospettiva?
Sicuramente questo è un punto di grande attualità che richiede la massima attenzione per l’allevatore, perché l’occhio del consumatore è più che mai sensibile su questo punto. Ritengo però che la situazione sia molto migliorata nel tempo. Sicuramente un passaggio importante è stato quello della ricetta elettronica, che ha portato tutto sotto controllo veterinario, togliendo di mezzo quei circuiti opachi dei tempi passati e la mancanza di dati certi sull’effettive quantità di farmaci utilizzate.
Altrettanto utile è stato ed è tuttora il lavoro di formazione e spiegazione rivolto agli allevatori, impegno che mi occupa anche personalmente molto. Credo che anche per questo, in buona parte delle stalle che seguo, il passaggio all’asciutta selettiva non ha creato particolari problemi ma è stato semmai un adeguamento gestionale naturale. Sulla questione farmaci credo sia mancata un po’ da parte della struttura pubblica la parte educativa, lasciando spazio solo a quella impositiva.
Lavorare per razionalizzare il consumo di antibiotici conviene sempre?
Sì. Perché accontenta le richieste del consumatore, ma è anche una via per un miglioramento complessivo dell’azienda, per la sua operatività, per la sua redditività e sostenibilità.
Questi sono tempi complicati da contingenze esterne che si riflettono anche sull’azienda da latte. Qual è il tuo consiglio finale per l’azienda da latte?
Sicuramente quello di lavorare per essere il più autosufficienti possibile per l’alimentazione degli animali. Si vede in questo periodo come la stalla maggiormente esposta alle variazioni di mercato sia quella che soffre di più economicamente. Questo vuol dire anche un equilibrio migliore tra la consistenza della stalla e la terra disponibile, con un ritorno a una dimensione più “naturale” che va incontro anche a quel che il consumatore chiede.
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