La Commissione europea, per voce della propria presidente, la tedesca Ursula von der Leyen, dimostrando una sensibilità forse maggiore rispetto alle posizioni espresse negli ultimi mesi e anni da alcuni rappresentanti dello stesso Parlamento europeo, ha di recente dato un segnale nuovo e “dialogante” verso le ragioni degli allevatori in merito alle ripetute rimostranze sui danni ed i pericoli derivanti alle attività umane dalla presenza in sovrannumero della specie lupo.
È datata, infatti, agli inizi di settembre una nota stampa di von der Leyen che sembra aprire spiragli concreti verso la possibilità di rivedere il livello di protezione dei lupi nel territorio dell’Ue (ma in realtà la materia interessa anche cittadini e allevatori di Paesi confinanti, come, ad esempio, la Svizzera, che dell’Ue non fanno parte, ma che partecipano attivamente al dibattito sulla gestione delle migrazioni tra territori di grandi carnivori e sulle loro predazioni).
La presidente parte dalla riflessione che «la concentrazione di branchi di lupi in alcune regioni d’Europa è diventata un pericolo reale per il bestiame e, potenzialmente, per gli esseri umani». Una situazione che era già evidentemente sotto gli occhi dell’opinione pubblica continentale da diverso tempo, ma la vera novità è che ora si potrebbe finalmente passare da una situazione statica di conservazione dello status quo a una vera gestione della specie.
Una raccolta di dati sui lupi e sul loro impatto
Assieme alla nota stampa della presidenza, la Commissione europea ha invitato le autorità locali a «intervenire ove necessario e a sfruttare appieno le deroghe esistenti» alla direttiva Habitat e ha avviato una raccolta dati sulle popolazioni di lupi e sul loro impatto, rivolta a tutti le parti interessate, fornendo un indirizzo di posta certificata cui inviare eventuali contributi e informazioni utili alla consultazione pubblica entro il termine (assai ristretto) del 22 settembre 2023.
C’è da dire che già dall’aprile di quest’anno la Commissione aveva iniziato a raccogliere dati dai gruppi di esperti e dai principali portatori di interessi, nonché quelli comunicati dalle autorità nazionali nel quadro della vigente legislazione internazionale e dell’Ue, rilevando però che queste informazioni non fornivano ancora un quadro completo sufficiente per consentire alla Commissione di elaborare ulteriori azioni rendendo opportuno un ampliamento della consultazione.
Abbandono di pascoli e aziende zootecniche
Il prossimo passo, sulla base dei dati raccolti, potrebbe portare la Commissione a decidere su un’eventuale proposta volta a modificare, in caso di valutazione favorevole, lo status di protezione del lupo all’interno dell’Ue e ad aggiornare il quadro giuridico per introdurre una gestione della specie capace di tener conto, nei singoli territori, di una pluralità di fattori quali:
- la numerosità degli esemplari,
- la presenza di ibridi,
- le peculiarità di esemplari particolarmente aggressivi, del contesto ambientale e del grado di antropizzazione delle aree interessate dalla presenza di canidi selvatici.
Occorre anche considerare che l’aumentata presenza del lupo ha causato, soprattutto in alcune aree dell’arco alpino, il progressivo abbandono di zone di pascolamento, di malghe e aziende zootecniche.
Fin da prima del mese di aprile il Comitato direttivo dell’Aia - su proposta del consigliere altoatesino Johann Karl Berger - aveva assunto una mozione sui grandi carnivori (lupi e orsi) che era stata trasmessa al Masaf e al ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, informando che la mozione stessa era finalizzata ad ottenere, da parte del Governo, la stesura di un Piano di gestione dei grandi carnivori da sottoporre alla Commissione europea.
Secondo i dati Ispra presenti oltre 3mila lupi in Italia
Nel documento allegato alla mozione, si ricordavano, tra gli altri, i numeri derivanti dal primo monitoraggio nazionale sulla presenza del lupo in Italia, coordinato dall’Ispra su mandato del Mite (Ministero della transizione ecologica). I dati sono stati raccolti tra ottobre 2020 ed aprile 2021 (quindi abbastanza recenti) e hanno permesso di stimare il numero di lupi e la concentrazione delle aree occupate. I risultati ufficiali di questa indagine sono stati consegnati nel maggio 2022 dall’Ispra al Mite.
Lo studio è da ritenersi sicuramente autorevole e dettagliato. Nella campagna di campionamento sono stati, infatti, raccolti:
- 24.490 segni di presenza della specie,
- con 6.250 avvistamenti fotografici documentati da fototrappole,
- 491 carcasse di animali (ungulati) predati da lupo,
- 1.310 tracce riconducibili a lupi,
- 171 lupi trovati morti.
Inoltre, su 1.500 escrementi dei 16 mila registrati sono state condotte analisi genetiche che hanno permesso l’identificazione della specie.
La stima della popolazione di lupo a livello nazionale porta a un numero superiore ai 3mila soggetti.
Necessario contenerne l’impatto per una doppia tutela
Il risultato indica chiaramente che la popolazione di lupi nel nostro Paese è molto cresciuta negli ultimi anni, soprattutto nelle regioni alpine. A sottolineare che il problema della gestione del lupo non interessa esclusivamente gli allevatori, ma riguarda tutti i cittadini, pure di quelli che hanno molto a cuore la tutela e conservazione della specie. Nel documento si sottolinea anche il fenomeno della cosiddetta “ibridazione”, proprio come fattore di minaccia per la conservazione della specie stessa, e che sono state condotte analisi genetiche volte ad una maggiore consapevolezza e conoscenza sulla reale situazione di questa popolazione animale.
Nel documento l’Aia rileva che «andrebbero completate le azioni necessarie a implementare l’accettazione sociale della presenza del grande carnivoro evitando una eccessiva concentrazione di esemplari in alcuni areali.»
Necessiterebbe quindi, da parte del legislatore e del decisore politico-amministrativo, farsi carico delle iniziative adatte a contenere l’impatto della presenza di lupi nel contesto delle attività di produzione zootecnica e in rapporto alle popolazioni locali.
Nocentini: «Ci aspettiamo decisioni in tempi rapidi»
«Qualcosa, finalmente, pare si stia muovendo – afferma il presidente dell’Aia, Roberto Nocentini –. Come allevatori stiamo da anni denunciando il problema delle predazioni nelle nostre aziende da parte di lupi, in branchi, od anche di singoli animali.»
«Abbiamo seguìto per mesi i vari passaggi istituzionali, da quando il Parlamento europeo aveva adottato una risoluzione che chiedeva di rendere più flessibile lo status di protezione del lupo. Era stato però abbastanza sconfortante apprendere che la Commissione europea, nell’ambito della riunione del Comitato permanente della Convenzione di Berna, aveva votato contro il declassamento che, qualora fosse stato accolto, avrebbe aperto anche ad un declassamento della protezione in ambito Ue.»
«Ora ci aspettiamo decisioni chiare e congrue ed in tempi rapidi, perché ogni giorno, settimana o mese che passa gli allevatori continuano a veder messi in pericolo il proprio lavoro e il benessere dei propri animali, soprattutto di quelli che passano gran parte del tempo al pascolo brado o semibrado».
Non è solo, tuttavia, secondo Nocentini, una preoccupazione della categoria: il problema della gestione dei lupi interessa tutti i cittadini, come si è visto anche in occasione di incidenti causati dall’eccessiva proliferazione dei cinghiali e i problemi sanitari portati fin dentro gli allevamenti.
«Aia, da parte sua – ha aggiunto Nocentini –, ha offerto alle Istituzioni competenti da subito la propria disponibilità alla collaborazione, anche per fornire tutti i dati che possono essere raccolti sul fenomeno della diffusione dei lupi in zone con presenza di allevamenti nonché sul numero e sull’entità delle predazioni».
Pillole di Leo
Il progetto Leo ha sviluppato l’Indicatore di sostenibilità ambientale. Questo indicatore, in base alla consistenza delle varie categorie zootecniche, dei livelli produttivi dell’azienda e del peso vivo medio, stima il livello di metano enterico emesso in un anno.
I dati raccolti dal progetto diventano i fattori delle formule proposte da IPCC (capitolo 10, report IPCC 2019). Il calcolo tiene conto della presenza dei capi delle diverse categorie per l’intero anno e offre una stima annuale del metano enterico. La stima viene calcolata a capo/giorno e a kg latte prodotto al giorno.
L’impiego di questo indicatore è utile per controllare i livelli di emissione in un’azienda zootecnica e quindi per corrispondere alle imposizioni di legge sulle strategie di mitigazione al fine di contrastare gli impatti dei cambiamenti climatici prevenendo o diminuendo l’emissione di gas a effetto serra (Ges) nell’atmosfera.
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