Uno degli obiettivi primari del convegno Progetto Leo: domande e risposte per una zootecnia in transizione era quello di condensare in poche ore, nell’arco di una mattinata, i principali risultati ottenuti in circa sette anni di lavoro di costruzione e realizzazione del Progetto Leo (acronimo di Livestock environment opendata) che ha consentito la nascita di una enorme banca dati condivisa, sfruttando le potenzialità dei Big data, grazie al lavoro dei partner
- Istituto Sperimentale Italiano Lazzaro Spallanzani di Rivolta d’Adda (Cremona),
- Izsam “G. Caporale” di Teramo,
- Izsum “Togo Rosati” di Perugia,
- Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza-Cremona,
- Università della Tuscia di Viterbo,
- Università degli Studi di Palermo,
- ConSDABI, Bluarancio, capofila l’Associazione Italiana Allevatori,
- sotto la regìa del Masaf, Autorità di Gestione (Psrn 2014/2020, sottomisura 16.2).
Evento più innovativo con domande e risposte
Lo stesso evento, nel nome di una continua innovazione, ha seguìto un’impronta diversa dai consueti format convegnistici: nel presentare a grandi linee i risultati del Progetto Leo, infatti, sono stati trattati, in modo interattivo e bidirezionale, i principali temi d’attualità del settore zootecnico, affidando la conduzione delle domande e risposte a Massimiliano Ossini, noto volto televisivo dell’emittente pubblica, che ha nel suo curriculum anche trasmissioni strettamente legate all’agricoltura e all’ambiente.
Il moderatore ha stimolato i sette panelist e i sei relatori sull’utilizzo dei Big Data, sulla digitalizzazione e integrazione delle fonti dati, sulla sostenibilità e sul cambiamento climatico, sul benessere animale, sulla biodiversità, sulle filiere e sulla sovranità alimentare, sull’assistenza tecnica e sull’informatizzazione delle aziende.
La formula ha riscontrato pieno successo: oltre ai numerosi intervenuti in presenza presso la Sala Manzoni del Centro Congressi Roma Eventi Fontana di Trevi, quasi 300 utenti hanno seguìto la diretta streaming sulla pagina Fb dedicata al progetto.
I lavori sono stati introdotti dal presidente e dal direttore generale dell’Aia (associazione italiana allevatori), Roberto Nocentini e Mauro Donda, e da Francesco Bongiovanni, dirigente della Disr VII “Valorizzazione della biodiversità animale” del ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste.
Un’enorme raccolta di dati durata sei anni
Bongiovanni ha ricordato in breve la genesi del Progetto Leo, che, come indicato anche a livello comunitario, ha avuto tra gli obiettivi generali anche quello di indirizzare la zootecnia nazionale verso una maggior sostenibilità, pure per contrastare la crescente criminalizzazione del settore allevatoriale.
Per mettere in discussione le false teorie in circolazione e dire no alle fake news discriminatorie, ha detto, tra l’altro, c’era bisogno di produrre e presentare dati certi, incontestabili, per esempio sulle effettive emissioni di metano in zootecnia, sulla reale portata del fenomeno della antibiotico-resistenza, sui criteri e parametri di valutazione del benessere animale. «Si trattava di proporre un modello vincente – ha affermato – e con il Progetto Leo ci siamo riusciti, anche grazie alla lungimiranza di alcune Regioni che hanno destinato risorse per la sua realizzazione. Nel percorso durato circa sei anni – ha aggiunto – si sono raccolti e organizzati dati che saranno utili anche per la programmazione dei prossimi Psr».
Obiettivo, ragionare sul futuro e dare un séguito alla banca dati
Concetti ripresi anche da Simona Angelini, direttore generale dello Sviluppo rurale del Masaf che, dopo aver ricordato l’azione di disseminazione dei contenuti del Progetto esplicitata in altri precedenti eventi di presentazione, ha rassicurato la platea sull’impegno a tutto tondo del Masaf a favore del settore zootecnico, anche per quanto riguarda la revisione di alcuni ecoschemi in vista della prossima programmazione Pac.
«Il Progetto Leo – ha affermato Angelini – è importantissimo, tanto che si sta lavorando per capire come dare un seguito alla infrastruttura finora realizzata, tenendo anche presente il forte orientamento verso la tutela ambientale che sarà contenuto nelle nuove politiche agricole comunitarie. Il nostro dicastero – ha detto tra l’altro – ha dovuto, già prima come Mipaaf, affermarsi in sede di Conferenza Stato-Regioni e ciò dovrà essere fatto anche in vista dei provvedimenti in cantiere sui pagamenti diretti, sulla zootecnia biologica, sull’antimicrobico-resistenza, sui livelli di pascolamento. È evidente a tutti quanto la zootecnia pesi anche in termini di presidio del territorio».
L’alta dirigente Masaf ha anche voluto pubblicamente ringraziare Luca Buttazzoni, direttore del Crea Zootecnia, presente in sala, per il costante e continuo supporto e confronto sui temi riguardanti l’allevamento nazionale.
Il contributo di panelist e il confronto tra relatori
La formula domanda e risposta ha consentito un agile confronto, animato dai panelist: prima a intervenire, e a fornire risposte sugli impatti di Ia (Intelligenza artificiale) e Big data, anche per le potenzialità introducibili nelle produzioni agro-zootecniche, Barbara Vecchi, responsabile dell’Ufficio Gestione e progetti dell’Ifab (International foundation big data and artificial intelligence), organismo indipendente, con sede a Bologna, territorio nel quale sta nascendo il più grande polo europeo di gestione delle grandi banche dati informatizzate. «Data space – ha informato la relatrice – è già una realtà europea, ed è una immensa opportunità utile in diversi settori produttivi proprio per l’utilizzo di Big data, in maniera organizzata. L’avvento dei Big data ha cambiato la possibilità di confrontare tra loro dati che prima non erano raffrontabili. Avere a disposizione una gran massa di dati – ha poi affermato – è utile solo se questi sono ben gestiti».
Giorgia Lodi, tecnologa dell’Istituto di Scienze e tecnologie della cognizione del Cnr, ha sottolineato l’importanza della semantica, proprio per una miglior gestione dei dati. «Stabilire criteri semantici – ha detto tra l’altro – è fondamentale soprattutto per le macchine. Confermo che a livello europeo la Dg Agri sta creando un Data space per l’agricoltura e, quindi, mi sento di incoraggiare una infrastruttura come Leo anche perché potrebbe avere una certa importanza in un futuro non molto lontano pure il riuso dei dati open, cioè, aperti».
Oltre 4 miliardi di dati raccolti in 19 aziende zootecniche
Questi concetti sono stati confermati anche da Riccardo Negrini, direttore tecnico dell’Aia e coordinatore scientifico del Progetto Leo. «In Europa – ha detto – anche grazie a progetti come il nostro, possiamo arrivare prima di altri. Specifico però che un sistema di Big data funziona solo se è “vivo”, ovvero se è continuamente alimentato, così come è stato fatto con Leo».
Negrini ha supportato questa affermazione con alcuni numeri significativi. Oltre quelli già evidenziati anche da Donda, che ha parlato di oltre 4 miliardi (4.765.820.514 dati nel database Leo al 23 novembre 2023) di dati raccolti in circa 19 aziende zootecniche che hanno partecipato al progetto, il grafo della conoscenza di Leo è costituito da circa 15 miliardi di “triplette” (si tratta di 3 informazioni in una, cioè Id-Data-misura) che, tanto per dare un’idea, se rapportabili a una misura fisica, esprimerebbero la dimensione di 300 milioni di fogli formato A4, 2 volte e un quarto il giro del Mondo!
Il flusso dati, con Leo, è stato superiore a 40 milioni/anno (60 milioni di data logger e da sensoristiche Plf, 650 milioni di dati raccolti dal progetto, 38 milioni forniti dall’aeronautica militare, 300 milioni in cooperazione applicativa con Siall, Bdn, Cus, Dqa, 125 milioni da Enti selezionatori, dati di biodiversità nel Psrn, misura 10.2).
Impatto ambientale e gli effetti sul climate change
Uno dei più attuali problemi che vengono collegati alla agro-zootecnia è quello della sostenibilità ambientale delle produzioni animali e dell’adattamento ai cambiamenti climatici. Una delle domande poste nel corso dell’incontro, quindi, è stata: ma è proprio vero tutto quello che si dice sull’impatto ambientale della produzione di carni e latte, quali dati possono essere utili per misurare in maniera accurata l’impatto ambientale e i relativi effetti sul climate change e misurare l’efficacia delle strategie di mitigazione?
A dare una risposta netta e inequivocabile, oltreché autorevole visto che si sta parlando di uno tra i top scientist a livello mondiale, è stato Giuseppe Pulina, docente dell’Università di Sassari. «Per quanto riguarda gli effetti del cambiamento climatico – ha sottolineato con forza - gli animali in produzione zootecnica non sono il problema ma parte della soluzione». Pulina ha ricordato l’ineludibilità dell’esistenza del bestiame d’allevamento, in quanto fornitore delle proteine animali indispensabili a sfamare la gran parte della popolazione mondiale e, per ciò che concerne le reali emissioni metano-enteriche degli animali, ha rimandato alla pubblicazione del report Fao di settembre 2023 sui gas climalteranti a breve vita nell’atmosfera, per spiegare quali sono quelli prodotti in zootecnia.
In tema di misurazioni, poi, secondo il docente, occorre un affiancamento tra vecchie e nuove metriche, per una maggior correttezza dei risultati. «Uno dei problemi che abbiamo attualmente – ha tra l’altro concluso – è che abbiamo molti dati ma pochi modelli».
Ulteriori chiarimenti sono venuti, in un’alternanza espositiva tra panelist e relatori, da uno dei rappresentanti di partner del Progetto Leo chiamati a esporre durante il convegno: Umberto Bernabucci, dell’Unitus di Viterbo, ha evidenziato come siano stati raccolti e resi disponibili in Open data oltre 100 parametri di campo e di laboratorio utili per indirizzare la sostenibilità e contrastare il cambiamento climatico. «Con Leo sono stati anche immagazzinati oltre 30 milioni di spettri Mir dalla connessione “in cloud” di strumenti di laboratorio; i dati meteo-climatici sono stati sia giornalieri e sia orari, registrati da 695 centraline meteo installate negli allevamenti coinvolti nel Progetto. Sono stati effettuati poi rilievi di temperatura e umidità ogni 15 minuti in circa 1.000 stalle, per un flusso annuo di 100 milioni di dati climatici outdoor e indoor».
Importante anche la voce di chi alleva e trasforma in uno dei settori chiave della zootecnia, l’allevamento bovino da latte, ed è chiamato a dare risposte quotidianamente al mercato ed a consumatori sempre più attenti al tema del benessere, inteso anche nel senso ampio di One health, e della salute animale: Paolo Carra, presidente del Consorzio Latterie Virgilio di Mantova, ha, innanzitutto, evidenziato il cambio di passo che c’è stato nel sistema allevatoriale anche in tema di benessere animale.
Carra ha analizzato molto lucidamente le dinamiche che si sono sviluppate negli ultimi anni, con l’intermezzo della pandemia da Covid che, ha sottolineato, ha visto «un rallentamento, ma ora si sta ripartendo, anche per rispondere ai consumatori in una logica di produzione etica. In Italia siamo stati tra i primi a ridurre l’uso degli antibiotici. Devo dire che la maggior attenzione al benessere animale ha portato anche a una aumentata redditività, fatto che dimostra come un miglior stato di salute degli animali è un obiettivo degli allevatori non per un fatto “bucolico”, ma consente più qualità. Il sistema allevatoriale è in movimento e dal punto di vista della comunicazione dobbiamo lavorare maggiormente sui giovani della generazione Z, per la loro diversa attenzione al momento del consumo. Il nostro grande lavoro deve esser portato fuori e un progetto come Leo può essere utile in questo senso».
Chiarissimi contributi, in prevalenza sempre sul settore bovino da latte, sono stati portati anche dall’Ufficio Studi dell’Aia, con Caterina Melilli e Lorenzo Pascarella, che hanno evidenziato altri importanti numeri espressi da Leo e la facilità di lettura dei modelli prodotti. In proposito, come ricordato anche dal direttore generale Donda, il Progetto Leo ha messo in pratica un modello di Akis (Agricultural knowledge and innovation system), che la Pac individua come il sistema più efficace per l’elaborazione, lo scambio e la diffusione delle conoscenze e dell’innovazione nel settore agricolo.
Importanti i dati sanitari anche per il benessere animale
Una parte importante del progetto ha riguardato i dati sanitari, e su questo argomento molto utile è stato il contributo portato da Giovanni Pezzotti, direttore sanitario dell’Izsum. Dal suo intervento è emerso anche un altro aspetto fortemente innovativo del progetto, che ha saputo non solo anticipare l’attualità di molte problematiche, ma pure tener conto “in corsa” della messa a disposizione di strumenti che solo sei anni fa neppure esistevano, o non venivano sfruttati. «Abbiamo potuto vedere quanto le malattie del bestiame influissero sul benessere, far fare un salto di qualità al nostro Paese nell’uso degli antibiotici, capire meglio il peso di alcune patologie. In questo senso, abbiamo creato un sentiero che prima non esisteva, ora un passo in avanti riguarderà la standardizzazione delle modalità di campionamento, che ci auguriamo possano essere in futuro ampliate, anche grazie a Leo».
Raccontare la biodiversità e le filiere made in Italy
Aspetti più politici e di visione globale negli interventi di Maurizio Martina, già ministro dell’Agricoltura e ora direttore generale aggiunto Fao, e di Luigi Scordamaglia, ad di Filiera Italia.
I due panelist d’eccezione hanno confermato la validità assoluta del Progetto Leo per raccontare in maniera più puntuale e veritiera il nostro Paese sia nel campo della biodiversità di interesse zootecnico, sia il valore delle filiere made in Italy nel mondo. In particolare, Martina, alla vigilia di un’importante riunione della Cop 28, ha sottolineato la delicatezza del momento anche perché, ha detto, «ci stiamo scontrando con un’onda contraria», evidentemente riferito ai temi ambientali. Ha poi invitato Aia e i partner a ipotizzare una futura presentazione di Leo, proprio per la sua importanza, anche in una sede di rilievo internazionale come è la Fao. Scordamaglia ha rimarcato la necessità di «raccontare l’Italia, raccontare la qualità e sostenibilità dei nostri prodotti, anche per rafforzare l’export delle nostre Dop e Igp». In ultimo, l’importanza di fornire informazioni incontestabili: «il recente risultato a livello europeo su packaging, infatti, è stato possibile solo perché abbiamo portato a supporto i nostri dati».
Non meno interessanti i contributi di Paolo Ajmone Marsan, docente dell’Ucsc di Piacenza, e di Mattia Vasta, agronomo e allevatore. Ajmone ha approfondito alcuni aspetti, anche storici, del rapporto dell’uomo con gli animali fin dal «patto di domesticazione», giungendo ai giorni nostri con la gestione della biodiversità e della sua importanza, pure dal punto di vista dell’adattamento e della resilienza di alcune razze in rapporto al cambiamento climatico. Infine, Vasta ha portato l’esperienza concreta di un giovane allevatore nell’affrontare la necessità di affrontare e superare ostacoli di varia natura, con il grande aiuto portato dalla crescente informatizzazione negli allevamenti.