I mangimifici italiani? Fanno innovazione, anche perché sono parte integrante della filiera delle produzioni animali e quindi ne condividono la vitalità. Il mangimista? È da considerare un partner dell’allevatore, come dimostra la sua presenza attiva nelle stalle italiane.
Sono questi i due punti cardine della nostra lunga, approfondita intervista a Massimo Zanin, nuovo presidente di Assalzoo. Zanin è anche direttore del business Mangimi del gruppo Veronesi.

Com’è emerso anche all’assemblea Assalzoo del giugno scorso, negli ultimi anni in Italia è diminuito il numero degli stabilimenti di produzione di mangimi ma contemporaneamente è aumentata la stessa produzione. Lei presidente Zanin come interpreta questo trend?
È un processo in atto da tempo. L’industria mangimistica italiana è sempre stata frammentata, con molti stabilimenti di piccole dimensioni. Negli ultimi anni però si è assistito a una concentrazione produttiva, con realtà meno numerose ma più grandi e organizzate, capaci di garantire volumi elevati e una maggiore efficienza, pur mantenendo una preseza capillae sul territorio.
Come mai?
Perchè oggi sono necessari investimenti consistenti per assicurare agli allevatori mangimi sempre più controllati e si possono garantire solo con impianti moderni, tecnologici e di dimensioni adeguate, il che comporta inevitabilmente una riduzione del numero complessivo dei siti produttivi.
Di conseguenza, immagino, investimenti e innovazione.
Esatto. L’innovazione, per noi mangimisti, significa saper utilizzare al meglio le nuove tecnologie, sia per migliorare i processi produttivi, sia per ottimizzare valore nutrizionale, efficienza complessiva e sostenibilità dei mangimi e della stessa zootecnia. Le materie prime di base sono simili a quelle di un tempo, ma oggi le gestiamo con strumenti molto più evoluti.
E per quanto riguarda in particolare l’innovazione di prodotto?
Negli ultimi anni si è lavorato per testare nuove materie prime, soprattutto fonti proteiche alternative. La disponibilità proteica è uno dei principali nodi critici della formulazione dei mangimi e l’industria sta cercando nuove soluzioni, pur con prudenza e supportata da una ricerca scientifica sempre più scrupolosa e avanzata.
Qualche esempio di queste fonti proteiche alternative?
Un esempio è rappresentato dalle farine di insetto, di cui si parla da tempo. Hanno un potenziale interessante, specie per l’acquacoltura, ma le quantità attualmente prodotte sono ancora troppo limitate e costose per un utilizzo stabile e su larga scala. In altri termini, queste farine oggi sono prodotte in quantità ancora modeste e quindi non possono essere impiegate in modo stabile dall’industria mangimistica che ha necessità di costanza di approvvigionamento, senza tralasciare anche l’aspetto economico, per evitare impatti a valle.
Altre proteine alternative?
Ci sarebbero anche le farine animali, vietate ai tempi della Bse e poi, dopo molti anni e verifiche scientifiche, gradualmente riammesse in modo regolamentato. Oggi l’orientamento europeo va verso una riammissione dell’impiego nell’alimentazione animale (almeno per i monogastrici) con il vincolo di un utilizzo incrociato, cioè farine avicole per suini e viceversa, e con altri vincoli tecnici e di processo che ne rendono complesso l’utilizzo. Inoltre, resta una certa diffidenza del consumatore verso prodotti derivati da animali nutriti con farine animali, e l’industria deve tenerne conto.
È cambiato qualcosa nella valutazione di queste materie prime?
Sì, molto. L’industria ha puntato molto sulla ricerca scientifica e i risultati degli studi condotti hanno ampliato molto le nostre conoscenze sulla nutrizione animale: oggi possiamo analizzare nel dettaglio i nutrienti presenti in ogni materia prima e valutarne l’apporto nutrizionale con grande precisione.
Pensiamo per esempio ai singoli amminoacidi?
Esatto. Avere la possibilità di analizzare il profilo amminoacidico ci consente, ad esempio per la “soia”, di valorizzare non la farina di soia in generale, ma proprio quella specifica farina di soia che entra nello stabilimento per produrre un mangime molto più mirato e efficiente. Questo approccio di “precision feeding”, analogo al precision farming agricolo, ci permette di formulare diete su misura per tutte le singole specie animali, ma anche calibrate in funzione della loro specifica destinazione produttiva.
Precision feeding…
Oggi i mangimi di precisione rappresentano uno degli elementi chiave dell’innovazione è proprio la possibilità di alimentare gli animali in modo molto più personalizzato consente all’industria mangimistica di essere molto più puntuale e precisa nella formulazione della razione alimentare.
Facciamo un esempio.
Se il profilo amminoacidico di una materia prima è carente in un elemento, oggi riusciamo a integrarlo con amminoacidi di sintesi, per bilanciare con esattezza la razione e soddisfare al meglio i bisogni dell’animale. Così garantiamo diete equilibrate e performanti, ma allo stesso tempo garantiamo anche la salute e il benessere degli animali in allevamento e, di conseguenza, la qualità dei prodotti che da questi deriva.
L’industria italiana li produce, gli amminoacidi di sintesi?
No. Purtroppo né l’Italia né gran parte dell’Europa li producono. Sono in gran parte importati da Stati Uniti e Cina.
grediente strategico per la formulazione dei mangimi, ma questa eccessiva dipendenza dall’estero li rendono una componente critica.
Altri esempi di innovazione?
Oggi disponiamo di molte più informazioni e strumenti per formulare mangimi di precisione. Questo ovviamente si riflette in modo positivo sulle performance complessive degli animali e quindi sugli indici produttivi in allevamento.
Gli indici produttivi dell’allevamento…
Esatto, se negli anni abbiamo migliorato in modo molto sensibile gli indici produttivi, e al contempo il benessere degli animali allevati, la qualità dei loro prodotti e una riduzione nell’uso di farmaci, è anche merito del costante miglioramento dell’alimentazione resa possibile dall’innovazione introdotta dai mangimisti che lavorano a fianco e insieme agli allevatori.
E quindi a questo punto il nostro discorso si è posizionato a livello dell’azienda zootecnica.
Certo. Il mangimista è ormai sia un vero partner dell’allevatore. Tutti noi che operiamo in zootecnia constatiamo quotidianamente la presenza capillare nelle stalle italiane dei mangimisti, dei tecnici delle industrie mangimistiche.
Il rapporto del tecnico del mangimificio con l’allevatore è un rapporto che diventa sempre più professionale.
Professionale come livello di interlocuzione. Oggi abbiamo di fronte a noi degli allevatori che sono estremamente preparati, sia perché la nuova generazione di allevatori oggi è composta in gran parte da laureati, sia perché le informazioni a disposizione dell’allevatore sono sicuramente più numerose e approfondite rispetto a quelle che arrivavano agli allevatori della vecchia generazione.
E quindi cosa può fare il mangimista per confrontarsi in maniera adeguata con questo allevatore?
Deve offrire un reale valore aggiunto: non limitarsi a proporre un prodotto, ma collaborare per individuare la soluzione nutrizionale più adatta a ogni allevamento, ottimizzando efficienza e sostenibilità. Le variabili sono tante, dalla specie animale, all’età, alla destinazione produttiva, tutti parametri che devono essere valutati attentamente in allevamento.
C’è da dire che spesso molti alimenti per il bestiame sono di autoproduzione, provengono della stessa azienda agricola che conduce l’allevamento…
È vero: soprattutto nel settore bovino molti allevatori producono in loco una parte della razione (insilati, cereali aziendali) e acquistano necessariamente sul mercato la quota mancante.
Allora cosa fanno in questo caso nutrizionista e mangimista?
L’industria mangimistica, attraverso il tecnico nutrizionista, monitora ciò di cui dispone l’allevatore in azienda e la integra con un mangime complementare, indispensabile a completare una razione bilanciata.
Ma qualcuno potrebbe obiettare che l’allevatore può andare a comprarsi le materie prime che gli servono e farselo da solo il mangime. Qual è la differenza rispetto alla collaborazione con il mangimista?
Il mangimista può può contare su una struttura moderna dotata di laboratori e della possibilità di fare controlli, ricerca e sperimentazione, possibilità di cui il singolo allevatore di regola non dispone. Questo garantisce sicurezza e una qualità costante del mangime — aspetti cruciali, soprattutto per contrastare e prevenire problemi come quelli derivanti dalle micotossine. Facciamo l’esempio emblematico del mais, una materia prima strategica per alimentare gli animali, che spesso soffre della problematica delle micotossine. Bene, in quest’ambito è molto più immediato e puntuale l’intervento di controllo che fa il mangimista rispetto a quello che difficilmente potrebbe fare l’allevatore. Un valore aggiunto non indifferente garantito dell’azione del mangimista.
Anche i foraggi possono sostituire in parte i mangimi, nella razione alimentare per gli animali.
In alcuni casi, come avviene soprattutto per i ruminanti, il mangime non sostituisce i foraggi, ma è necessario a integrarli. Serve però che anche i foraggi siano di ottima qualità per completare l’efficacia del mangime e quindi le performance complessive della razione alimentare.
Dunque il suo messaggio è che l’orientamento dei due partner deve essere quello di arrivare al miglior risultato dell’allevamento.
È imprescindibile che ciò avvenga. L’obiettivo è comune ed è quello di produrre latte, carne, uova o pesce di qualità al minor costo possibile. In questo connubio il mangime rappresenta un supporto stabile per garantire continuità e costanza nella dieta, per non compromettere i risultati in allevamento. Inoltre, dobbiamo sottolineare l’idea della costanza.
In che senso?
L’allevatore ha i foraggi, l’allevatore può coltivare la granella, l’allevatore può anche comprare delle materie prime, fatte salve quelle necessità citate prima parlando di controllo. Dopodiché il mangime integra il tutto ed è il fattore che garantisce costanza nell’azione alimentare, perché, ricordiamolo, alla bocca dell’animale deve arrivare un alimento, una dieta, che sia la più costante possibile, dal momento che l’animale mal sopporta avere della variabilità. Oppure la variabilità potrebbe trasformarsi in uno spreco. In conclusione, serve quella costanza nell’alimentazione che il mangime e il mangimista possono garantire.
E le dimensioni dell’allevamento svolgono un ruolo?
Sì: le grandi aziende possono contare certamente su maggiori risorse e competenze interne, rispetto alle aziende di media dimensione che si affidano di più al supporto tecnico delle imprese mangimistiche. In entrambi i casi, comunque, l’industria è in grado di fornire soluzioni su misura: integratori, premiscele o mangimi completi.
Gli integratori…
Gli integratori possono essere mangimi molto concentrati oppure possono costituire un fattore specifico che permette un’integrazione di minerali, vitamine, eccetera per completare le razioni esistenti e migliorarne il profilo nutrizionale.
Passiamo all’idea di “filiera”. Il consorzio del Parmigiano Reggiano ha istituito l’Albo dei mangimisti.
Ritengo che tra mangimisti e produzioni Dop debba esserci un dialogo continuo e serva una stretta collaborazione. Quando produciamo un mangime abbiamo in testa la produzione del formaggio, o del prosciutto, e pensiamo quindi al latte o alla carne che diventeranno quella specifica DOP e ai mercati, nazionale o internazionale, su cui saranno venduti. In questa ottica garantiamo per la nostra parte il rispetto dei disciplinari.
Di conseguenza?
Noi mangimisti siamo parte di una filiera e la soddisfazione della filiera è il nostro obiettivo. Ecco allora che esempi come l’albo dei mangimisti, così come le collaborazioni che ci sono con altri consorzi dop, sono strumenti basilari per poter definire assieme gli obiettivi comuni.
Siete parte di una filiera.
Assolutamente sì. Noi mangimisti acquistiamo le materie prime, formuliamo i mangimi, lavoriamo con gli allevatori perché a loro volta producano dei prodotti zootecnici che poi verranno lavorati, trasformati per andare sul mercato. Questa è la filiera, questo è l’approccio che personalmente e come Assalzoo vogliamo mantenere.
Un approccio che dà anche soddisfazione personale.
Certo, c’è anche l’orgoglio di quello che si produce, l’orgoglio delle produzioni italiane. Anche per questo noi industriali mangimisti, così come i nostri tecnici, siamo molto coinvolti. Lavorare con questa consapevolezza comporta la responsabilità ma anche appunto l’orgoglio di contribuire alla produzione del made in Italy alimentare e delle tante eccellenze del saper fare italiano.
CHI È MASSIMO ZANIN
Massimo Zanin è il nuovo presidente di Assalzoo (Associazione Nazionale tra i Produttori di Alimenti Zootecnici) a partire dal primo giugno 2025. “Arrivo a ricoprire questo incarico - ci ha detto - dopo tanti anni di esperienza operativa, concreta, sul campo, nella gestione dell’area mangimistica del gruppo Veronesi”.
Zanin è direttore del business Mangimi del gruppo Veronesi, gruppo caratterizzato da una filiera completa e integrata, che va dalla produzione dei mangimi sino alla trasformazione e distribuzione delle carni e dei lattiero caseari. Leader in Italia nella produzione e commercializzazione di mangimi, Veronesi è il punto di riferimento per il settore a livello nazionale e in molti mercati esteri. Con una presenza che lo vede protagonista in tutti i settori della produzione animale, agisce sia nella filiera integrata del gruppo sia nel libero mercato.
Nato e cresciuto a Bolzano, si è laureato in Economia all’Università di Verona. Dopo alcune esperienze internazionali Zanin ha iniziato il proprio percorso professionale nella Divisione Alimentare del gruppo nel 1988. Nei primi anni ’90 si è unito alla Divisione Mangimi dell’azienda, ricoprendo negli anni ruoli di crescente responsabilità in diverse aree aziendali. Nel corso della sua carriera, sottolinea Assalzoo, “ha dato un contributo decisivo alla crescita e all’evoluzione del business del mercato mangimi, promuovendo una visione strategica focalizzata sull’innovazione e sull’internazionalizzazione”.
Prima di diventarne presidente, Zanin ha partecipato per oltre vent’anni alle attività di Assalzoo, con una costante presenza nel consiglio direttivo dell’associazione. Inoltre rappresenta Veronesi nello steering group della Fefac, l’associazione europea dei mangimisti.