«Il mais è una materia prima strategica per l’industria mangimistica italiana, e quindi per la zootecnia. Ma la sua produzione è in veloce discesa e questo è un problema, rende il settore mangimistico molto dipendente dagli approvvigionamenti dall’estero». Così Alberto Allodi, presidente uscente di Assalzoo, l’associazione degli industriali mangimisti italiani, ha aperto a Roma i lavori dell’assemblea annuale dell’associazione. L’assemblea ha poi eletto Marcello Veronesi come nuovo presidente di Assalzoo.
E’ un problema, ha spiegato Allodi, per le dimensioni del fenomeno: il fabbisogno di mais da parte del settore zootecnico nazionale è di circa 8,5 milioni di tonnellate, la produzione nazionale destinabile alla zootecnia è poco più di 5 milioni di tonnellate; di qui la dipendenza dall’estero. In questa situazione, ha commentato l’industriale e allevatore Giordano Veronesi, presente all’incontro, «si può a buon ragione affermare che è a rischio la stessa zootecnia italiana».
Le statistiche sono impietose: negli ultimi 4 anni le produzioni italiane di mais sono calate di oltre il 35%. Secondo Assalzoo siamo passati dai 9,25 milioni di tonnellate del 2014 ai 7 del 2015, ai 6,5 del 2016, ai 5,7 del 2017.
Altro elemento d’allarme sottolineato a Roma è la contrazione delle superfici dedicate in Italia alla coltivazione maidicola: «Dimezzate dal 1970 a oggi», ha detto Gabriele Canali, dell’Università Cattolica. «Crollate dagli 1,1 milioni di ettari del 2006 ai 570mila ettari del 2017», ha aggiunto Allodi.
I dati Istat presentati all’incontro parlano di 860mila ettari coltivati nel 2014, 720 mila nel 2015, 660mila nel 2016, 570mila nel 2017. «In quattro anni – ha sottolineato Allodi – c’è stata una contrazione netta di oltre il 33%, una dinamica regressiva che non può essere negata».
Le cause di questa debacle? Secondo Canali la riduzione degli aiuti Pac arrivati via via ai coltivatori, a causa dell’introduzione del disaccoppiamento, il calo delle quotazioni, i problemi fitosanitari tra cui la presenza di micotossine.
Gli standard Gmp+ dicono che il mais italiano è a rischio aflatossine e fumonisine, ha ricordato a questo proposito sempre all’incontro di Roma Amedeo Reyneri dell’Università di Torino. Ma le possibili contromisure non mancano. Secondo il docente torinese sarebbe fondamentale in questo senso intensificare l’adozione di innovazioni agronomiche: potrebbe far aumentare la produzione sino al 40%, riducendo le micotossine. «E la prima causa della presenza di micotossine nel mais è la scarsa produzione. Ma oggi molti paesi esteri, tra cui gli Usa, o la Spagna, sono più avanti di noi in quanto a innovazione agronomica e a produttività».
D’altra parte dobbiamo anche ricordare, ha continuato Reyneri, che «se è vero che nel mais italiano nel 2016 e nel 2017 la presenza di micotossine è stata rilevante, è anche vero che i nostri stoccatori hanno rimediato in modo efficace, con una buona e diffusa pulizia delle granelle».
Una mappa delle azioni da realizzare per reagire, in Italia, a questa situazione è stata elaborata da Assalzoo e condivisa con altre realtà della filiera agrozootecnica, che hanno firmato uno specifico “memorandum d’intesa” per rilanciare la filiera del mais nazionale. Tra le azioni previste: una spinta all’approvvigionamento con mais di produzione nazionale per l’alimentazione zootecnica; una promozione della domanda interna di prodotti maidicoli nazionali; la creazione di strumenti contrattuali innovativi per favorire le relazioni commerciali tra gli agricoltori e gli altri protagonisti della filiera.
Cliccando sulla frase colorata riportata qui sotto si potrà consultare questo memorandum:
assalzoo_memorandum_mais_2018