L’ha detto il veterinario – Intervista a Giorgio Micagni, direttore del Servizio veterinario dell’Ausl di Reggio Emilia

Benessere, consumo di farmaci e biosicurezza: sono queste le coordinate dell’allevamento, di oggi e ancor di più di domani. Per tutti gli allevamenti, ma soprattutto per gli allevamenti che fanno latte da Parmigiano Reggiano.

Per un formaggio come questo, un’eccellenza a livello mondiale, il consumatore vuole e pretende non solo qualità organolettica, ma anche una storia di allevamento e di produzione rispettosa del benessere animale, con animali sani e con il minimo uso di farmaci in stalla. Ci sono le norme e i regolamenti, che in maniera sempre più puntuale dettano tempi e modi per il nuovo corso degli allevamenti.

Ma chi fa latte da Parmigiano Reggiano non può accontentarsi del minimo: deve porre più in alto l’asticella dei suoi requisiti e dei suoi obiettivi. Si può fare, molti lo stanno già facendo e questa è una garanzia per il futuro.

È questo, in sintesi, il pensiero del veterinario Giorgio Micagni. Tanti allevamenti di vacche da latte visti e conosciuti nella provincia di Reggio Emilia dove tutti o quasi fanno latte per Parmigiano Reggiano; al punto che, scherza, grazie alla memoria storica del Servizio potrebbe anche non avere bisogno di tutte le informazioni del Sistema Classyfarm.

Dottor Micagni, benessere animale, consumo di farmaci e biosicurezza non solo sono punti di riferimento per l’allevamento, ma sono anche elementi così collegati tra loro da renderli quasi un tutt’uno. Su questi aspetti la normativa è diventata sempre più stringente. Tra gli ultimi adempimenti per le stalle c’è sicuramente l’asciutta selettiva, che si inserisce nel più ampio capitolo della lotta alle resistenze microbiche. A che punto siamo?

“L’asciutta selettiva è un passaggio necessario sulla strada del probabile, futuro, obbligo di utilizzare antibiotici in allevamento solo in presenza di una patologia e non più per profilassi e metafilassi. Questo è un salto di qualità che coinvolge profondamente tutto l’allevamento, la gestione della stalla, la selezione degli animali, l’attività stessa dei Veterinari curanti e dei Servizi Veterinari Pubblici, che non possono più limitarsi a osservare la situazione, ma devono essi stessi diventare parte attiva in un percorso di sostegno e formazione alle stalle lungo questo nuovo itinerario. Perché la questione è più ampia del solo controllo della mastite, ma implica una revisione della biosicurezza aziendale e un miglioramento del benessere animale. I risultati si vedono. Abbiamo aziende che hanno i registri dei trattamenti praticamente vergini, perché hanno impostato una serie di scelte e miglioramenti che permettono di non fare più trattamenti in asciutta e di avere un numero limitatissimo di patologie”.

Quanto pesa il benessere animale?

“Pensare di affrontare il tema della riduzione dell’uso del farmaco senza fare i conti con il benessere animale nella stalla non ha molto senso. Dobbiamo considerare che molti dei problemi ancora presenti, come quelli podali, che portano a trattamenti antibiotici, hanno un collegamento stretto con le strutture di allevamento, laddove queste non consentono agli animali di espletare le loro necessità etologiche, di muoversi adeguatamente, di non avere stress, dimenticando che ogni alterazione dell’equilibrio psicofisico, anche negli animali, determina conseguenze sulla loro salute. Analogo discorso va fatto sulla biosicurezza, che deve modellare la linea di condotta di ogni allevamento e su cui bisogna convergere. Non tanto per una questione di norme e possibili sanzioni, ma perché senza il rispetto di questi aspetti un allevamento non ha futuro. Non ha futuro perché il consumatore chiede tutto questo: seleziona molto di più, vuole sapere come è stato prodotto un determinato alimento, è molto sensibile alle tematiche del benessere animale e della sostenibilità ambientale, teme l’abuso di farmaci. Su tutto questo basa poi la sua scelta di acquisto”.

Su tanti degli aspetti che ha citato ci sono norme precise. Ma questo è sufficiente per chi produce alimenti di eccellenza e di valore elevato, come chi fa latte per Parmigiano Reggiano?

“Le norme dettano un livello che per chi fa prodotti di eccellenza non può bastare. Mi spiego. Non può bastare perché il consumatore chiede spesso più di quanto chieda la normativa quando si tratta di benessere animale, consumo di antibiotici, strutture di allevamento, sanità degli animali. Andare oltre la normativa, alzare l’asticella, significa quindi aggiungere valore alla produzione, giustificare un prezzo maggiore. Chi fa latte per Parmigiano Reggiano non può accontentarsi del minimo edittale: deve fare di più, deve essere più avanti rispetto a quanto chiede la normativa. Riguarda l’allevamento, e quindi il benessere animale e in consumo di antibiotici, ma andrei anche oltre, fuori dalla stalla, perché il valore del Parmigiano Reggiano è anche dato dal suo territorio. Da qui l’importanza di un legame stretto con i foraggi locali, con i prati stabili, intesi per il loro ruolo alimentare, ma anche come fatto caratterizzante dei luoghi unici in cui sono presenti le stalle. Il sistema di controllo pubblico verifica e garantisce sul rispetto delle normative, sanzionando anche pesantemente i pochi casi con inadempienze gravi, ma la parte successiva, l’asticella posta più in alto, richiede comportamenti virtuosi su base volontaria, perché quello che richiede la Legge si ferma prima”.

Francesco Verna

spp@parmigianoreggiano.it


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Alleva by Parmigiano Reggiano

L’ha detto il veterinario – Intervista a Giorgio Micagni, direttore del Servizio veterinario dell’Ausl di Reggio Emilia - Ultima modifica: 2022-09-26T16:42:16+02:00 da Margherita di Vito

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